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Il mio mondo ed altri racconti di Giuliana Colella

Ricordo benissimo il giorno in cui tornai nella vecchia casa. Si era nella prima quindicina di giugno e le giornate erano già calde, quasi afose. Di prima mattina avevo preso la mia decisione: sarei partita, senza salutare nessuno. In fretta avevo raccolto qualche abito e degli indumenti intimi e li avevo messi senza grazia nella mia vecchia valigia. Facevo tutte le cose quasi di corsa come per impedire a me stessa di pensare, di riflettere. Nessuno mi avrebbe cercata, lo sapevo. Certo non i miei genitori, che si erano sempre disinteressati di me né tanto meno Sirio che era uscito così bruscamente dalla mia vita. Meglio così, mi dicevo. In fondo, non desideravo altro che stare sola e la vecchia casa mi avrebbe certo accontentata. Sorgeva al centro di un giardino coltivato essenzialmente ad ulivi e ad alberi da frutto, in una posizione alquanto appartata rispetto alle altre abitazioni. Appariva come chiusa in una sua nobile bellezza. Si trattava di una struttura in pietra a due piani che da un lato terminava con una specie di torretta. Ciò le conferiva un aspetto alquanto medioevale che, fin da bambina, mi aveva attratto. Fra quelle vecchie mura, immerse nella verde campagna ligure, avevano abitato la mia nonna materna e la vecchia Maria. A loro due ero stata affidata ogniqualvolta la mia presenza diveniva per i miei genitori troppo ingombrante, cosa questa che accadeva abbastanza di frequente. Per loro ero solo un impiccio di cui sbarazzarsi non appena possibile.
Consapevole di essere considerata più che altro un peso, crebbi in una mia solitudine selvatica, appena mitigata dall’affetto che per me nutrivano le due vecchie donne. Fabia, la nonna, era una vecchia dritta e vigorosa, che incuteva rispetto e soggezione. Abituata a comandare, era ferma nelle sue decisioni, incapace di cedimenti. Tuttavia aveva, a suo modo, un debole per me che esprimeva attraverso la cura con cui si dedicava alla mia educazione. Praticamente sono stata allevata da lei. Avevamo ben poco in comune. Priva di qualsiasi curiosità intellettuale, non l’ho mai vista con un libro in mano, mentre io ho sempre amato la lettura. Ogni volta che mi vedeva leggere, mi guardava con sospetto. Unico suo interesse era il giardino: ne conosceva ogni cespuglio, ogni albero, ogni fiore. Nulla le sfuggiva. Era un giardino stupendo, fiabesco, smagliante di colori. Spesso, verso l’ora del tramonto, mi invitava a passeggiarvi. Io accettavo di buon grado, perché solo allora, in quel mare di fiori, di arbusti e di alberi, la vedevo uscire dalla sua abituale austerità e trasformarsi. Sembrava un’altra. Si soffermava dinanzi ad ogni ramo, ad ogni foglia, per verificar-ne lo stato di salute o per aspirarne la sottile fragranza e, nel far ciò, appariva pervasa da una sua gioia segreta che riusciva in parte a trasmettermi. Il mio amore per la natura lo debbo a lei.
Ogni tanto arrivava in villa mia madre. Aveva sempre un’aria affannata ed ogni volta ci annunziava di essere solo di passaggio. Rimaneva una notte, poi l’indomani ci salutava e partiva. Partendo lasciava una scia di profumo che mi infastidiva. Ormai ero abituata agli odori della terra e delle piante e non ero in grado di apprezzare gli artificiosi profumi creati dall’uomo. Una sera, durante una delle rare visite di mia madre, sentii la nonna gridare: “Sara sta bene in questa casa. È meglio che stia qui piuttosto che saperla affidata a te ed a quello scriteriato di tuo marito. D’altra parte – aggiunse – l’ho già regolarmente iscritta a scuola; quindi ogni decisione è rimandata all’anno prossimo”. La mattina dopo non fiatai. La nonna aveva un viso più serio del solito e Maria non faceva altro che osservarla preoccupata. Quest’ultima era al servizio della nonna da tempo immemorabile ed aveva con lei un rapporto quasi simbiotico: serva e compagna fidata, era una presenza insostituibile e preziosa. Si occupava soprattutto di cucina e le sue marmellate erano favolose. A suo modo mi viziava. Preparava spesso una composta di frutta e cioccolato che era una vera golosità e che mi piaceva molto. Me la portava in camera con una guarnizione di biscotti, mentre stavo facendo i compiti. Mi offriva quelle prelibatezze con un sorriso dolcissimo, poi scompariva.
