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I giorni della rosa di Nicla Morletti

Quella che sto per narrare è la storia di un vecchio manoscritto, ritrovato per caso nella casa degli avi di mio nonno. Un antico castello in collina immerso nel verde della campagna toscana, che era sopravvissuto ai secoli e aveva sfidato il tempo. Si stendevano ai suoi piedi selve di mirti e  campi di girasole. Pareva sospeso tra il cielo e la terra quando mio nonno ed io giungemmo al suo portone. Sul muro, tra rose rampicanti, era ancora intatto lo stemma gentilizio di famiglia, troncato di azzurro e di oro, con la fascia trasversale rossa, le due stelle ad otto punte.
Era una sera d’estate, nell’aria un presagio di pioggia. E petali di fiori portati dal vento.
Ci aprirono il portone il nuovo proprietario Daniel Craig, agente letterario inglese, e sua moglie Margaret Rose. Dolcissima. Biondissima.
La donna, dal delizioso accento straniero, ci consegnò la chiave di un vecchio baule con lo stemma di famiglia, ritrovato per caso nei sotterranei del castello durante i lavori di restauro.
– Questo appartiene a voi – disse.
Un rapido sguardo d’intesa tra me e il nonno, e poche ore più tardi il baule era nel bagagliaio dell’auto che, sballottando qua e là, percorreva la tortuosa strada di campagna che ci avrebbe ricondotto a casa.
E fu lì dentro che, tra pizzi e collane, spade e ombrelli d’organza, trovai un vecchio manoscritto rilegato in cuoio. Nell’ultima pagina c’erano una firma e una data: Cav. Guelfo Donato, Pisa 24 giugno 1650.
Una storia sepolta nella polvere degli anni, riportata per sempre alla luce del tempo.
Una storia che inizia così.

Capitolo I

La sera del 30 Marzo 1646 era venerdì santo: tutti gli abitanti del paese, accesi i fuochi lungo le strade, si incamminarono verso la chiesa di Santa Maria Assunta. Celebrò la Santa Messa, quella sera, un monaco benedettino.
Fu spalancato il portone dell’antica chiesa e si dette inizio alla processione: si avviarono lentamente verso l’uscita tre uomini in cappa nera e cappuccio che, tenendo in mano una torcia a vento, intimavano sommessamente il silenzio. Due soldati romani a cavallo annunciarono con lenti squilli di tromba l’incedere della processione. Seguivano sei militi in formazione ternaria, un gruppo di angioletti recanti stendardi con le parole: “Silenzio, ordine e devozione”, la croce sorretta da un fratello della Compagnia Bianca, un gruppo di fanciulle ebree, due soldati romani a piedi, Giuda Iscariota, sgherri con lanterne, bastoni e funi, infine San Pietro. Si narra infatti che, mentre nella sala del sommo sacerdote Caifas veniva giudicato Gesù, Pietro stava scaldandosi con gli altri servi intorno ad un grande braciere e che, quando la portinaia affermò che anche lui era discepolo di Gesù, egli negò e spergiurò di non conoscere nessun Gesù. E il gallo cantò.
Ricordandosi le parole del Maestro, Pietro uscì fuori e pianse amaramente.
La processione continuava ad avanzare: ecco Erode Antipa, lussurioso tetrarca della Galilea e della Perea: costui, con le sue guardie, si fece beffe del Maestro e, ricoprendolo di ridicolo, lo rimandò da Pilato.
Il corteo proseguiva nel suo cammino: tre fanciulle vestite di bianco, due soldati a cavallo, due soldati a piedi con il Littorio romano e Ponzio Pilato.
Egli era stato il quinto Procuratore romano della Giudea, e a lui gli Ebrei, ottenuta dal Sinedrio un’ingiusta condanna, condussero Gesù, allo scopo di ottenere la conferma della condanna a morte.
Partecipavano alla processione anche due fanciulle che tenevano in mano la brocca dell’acqua con la quale Pilato si lavò le mani. Altre ancora indossavano una veste rossa, in mano una canna, simbolo dello scettro regale, e una corona di spine.
Con questi tre simboli i soldati avevano insultato e tormentato Gesù nell’atrio del Pretorio, dopo la viltà di Pilato.
La processione incedeva lentamente lungo i vicoli tortuosi del paese.
Sui balconi ardevano piccoli fuochi e il vento ne faceva oscillare le fiamme che parevano anime in pena, mentre tutti sembravano rivivere la passione di Cristo.
Ecco Barabba, due fanciulli, due soldati romani a piedi, il Cireneo, quattro Ebrei, Veronica, un gruppo di donne vestite a lutto, il corpo musicale, i cantori, il simulacro del morto Redentore sotto un baldacchino, la statua dell’Addolorata,  il centurione a cavallo, un gruppo di uomini con torce e Nicodemo.
Quest’ultimo aveva conosciuto il Maestro che credeva realmente inviato da Dio, avendo assistito ai suoi miracoli.
Nel Sinedrio, Nicodemo aveva protestato contro l’iniqua procedura adottata nei confronti di Gesù che veniva condannato senza un regolare processo. Si narra che dopo la morte del Redentore, costui si fosse recato alla tomba portando con sé una mistura di mirra e d’àloe, ingredienti che preservano i corpi dalla corruzione, quasi cento libbre, per imbalsamare il corpo del Redentore.
Sei militi in formazione ternaria ponevano fine al sacro e funebre corteo.
I canti sommessi delle donne e delle fanciulle, intervallati da preghiere, riecheggiavano fin nei vicoli più angusti. Fumi d’incenso, mirra e àloe mescolati a quelli dei fuochi ovunque accesi lungo il passaggio del mesto corteo a rischiararne il percorso, penetravano nelle narici e stordivano i partecipanti, avvolgendo in una grigia spirale i lastricati, i vicoli, le vecchie case, avviluppando il paese intero e le vicine colline.

***
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