La scuola delle catacombe di Ada Zapperi Zucker

Tresl del Lärchenhof

Siamo partiti dal paese di buon mattino per evitare i tanti turisti che ancora in queste ultime giornate di fine estate sconvolgono con la loro presenza il silenzio e la solitudine di queste montagne.
In cammino da molte ore, andiamo quasi senza parlare, presi dalla magia dei luoghi che attraversiamo, dalla pace infinita, dal respiro della terra e delle piante, fermandoci solo qualche secondo, il fiato sospeso, per non disturbare gli abitanti del bosco: un cerbiatto spaurito che scompare subito nel fitto del fogliame; un grosso uccello che si allontana sbattendo le ali, silenzioso, forse a caccia; un altro uccello che squittisce lontano – un richiamo, un avvertimento? – il silenzio pieno di attesa, interrotto solo dallo scalpiccio dei nostri passi, dal nostro alito, dai rami secchi che si spezzano al nostro passaggio. Un silenzio cui non siamo abituati, fatto di misteriosi fruscii, vibrante di una sua vita segreta.
Usciamo dal bosco e la vista si allarga, spazia fra montagne e vallate che si perdono in un orizzonte senza confini. Su in alto avvistiamo un puntino, una baita in luogo impervio, solitario, che si addossa alla roccia quasi a cercarne protezione.
Man mano che ci avviciniamo, scopriamo una rovina, qualcosa che a noi sembra un rifugio buono solo per ospitare il viandante sorpreso dalla notte e dalla neve. Il vento ha scoperchiato il tetto della piccola stalla adiacente. Si vedono pezzi di scandola sparsi ovunque nel raggio di qualche metro. I sassi che avrebbero dovuto fare da contrappeso sono volati via come fuscelli: uno stato di abbandono non certo di recente data. Contro il vento non si può nulla, si dice nel villaggio. Quando arriva la tramontana si può solo aspettare che smetta, possibilmente in luogo riparato. Magari recitando il rosario.
Il piccolo camino, situato in un angolo protetto, vicino alla roccia, forse per non essere trascinato via dal vento, lascia indovinare una presenza umana. Fuma, infatti, anche se assai modestamente.
Qui di notte la temperatura deve scendere di qualche grado sotto zero già nel primo autunno. Ne abbiamo osservato i segni sulle ultime foglie intirizzite che pendono gelate dai rami quasi spogli; sul muschio coperto da una brina che scricchiola sotto gli scarponi sciogliendosi nel nulla: pezzetti di cristallo ancora pieni di luce pronti a frantumarsi sotto la violenza dei nostri passi, senza lasciare traccia di sé. Qui l’estate è breve. E anche l’autunno. Solo l’inverno mette radici.
La salita è stata piuttosto faticosa. Gli ultimi metri, ormai quasi senza alberi data l’altitudine, sembrano i più lunghi e già sbuffiamo, incapaci di reprimere il fiatone che fino a quel momento abbiamo tenuto sotto controllo per una sorta di vanità sportiva. E anche lo stomaco rumoreggia, vuoto, – abbiamo rinunciato alla colazione per fare presto – in attesa di una bevanda calda e del panino che ognuno di noi ha portato con sé.
Bussiamo alla porticina sgangherata, mangiata dal tempo e dalle intemperie. Nessun rumore, da dentro, nessuna voce.
«C’è qualcuno? Si può entrare?». Una piccola spinta basta per aprire, ma è impossibile vedere dentro, tanto è buio. I nostri occhi sono ancora abbagliati dal sole, dalla luce che in alta montagna sembra più intensa, più trasparente che altrove.
Nessuno osa entrare per primo. Si dà ancora la voce, si chiama:
«Isch uans do? Konn man innagien? (1) ». È Mario a parlare, l’unico di noi a padroneggiare il dialetto sudtirolese, essendo mezzo tedesco e mezzo italiano. Un momento di incertezza: aspettiamo un segno di vita, una risposta. Niente. Non accade niente. Più che mai insicuri, uno dietro l’altro entriamo tutti e quattro, guardinghi, sospettosi: chi, cosa si nasconde in questa catapecchia? Chi vive in mezzo a questi monti silenziosi, incombenti, pieni di una maestà che ci incute rispetto e meraviglia? L’essere umano che abita qui, sfidando la solitudine, il vento e le tempeste di neve, deve avere la forza di un gigante. Ma forse si tratta di un orco tutto peloso, e la nostra fantasia corre al galoppo, intanto che il cuore si ferma un attimo.
Ci vuole qualche minuto prima che riusciamo ad assuefarci all’oscurità di quel luogo rischiarato solo da una finestrella, cui non mancano due sbarre di ferro, per proteggere la casa da eventuali ladri.
In una nicchia, fra la parete incredibilmente affumicata e la stufa, siede un mucchietto di qualcosa che in un primo momento non riusciamo a identificare. Dalla finestrella entra un raggio di sole che illumina due piedi incrociati sotto una gonna: distinguiamo dei calzerotti di lana ruvida, pesante, e due pantofole di feltro, anch’esse di certo fatte in casa – Potschn li chiamano qui.  Sempre più incuriositi, scorgiamo un vestito di flanella a fiorellini, più una specie di sopravveste senza maniche abbottonata davanti, anche questa a fiorellini, ma di colore diverso, che qui portano tutte le donne anziane dalla mattina alla sera, e alla fine, ben annodato in testa un fazzoletto di cotone chiaro, che scopre appena il piccolo viso di una vecchina. Rugosa in modo inverosimile, minuta, le spallucce incurvate, piegate in avanti, le piccole mani nodose raccolte in grembo, ci fissa muta, in attesa, come una bestiola sorpresa nella sua tana.
Difficile descrivere il nostro stupore.
Mario cerca di scambiare qualche parola con lei, scusandosi subito di averla importunata nella sua casa.
_________
(1)  C’è qualcuno? Si può entrare?

