– Dal Primo quaderno –
Mi chiamo Tito. Tito Barozzo. E scusate il disturbo.
Forse ho disturbato, venendo al mondo.
Ieri sera sono fuggito dal collegio Pierpaoli. Fa tanto freddo e il mio mantellino di collegiale non riesce a coprirmi, meno male che ho trovato un fienile con il chiavistello della porta rotto, così sono riuscito ad entrare e ora almeno sto all’asciutto.
Penso al mio amico Giannino. Quando mi ha salutato ci siamo abbracciati forte forte poi… non ce l’ho fatta più a trattenere le lacrime e sono scappato. Giannino, spero che non ti puniscano.
Nel mio sacco ho una camicia ed una maglia, e indosso dei pantaloni che ormai mi stanno corti: li portavo il giorno che sono entrato in collegio tre anni fa. Le sole scarpe che ho le porto ai piedi, e a parte il mio mantellino non ho nulla della mia divisa di collegiale: sarebbe troppo ingrato per me continuare ad indossarla, e poi i pantaloni grigi con la banda rossa mi farebbero subito riconoscere. Sarei preso e riportato in collegio, forse in prigione. Non voglio.
Ora smetto di scrivere perché devo risparmiare le poche matite che ho portato con me, ma tenere questo quaderno mi aiuterà a sentirmi meno solo. Anche Giannino aveva un giornalino su cui annotava tutti i suoi pensieri e i fatti di ogni giorno, farò anch’io così.
Scrivo quindi sulla copertina il suo nome: “Il Giornalino di Tito” e lo inizio con la data di oggi. È già passata mezzanotte, credo, quindi oggi è:
VENERDÌ 14 FEBBRAIO 1913
Faccio solenne proposito di non subire più nella vita le ingiustizie che ho patito dal mio tutore e dai direttori del collegio, il signor Stanislao e la signora Geltrude. Mi batterò sempre per la giustizia.
MORTE AGLI OPPRESSORI!
È mattina, e durante la notte ha piovuto. Ora la pioggia è cessata ma fuori fa tanto freddo e c’è una nebbia che si taglia col coltello. L’inverno qui in Toscana è così, ma io ricordo che a Napoli, quando ero bambino, faceva bel tempo anche a febbraio. Mamma e papà erano ancora vivi e mi portavano a passeggiare lungo il mare. Ricordo un castello circondato dalle onde, e anche una grande porta di fronte al mare, un grande arco di pietra o forse di marmo, che io sognavo di attraversare come se fosse un ingresso magico a tutti i mari del mondo.
Ora ho fame, meno male che ho portato con me un tozzo di pane dalla cucina del collegio.
Ho trovato anche una mela in un angolo del fienile, è marcia a metà ma l’altra metà è ancora buona, e non posso certo fare lo schizzinoso: quando si è mangiata la minestra del collegio Pierpaoli, preparata con la risciacquatura dei piatti della mensa di una settimana intera, si è pronti a mangiare di tutto!
Il fienile è vuoto ma almeno ho trovato un po’ di paglia per farmi un giaciglio, anche se non potrò restare a lungo: il collegio avrà certamente denunciato la mia fuga e mi staranno già cercando.
Oggi ho sentito un paio di volte il fischio di un treno, domani raggiungerò la stazione e cercherò di prenderne uno. Per dove, non importa.
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Dal libro Il giornalino di Tito di Timur Lenk