1860. Improvvisamente l’Italia di Maso Biggero

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Dall’Incipit
(autunno 1859 – autunno 1860) –

La mattina del 6 ottobre 1759 Carlo di Barbone, re di Napoli e della Sicilia (ma dal 10 agosto re di Spagna) convocò Federico Fusco, fidato cameriere arrivato a palazzo reale dalle non lontane terre di Caserta e gli ordinò di portargli Domenico, “el niño.” Domenico era l’unico figlio di Federico, che sua Maestà aveva voluto tenere a battesimo e ora considerava come di famiglia. Il domestico si precipitò nel suo alloggio, fece indossare al bambino un abito conveniente e, poco dopo, riapparve nello studio del Sovrano.
Carlo sorrise al piccolo, lo prese in braccio e si avvicinò a una finestra che dava sul porto. Alla fonda c’erano molti velieri. Indicando il più grande gli disse: “La vedi quella bella nave? Ti piacerebbe farci un viaggio lungo lungo?”
Poi si rivolse al fedele servitore: “Preparati, vi porto con me a Madrid” gli disse e, deponendo a terra il bimbo, concluse: “Faremo di questo niño un vero ufficiale spagnolo”.
La scena di Domenico in braccio a Carlo, che gli indicava le navi alla fonda nel porto di Napoli e le parole del sovrano, da quel momento entrarono a far parte della storia della famiglia Fusco; vennero tramandate di padre in figlio e, per i discendenti di Federico, costituirono cemento di incrollabile fedeltà alla dinastia borbonica.
Fu così che il cameriere di Sua Maestà andò a Madrid al seguito di Carlo e il bambino venne istruito da insegnanti spagnoli, dimenticò il dialetto napoletano, imparando a esprimersi nella lingua di Cervantes, frequentò la scuola del genio militare e divenne brillante ufficiale ed esperto ingegnere idraulico.
Carlo era molto affezionato al giovane Fusco che lo ricambiava in affetto e fedeltà. Per questo decise di mandarlo a Cartagena a seguire da vicino gli imponenti lavori militari e civili che stavano ammodernando non solo la piazzaforte navale ma l’intero territorio di Murcia: strade di collegamento tra le varie città, edifici pubblici e privati, ma soprattutto il sistema idrico (laghi artificiali, acquedotti, canalizzazioni), per assicurare a quelle aride piaghe l’acqua necessaria al loro sviluppo.
Dopo un paio di anni, Domenico, intanto, diventato maggiore, sposò Carmen, unica erede dei conti di Tormalina, antica famiglia di Murcia con sangue arabo nelle vene e i cui possedimenti erano tra i più estesi della regione ed ebbe un figlio battezzato Carlo, in onore del sovrano.
Il ragazzo, come previsto, fu avviato alla carriera delle armi e, una volta ufficiale, venne anche lui assegnato alla guarnigione di Cartagena dove sposò Mercedes Bonnet, anch’essa ereditiera e figlia unica di un ricco proprietario terriero di Lorca.
Da quel matrimonio nacque un solo figlio, Federico junior (a ricordo del bisnonno), che ebbe però il cattivo gusto di venire al mondo mentre Napoleone invadeva la Spagna, e proprio nel giorno in cui i francesi entravano in Cartagena.
“L’incidente” francese in prima istanza determinò la disfatta dell’ esercito spagnolo e, circostanza forse più preoccupante per i latifondisti del territorio, spinse alla ribellione contadini, bovari e pastori che, respirata l’aria di libertà arrivata con le truppe napoleoniche, avevano cominciato a chiedere migliorie e benefici sino a quel momento impensabili in Spagna. Vi furono anche tumulti e le donne di casa Fusco decisero di trasferirsi nella più tranquilla Murcia dove, tra le molte dimore dei Tormalina e dei Bonnet, scelsero quella situata nel centro cittadino e quindi inclusa nel nuovo piano regolatore con efficienti reti fognarie e strade convenientemente lastricate.
Più tardi, dal balcone della elegante dimora non priva di qualche pregio architettonico, il piccolo Federico poté seguire la parata dei reduci spagnoli che, con l’anziano generale Domenico Fusco in testa, sfilava per le strade cittadine celebrando la vittoria. Ma nel corteo festante non c’era Carlo, caduto negli ultimi combattimenti.
Rimasto orfano senza aver conosciuto suo padre, il ragazzo crebbe sotto la tutela del nonno che gli raccontava storie di vita militare, di battaglie, di visite a Palazzo, di re Carlo e della famosa partenza da Napoli. Mentre la mamma e la nonna cercavano di trasmettergli amore e interesse per la terra, consapevoli che tutto quell’ enorme patrimonio si sarebbe dissolto se l’unico erede avesse continuato, come il padre e il nonno, a frequentare i campi di guerra e non quelli della semina.
La partita tra le due “fazioni” fu comunque giocata con lealtà e Federico venne avviato sia agli studi militari che a quelli umanistici, per fornirgli gli elementi necessari a prendere, quando sarebbe venuto il momento, la più confacente delle decisioni.
Si venne così gradatamente a sviluppare nel giovanotto un impulso a ricercare possibili equilibri, tési a mettere d’accordo tutti, possibilmente senza scontentare nessuno.
Con un carattere così forgiato, Federico avrebbe agevolmente potuto emergere in qualunque attività alla quale si fosse dedicato. Brillanti carriere, infatti, si aprono per coloro che conoscono l’arte della mediazione e del compromesso, a patto che la si accompagni a una robusta dose di spregiudicatezza e, perché no?, di opportunismo. Il Nostro, però, mediava soltanto per non far soffrire il prossimo e non per trame personale vantaggio. Il che fece di lui solamente un uomo buono, condannandolo a un immeritato grigiore.
In linea con quanto maturato in fondo al cuore e alla coscienza, Federico, terminati brillantemente gli studi superiori, annunciò alla madre che sarebbe entrato in accademia, promettendole anche, ed in modo solenne, che si sarebbe occupato diligentemente dei beni di famiglia.
Donna Mercedes conosceva bene le attitudini e le aperture mentali dei militari per cui le fu subito chiaro il futuro del figlio e delle proprietà. Mentalmente calcolò il tempo che le restava da vivere, non lunghissimo, ma sufficiente a far sopravvivere l’azienda, così assicurando a Federico la dignitosa esistenza di sempre. Fatti i conti, si sentì parzialmente rassicurata: di ricchezze ce ne erano abbastanza per il giovanotto e per la famiglia che prima o poi egli avrebbe messo su. Il futuro più lontano sarebbe stato nelle mani del Signore. Più di questo donna Mercedes non riusciva a immaginare. Come pure non poteva sapere del male che si annidava in un minuscolo angolo dei suoi polmoni e che, in meno di un anno, l’avrebbe portata alla tomba.