La scuola delle catacambe di Ada Zapperi Zucker – Nuova edizione riveduta ed ampliata in uscita a maggio 2012

Il commento di NICLA MORLETTI

Un ottimo libro di racconti. Un omaggio alle donne. Una lunga storia di donne concentrata in un paese di una bellezza spettacolare, anche se centro di conflitti politici, linguistici e culturali: il Sudtirolo.
Ada Zapperi Zucker, da oltre trent’anni, fa spola tra Monaco di Baviera e il Sudtirolo. Ha istruito allievi e intessuto una fitta rete di rapporti umani. Le esperienza di vite ascoltate sono molto numerose ed hanno arricchito il suo già fervido bagaglio culturale ed umano. Sono nati così i suoi racconti, in mezzo alla gente, tra la gente, soprattutto vicende di donne protagoniste della nostra  Storia. Pagine intrise di magia, con il respiro della terra e delle piante. Montagne, vallate. Un orizzonte senza confini della vista e del cuore.

15 Commenti

  1. Ho letto tutti i racconti di questa raccolta dal nome “La scuola delle catacombe”, nella quale Ada Zapperi Zucker affronta due principali tematiche: la condizione della donna nella prima metà del secolo scorso e il dramma della integrazione dei popoli nelle regioni soggette a smembramenti e ad annessioni ad altre nazioni, come risultato di trattati di guerra. Tutti i racconti sono ambientati in Sudtirolo; l’autrice dichiara: “E’ qui che mi sento veramente a casa; il Sudtirolo è la sintesi della mia dualità”.
    Veniamo alla prima tematica che è affrontata e sviscerata, da varie angolazioni, in tutti i racconti,
    dai quali emerge una figura di donna causa di tutte le disgrazie dell’umanità, a cominciare dalla cacciata dal Paradiso terrestre. Una donna, la cui funzione principale è solo la procreazione, soprattutto di figli maschi (la mancata procreazione è da imputarsi solo alla donna), e la conduzione di tutti i lavori più umili e più faticosi, sia in casa che nei campi; una donna, che fin da ragazzina viene “mandata a servizio” dal padre (“…per lavorare i campi e avere figli non è necessaria nessuna istruzione”); quasi venduta ad uomini-padroni che la ritengono una loro proprietà, come tale, quindi, destinata a soddisfare qualunque loro abietta voglia, nel silenzio-assenso della famiglia, di tutta la società, clero compreso; la violenza sulle donne è un evento NORMALE che non stupisce (“….Mugolò soltanto per il gran male, per la brutalità con cui veniva spaccata in due…”). E mano a mano che ci si addentra nella narrazione, emergono figure di donne ripetutamente violentate, per le quali solo il concepimento dei figli giustifica i rapporti sessuali; per le quali, ovviamente, non esiste il piacere sessuale ma neanche il gesto affettuoso di una carezza (“…Non ricordava di essere mai stata baciata sulla bocca o altrove, di aver sentito il tocco delle sue mani sul suo corpo in una breve carezza rassicurante….”); emergono donne sfiancate dalle numerosissime gravidanze, che si succedono una dopo l’altra, senza interruzione; donne che arrivano a partorire 12-15 figli per vederne morire almeno la metà; donne molto, molto meno importanti, agli occhi dei mariti, della loro vacca, che, al contrario della moglie, viene assistita amorevolmente durante il parto …[Non vorrai sgravarti proprio adesso che la Rosi (la mucca) è sul punto di figliare?]
    Non mancano le riflessioni delle protagoniste sulla guerra (“…Guerra è sempre guerra, grande o piccola che sia”) e, soprattutto, sul dramma dei popoli costretti a scegliere se rimanere tedeschi o diventare italiani, perdendo, in questo caso, la propria identità culturale, le proprie tradizioni, la propria lingua, che viene insegnata in scuole segrete, “La scuola delle catacombe” appunto, in analogia con i luoghi in cui si incontravano i primi cristiani! E, angosciata, la protagonista dell’ultimo racconto si chiede: “…chi stabilisce che una cultura, una religione, una civiltà sia superiore, più giusta di un’altra?…”
    L’occhio dell’autrice è attento, anche ai minimi particolari; la narrazione degli avvenimenti, chiara, scorrevole, lucida, cruda, impietosa; eppure, è intriso d’umana pietà e di rispetto lo scandagliare delle personalità delle varie protagoniste, che, a volte, è appena accennato, come se Ada Zapperi Zucker volesse invitare il lettore stesso ad entrare in quelle anime, anch’esse ferite e violentate come e più dei corpi.
    E’ un libro che tutti dovrebbero leggere perché insegna e fa riflettere molto, anche se la sua lettura fa soffrire, tanto, soprattutto le lettrici che, inevitabilmente, si identificano con le vittime. E alla fine della lettura, la lettrice tira un sospiro di sollievo nel constatare di essere nata in un’epoca ben diversa; in un epoca in cui le donne studiano, hanno gli stessi diritti degli uomini, esercitano le stesse professioni. Eppure, subdola, una constatazione s’insinua, quando la mente istintivamente va agli ultimi fatti di cronaca: donne libere, in liberi e civili paesi occidentali, minacciate, perseguitate, picchiate e, sempre più spesso, uccise dai loro partner. E la domanda, agghiacciante, è inevitabile: “La violenza sulle donne ha solo cambiato modo di esprimersi?”

