Ada e la scrittrice di Angela Andreini

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Ada aprì a fatica gli occhi e spense la vecchia sveglia tenuta insieme dallo scotch.
Il suo trillo squillante l’aveva strappata violentemente dal mondo dei sogni facendola riemergere nella triste realtà della sua piccola camera.
All’epoca aveva tredici anni, capelli castani, lisci, e un paio di grandi occhi marroni. Guardandola chiunque avrebbe pensato a lei come a una qualsiasi ragazzina di quell’età con la testa piena di sciocchezze sui complessi musicali del periodo, sulle riviste di moda oppure sugli attori, i veri idoli delle giovani. Lei, invece, era diversa. Non che le mancassero dei miti o non ci fossero cose che la interessassero, solo non erano troppo normali per la sua età. A lei era sempre piaciuto leggere, fin da piccola e, crescendo, a quella passione si era aggiunta quella dello scrivere e il suo sogno era quello di diventare una scrittrice. Il suo mito, invece di un cantante o un divo di Hollywood, era Nives Nicolai, una delle scrittrici più lette del periodo. Avrebbe voluto tanto diventare come lei, peccato però che i suoi genitori non erano d’accordo.
Il suo interessamento per quella scrittrice era avvenuto per puro caso una mattina dell’anno precedente, sull’autobus che la portava a scuola. Una volta salita, aveva preso posto sulla fila di sedili di sinistra e subito i suoi occhi si erano posati sul libro aperto che la donna seduta davanti a lei stava leggendo in silenzio. Di solito Ada non era una che si faceva gli affari degli altri e, anche quando era in mezzo a molta gente cercava sempre di non guardare troppo ciò che gli altri facevano. Quella volta invece il suo sguardo era stato attratto subito da quel libro. Tra i sobbalzi dell’autobus aveva allungato la testa e sbirciato in quelle pagine scritte. Non sapeva che libro fosse, dal momento che la copertina non era visibile e non sapeva neppure di cosa parlasse poiché era aperto oltre la metà. Incuriosita aveva iniziato a leggere e subito si era persa in quelle parole scritte in nero. Presto capì che si trattava di una storia d’amore ma, dopo poche righe, la donna, che teneva in mano il libro, voltò pagina e lei perse il filo.
Tuttavia continuò a leggere cercando di fare in fretta altrimenti la donna avrebbe di nuovo voltato pagina. Anche se la posizione era scomoda, china in avanti e con le ginocchia premute contro il sedile di fronte, rimase così, immersa a tal punto in quelle frasi da non accorgersi più di ciò che avveniva intorno a lei.
Riuscì a leggere due pagine, prima che la donna, ormai arrivata a destinazione, chiudesse il libro e si alzasse per scendere. Fu allora che Ada lesse il nome dell’autrice di quel libro: Nives Nicolai. Non riuscì a vedere il titolo ma fu comunque contenta di sapere chi l’aveva scritto. Da quel giorno quel nome non era più uscito dalla sua mente. Si era addirittura promessa di racimolare un po’ di soldi poiché, prima o poi, avrebbe comprato uno dei libri di quell’autrice.
Si stropicciò gli occhi assonnati e, dopo aver gettato un’ occhiata distratta attraverso la piccola stanza, si sdraiò di nuovo affondando la testa nel cuscino.
“Oggi niente scuola”.
Praticamente da sempre, di tanto in tanto, saltava la scuola, ma ultimamente ciò avveniva spesso. Non che fosse una ragazzina svogliata ma il problema era un altro.
Viveva in una squallida famiglia, in una squallida casa di una squallida
periferia, che possibilità aveva di diventare qualcuno? Nessuna.
Inoltre non aveva nessuno con cui parlare dei suoi sogni, nessuno che l’ascoltasse o che la sostenesse. Le sue giornate erano uguali, noiose e grigie, si sentiva una nullità, intrappolata nella freddezza umana di quella periferia dove ognuno pensava a se stesso e al modo di tirare avanti.
I suoi genitori, Luisa e Antonio, e i suoi due fratelli, Mario e Davide, entrambi maggiorenni, lavoravano in un’acciaieria a diversi chilometri di distanza e ovviamente dovevano rispettare rigidi orari. Per questo tutti i giorni tranne la domenica erano fuori casa dalle 4,30 della mattina fino alle 20,00 di sera e Ada era abbandonata a se stessa. Quando era più piccola stava con la vecchia nonna ma due anni prima era venuta a mancare, così, adesso, era completamente sola.
La domenica, unico giorno in cui avrebbe potuto passare un po’ di tempo con i genitori, la madre andava a tenere dei bambini in una casa a qualche isolato di distanza per arrotondare l’insufficiente stipendio e il padre, dovendo recuperare le energie per affrontare una nuova estenuante settimana, restava a letto tutto il giorno.
Quanto ai fratelli, stavano sempre per i fatti loro e non la coinvolgevano mai nei loro discorsi. Spesso non le rivolgevano neppure la parola e forse era meglio così dal momento che, quando lo facevano, era solo per prenderla in giro.
Per loro non era altro che una stupida ragazzina.
Sebbene avesse solo tredici anni, però, capiva i problemi che c’erano in famiglia e non portava rancore verso i genitori per il fatto che non stavano mai con lei.
La cosa che non riusciva a capire era un’altra: perché in casa la trattavano tutti come una buona a niente e nessuno le diceva mai una parola gentile? In quella famiglia la facevano sentire solo un peso. Ciò non dipendeva certo dal loro orario di lavoro, anche se mancavano per tutto il giorno. A lei sarebbe bastato un bacio al loro ritorno o una carezza, la sera, prima di addormentarsi. Invece in quella casa non c’era posto per l’affetto. Tutti apparivano come ingranaggi di un gigantesco meccanismo, il meccanismo dello squallore e della miseria della povera vita di periferia.
Spesso si ripeteva che, a furia di maneggiare acciaio, i suoi familiari erano diventati freddi e insensibili come quel materiale e forse era stato davvero così.
Per questo ogni mattina quando si svegliava non trovava nessun buon motivo per alzarsi e iniziare una nuova giornata. La sua era una specie di famiglia fantasma, la scuola noiosa e non aveva nessun amico e nessuno che la incoraggiasse ad andare avanti. Così si crogiolava in un’esistenza fatta di assenze ingiustificate, di giornate trascorse a casa oppure in giro a vagabondare tra una folla anonima che nemmeno si accorgeva di lei.
Anche quella mattina, erano partiti tutti molto presto e Ada era a casa da sola.
Era una grigia mattina di fine novembre, grigia come la sua vita. Restò alcuni minuti sdraiata nel letto godendosi quegli attimi di pace quando si ricordò che quel giorno aveva una missione da compiere, una missione che la interessava molto.

***
Dal romanzo inedito Ada e la scrittrice di Angela Andreini
Immagine: dipinto di Vladimir Volegov

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