***
Dal libro 1860. Improvvisamente l’Italia di Maso Biggero
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Maso Biggero

Maso Biggero, giornalista, ha scritto per Corriere della Sera, Corriere d’Informazione, Giorno, Il Mondo, L’Unità, Paese e Paese sera, Vie Nuove, Historia. Ha trascorso la sua infanzia a Caserta dove è nato quando quel territorio non aveva ancora subito la mutazione socio economica che, nella seconda metà del secolo scorso, l’ha trasformato da agricolo in industriale. Negli anni trenta la città era ancora del tutto simile a quella nella quale si muovevano i protagonisti della battaglia del Volturno. 1860 Improvvisamente l’Italia è, quindi, il reportage di un cronista su un evento cruciale della storia del nostro Paese e, insieme, il viaggio nell’infanzia di chi è già approdato all’età in cui i ricordi diventano gli insostituibili compagni nella strada ancora da percorrere.

5 COMMENTS

  1. Ma che bella idea…L’argomento è sempre interessante e molto attuale!
    Ne riceverei volentieri una copia per godere della spinta narrativa, accennata in queste poche righe.
    Grazie!

  2. Caro signor Maso,
    in tempi di unità d’Italia, arriva il suo libro storico, senza connotazioni
    politiche che ripristina la concatenazione degli eventi e restituisce al regno
    di Napoli il valore che molti tendono a sottovalutare.
    Da buona napoletana, ma anche e soprattutto da italiana serena, sono grata
    agli scrittori come lei che si addentrano nei labirinti della storia per estrarre perle
    di verità.
    Mi ha affascinato anche il suo stile piano, fresco, moderno, eppure attento alle sfumature,
    immaginifico quel tanto che necessita per attrarre l’attenzione dei lettori.
    La trovo innovativo e ipnotico! Grazie!

  3. L’ Italia sorse non ostante gli italiani. E sopra tutto tra i cittadini del regno dei Borboni, lo Stato dei Savoia venne percepito come un intruso.
    Non servono i panegirici. Urgono rivitazioni storiche.
    E Biggero, a modo suo, li manovra.
    Con un reportage tra il reale e il fantasioso. Giusto quello che serve per inculturare senza ideologie.

    Gaetano

  4. Complimenti per questa storia che mi è parsa appassionante!
    Mi ispira molto la trama di questo libro, diverso da altri per la sua caratteristica di essere un libro storico!
    Spero di avere l’occasione di ricevere una copia.
    Saluti.
    Barbara

  5. Tra i libri della Fiera finalmente anche un libro storico! Adoro il genere, adoro essere trasportata in periodi passati e gli anni in cui si snoda il romanzo sono elettrizzanti.
    Grazie di avermi dato l’opportunità di leggere questo estratto.
    Spero di poter ricevere una copia del libro e di poter seguire per intero le vicende di Federico!

    Complimenti per il tema trattato e per il suo stile; auguri per il successo del libro.
    Saluti

    Stefania C.

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