Nel giardino c’era un piccolo fabbricato, anch’esso in pietra, in cui abitavano il giardiniere e la moglie. Non avevano figli. A volte, non sapendo con chi parlare, mi intrattenevo con loro. Carmela, la moglie del giardiniere, era una giovane dalle forme procaci e prorompenti, sempre allegra. La mattina veniva alla villa per fare le pulizie e, quando mi vedeva, mi scoccava sulle guance un rumoroso bacio. Lo faceva di nascosto della nonna che non voleva che alcuno mi toccasse e questo era il nostro piccolo segreto. Aveva una sua vitalità animale che mi attraeva. Avevo solo undici anni, quando, scoprendosi un seno, mi mostrò un livido di colore bluastro. “Me lo ha fatto Antonio stanotte. – disse – È tanto irruente” e rise. Io rimasi come intontita. Non conoscevo i segreti dell’amore e mi pareva strano che una moglie potesse sorridere delle violenze subite ad opera del marito. Qualcosa mi sfuggiva, ma non sapevo cosa. Alla fine decisi che Carmela era una sciocca e divenni piuttosto fredda con lei. Ero però rimasta turbata dal suo seno bianco e sodo. Avrei voluto toccarlo così come toccavo i frutti che pendevano maturi dagli alberi. L’indomani chiesi a Maria: “Perché i mariti di notte picchiano le mogli?”. Maria rimase un attimo interdetta, quindi mi domandò: “Chi te lo ha detto?”. “Carmela mi ha mostrato un grosso livido su un suo seno. – risposi – Glielo ha fatto di notte Antonio”. “Carmela è una stupida” sentenziò brusca la vecchia Maria. Poi, addolcendo la voce, aggiunse: “Gli uomini, a volte, fanno delle cose strane e questa è una di quelle”. La risposta mi lasciò scarsamente soddisfatta, ma preferii tacere.
La nonna, nell’educarmi, si ispirava spesso alla natura. “Tu sei come una pianta. – mi diceva – Presto germoglierai ed il tuo corpo si trasformerà. La sua metamorfosi sarà una delle maraviglie della natura”. Io l’ascoltavo turbata e mi chiedevo se un giorno avrei avuto anch’io due seni grossi e duri come quelli di Carmela. Andavo a scuola nella vicina Savona, ma la mia scontrosità di carattere mi aveva preservato da tutte le maliziose confidenze che, per solito, caratterizzano i rapporti fra adolescenti. Tutto quello che sapevo lo avevo appreso dai libri e dalla bocca della nonna. Se avevo delle curiosità, le tenevo per me. Ogni sera, prima di andare a letto, mi soffermavo a guardare i miei due capezzoli da cui un giorno sarebbero dovuti sbocciare come frutti maturi i miei due seni. Attendevo con ansia la trasformazione di cui mi aveva parlato la nonna.
Capitava, a volte, che mi sentissi triste e trascurata. Allora, in preda a malumore, mi ritiravo nel mio angolo preferito, una sorta di chiosco naturale, formato da un fitto intrecciarsi di rami. Lì la vegetazione era così folta che nei giorni di pioggia mi riparava persine dall’acqua. Sedevo su un tronco e, ad un tratto, una pace misteriosa scendeva in me e mi dava come una sensazione di pienezza. Dimenticavo allora ogni cruccio ed avevo una segreta percezione del mio essere. In quei momenti mi sentivo parte della natura.
Un giorno, senza alcun preavviso, giunse mio padre. Non lo vedevo da diverso tempo. La nonna lo accolse con un’occhiata di freddo disprezzo. Non lo aveva mai potuto soffrire. Lui le disse: “Fabia, sarai finalmente contenta. Daria ed io ci siamo separati. Sono venuto per salutare Sara”. Aveva parlato in fretta come se l’informarci della fine del suo matrimonio fosse per lui solo un compito da dover assolvere nel più breve tempo possibile. Se avesse potuto, avrebbe volentieri tirato un respiro di sollievo. Io ero ormai divenuta un’adolescente, ma non ero ancora in grado di comprendere la misteriosità dei rapporti che intercorrono fra un uomo ed una donna. Ero tuttavia arrivata a capire che fra mio padre e mia madre c’era stato ben poco in comune. Si erano voluti sposare a dispetto delle loro diversità ed ora ne pagavano le conseguenze. Aggiunse: “Riparto subito. Non so quando ci rivedremo”. Accolsi questa notizia senza grande sofferenza. Praticamente conoscevo mio padre solo come persona fisica, null’altro. Non potevo rimpiangerlo. Al momento dei saluti ricambiai freddamente il suo abbraccio.
Due giorni dopo giunse mia madre. L’avevo immaginata sofferente e smagrita, ma dovetti ricredermi. Appena la vidi, pensai: “È innamorata”. Non mi sbagliavo. Appariva in forma smagliante ed, a tratti, sembrava ringiovanita. Il suo nuovo compagno si chiamava Oscar ed operava nel mondo dell’arte. Durante i giorni in cui rimase con noi, mia madre non fece altro che parlare di gallerie, di mostre e di pittura. Sembrava un’invasata. Nella sua memoria non c’era più traccia di mio padre. Era fatta così. Viveva la vita in maniera inquieta, seguendo di volta in volta i suoi impulsi emotivi. Infine un giorno arrivò anche Oscar. Pernottava nell’albergo del paese più vicino, ma la sera veniva a prendere mia madre ed usciva con lei. La riportava alla villa a tarda notte. La nonna viveva questa seconda stagione amorosa della figlia con sguardo freddamente critico. La disapprovava, ma taceva. Non taceva però il suo viso che era un libro aperto. Ella era naturale come il giardino. Il nuovo amore di mia madre ebbe una conseguenza: non si parlò più della possibilità che io tornassi a vivere con lei. Non sarebbe stato opportuno. Questa decisione riuscì a rendere la nonna meno severa e più indulgente con la figlia. Al momento della sua partenza la salutò con un certo calore e giunse persine ad avere un sorriso per Oscar. Io rimasi con la nonna e con Maria in quello che ormai era divenuto il “mio” mondo.

***

Leggiamo e commentiamo insieme questo brano tratto dal libro Il mio mondo ed altri racconti di Giuliana Colella, recensito da Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari.

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