    • Sono senza parole: una critica lucida, crudele, sensibile fino a provocarmi lacrime di commozione: fino a questo momento nessuno aveva letto il mio libro con tanta partecipazione, empatia. Certo tocco i temi sempre attuali della violenza sulle donne… credo sia compito soprattutto delle donne scrivere, e sempre scrivere, e denunciare i torti che subiscono, i soprusi quotidiani cui sembra siano abituate, anche per educazione… Grazie!

  2. Sono delle belle sensazioni quelle che ci comunicano questo breve brano, anch’io sono amante delle montagne, pur non vivendoci e la bellezza la pace e la tranquillità descritte all’inizio di questa lettura fa immedesimare il lettore con i protagonisti della storia e sembra di respirare l’aria fresca e pulita della montagna, e poi l’incontro con la vecchina solitaria lascia incuriositi e con il fiato sospeso come proseguirà la storia? Penso che sarebbe proprio bello e interessante poter leggere tutto il romanzo.

    • Gentile Natalia, grazie per le belle parole che ha saputo trovare per il mio libro. Quando avrá finito di leggerlo mi dica ancora la sua opinione: ci tengo moltissimo. Confesso che non riesco mai ad immaginare cosa pensano i miei lettori… le sarei sinceramente grata. Cordiali saluti

      • Gentile Signora Zapperi, ho ricevuto da pochi giorni il suo libro devo confessarle che ancora ne ho lette una trentina di pagine non molte per dire cosa penso di tutto il libro, però devo ripetere quello che scrissi appena letto l’assaggio sembra di essere in montagna vicino alla baita sgangherata della Tresl e mi ha anche commosso leggere la storia di quella povera vecchina di come è stata trattata da ragazzina…..da far venire i brividi e purtroppo non è solo una storia di cento anni fa!!! gli abusi sulle donne ci sono ancora oggi….volevo comunque ringraziarlo per il dono del suo libro e farle tanti auguri di Buone Feste.
        Natalia

  3. In montagna c’e’ il silenzio. E ci sono gli eremiti.
    Uomini e donne che amano sfidare la natura e se stessi, in una perenne lotta per la sopravvivenza.
    Quando l’ estate termina e il fracasso s’ allontana, ritorna la natura di sempre. Brusca, affascinante, dura.
    ” La scuola della catacombe ” di Ada Zapperi Zucker descrive alla perfezione questa situazione. Con il pathos della provetta scrittrice (e montanara).

    Gaetano

  4. Un racconto questo che lascia senza fiato…con effetto sorpresa…
    mi fa pensare a una sorta di mondo fatato, in cui ancora la violenza umana non è riuscita a penetrare…
    mi piace molto la descrizione semplice, diretta, ma non banale…la descrizione dei piccoli dettagli, come quasi se fosse una foto, che chiudendo gli occhi possiamo proiettarci davanti…
    complimenti..

  5. Tra le parole si capta il profumo delle montagne, dell’aria pulita… la gente “ruvida” che pero’ nasconde un cuore caldo… quante emozioni! Mi piacerebbe poter leggere interamente questo libro, dev’essere davvero bello!!

    • Gentile Fiorella,
      soltanto adesso leggo il suo commento e vorrei ringraziarla per le parole frutto di una particolare sensibilità per la natura e forse per le montagne… che io adoro. Il libro è già in distribuzione in Italia, ma se dovesse trovare qualche difficoltà ad averlo, me lo faccia sapere. Se vuole può comunicare per facebook.
      Un cordiale saluto e a presto
      Ada

      • Sono nata fra le montagne, e ancora ci vivo… per me sono tutto, non riuscirei a viverne senza… mi manca l’aria quando non ho vicino le mie montagne! Sono contenta che dalle mie parole traspaia tutto l’amore che provo… e che ci accomuna, direi! Un saluto particolare!

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