Il diritto di vivere di Patrizia Ciava

(…) «Insomma come stai veramente?» chiedo quando rimaniamo infine soli, affrontando il discorso rimasto in sospeso da quando sei arrivato.
«Come vuoi che stia? Ho paura che questa volta sia finita per davvero» sospiri crollando su una sedia.
«Non è la prima volta che Eleonora se ne va di casa e che dite di volervi separare.»
«Sì, ma questa volta ho proprio esagerato, finisco sempre col fare scappare tutti quelli a cui tengo» dici con un sorriso mesto incassando la testa tra le spalle. E ora, davanti a me, c’è un uomo terribilmente diverso da quello che fino ad un attimo prima giocava spensierato con mia figlia.
«Non assumerti colpe che non hai, il vostro rapporto non andava già da qualche tempo e tu lo sai» obietto.
«Ho trattato Eleonora da schifo negli ultimi tempi. A volte non so cosa mi prende, è più forte di me, provo una tale rabbia, è come se avessi la lava che mi ribolle dentro, non riesco a controllarmi.»
Mi irrigidisco. So già che strada vuoi imboccare. Da qualche tempo sei convinto di essere affetto da una forma depressiva denominata disturbo bipolare, una patologia nella quale periodi di prostrazione si alternano a stati di esaltazione, e ravvisi i sintomi di questo disturbo in ogni tuo comportamento. Io dissento e finiamo invariabilmente col litigare.

«Capita a tutti di perdere il controllo, non ci vedo niente di strano,» ribatto con veemenza, «avrai accumulato rancore verso tua moglie, a furia di reprimere alla fine si sbotta, è naturale» proseguo sforzandomi di usare un tono convincente, «ultimamente mi avevi detto spesso di non sopportare più i suoi capricci e le sue continue richieste di denaro.»
Soppesi le mie parole per un po’.
«Sì, da una parte è vero, non la sopportavo più e speravo addirittura che incontrasse un altro e mi lasciasse ma poi, quando mi accorgevo che poteva capitare davvero, mi prendeva il panico all’idea di perderla.
Certe volte, nello spazio di pochi minuti, arrivavo a desiderare di liberarmi di lei e l’attimo dopo a pensare che non avrei potuto vivere senza di lei.»
«Sì, ti capisco, succede anche a me. Sai, con Federico le cose non sono più come una volta.»
Mi fissi con un’espressione strana.
«Me n’ero accorto. Comunque, ci sono momenti in cui non riesco a contenermi, dico cose che non vorrei dire, è come se la mia bocca si disconnettesse dal mio cervello e se ne andasse per fatti suoi, è frustrante. Mi sa che c’è qualcosa in me che non va.»
Non riesco a mascherare un moto di impazienza. Quelle parole mi irritano, mi angosciano, mi atterriscono, non voglio ascoltarle.
«C’è qualcosa in me che non va» ripeti fiaccamente.
«Smettila Sandro» ti rimbecco con una punta di esasperazione nella voce, «non c’è niente di anormale in te. Adesso sei giù, è logico, una separazione è dolorosa per tutti, non sei certo l’unico a soffrire. Forse ti farebbe bene frequentare uno di quei gruppi di sostegno in cui incontri persone nella tua stessa situazione, così ti renderesti conto che questi problemi sono comuni. E poi continui a leggere tutti quei trattati di psichiatria, secondo me ti fai condizionare e ti convinci di essere depresso.»
«Bipolare» mi correggi.
«Sì, vabbè, bipolare. Quello che voglio dire è che se studi i sintomi di una malattia finisci con l’avvertirli, succede anche agli studenti di medicina, la cosa è ben nota. Con i disturbi psichici è ancora peggio, dato che tutte le persone hanno delle fissazioni e si comportano a volte in modo strano, è difficile stabilire quando la cosa è normale o eccessiva.»
«Guarda che il punto non è stabilire se un comportamento è normale o sintomo di un disturbo mentale» replichi risentito, «quello che conta è il livello di disagio che prova una persona, il suo senso di inadeguatezza ad affrontare la vita. Perché non cerchi di prendere in considerazione quello che provo io per una volta?»
Mi fissi con una specie di pena negli occhi che mi accorcia il respiro, detesto vederti così, detesto il modo in cui mi fai sentire. Un grumo mi si appiccica fastidiosamente in gola, cerco di deglutirlo ma non vuole saperne di andare giù. Distolgo lo sguardo e lo appunto sulle tue mani che, nervose, torturano un lembo della tovaglia.
«La mia vita è un disastro, è stata sempre un disastro» riprendi dopo un lungo attimo di silenzio. «Tu pensi forse che mi piaccia vivere così? Che si tratti di una scelta? Non ho amici, non ho mai avuto amici, vorrei averne eppure faccio di tutto per allontanare chiunque si avvicini troppo a me. Non sono mai riuscito ad avere un rapporto con una donna prima di Eleonora, sto portando sull’orlo del fallimento la società che ho creato, non ho nessuno con cui parlare, la sola persona che mi sopporta ancora sei tu perché ci sei costretta, essendo la mia unica sorella.»
Lasci ricadere le braccia lungo i fianchi in un gesto di rassegnazione.
La luce bianca che piove dai faretti incassati al soffitto scava ombre scure sul tuo viso e ti indurisce i lineamenti, però hai ancora l’aspetto di un ragazzino: anche se il tempo li ha un po’ segnati, gli occhioni azzurri pieni di sgomento sono sempre gli stessi.
«Non dire stupidaggini, non è vero che ti sopporto solo perché sono tua sorella, nessuno mi costringe» ribatto con un fremito nella voce.
«Sei piacevole, spiritoso, divertente, risulti simpatico a tutti quelli che ti conoscono, possibile che tu abbia una così scarsa considerazione di te stesso? La tua vita non è affatto un disastro, hai creato dal nulla una società che fattura miliardi, sei considerato un genio nel tuo campo, quasi tutti gli atenei d’Italia sono gestiti grazie al programma che hai ideato tu, è un risultato di cui dovresti andare fiero. In questi ultimi anni hai dedicato troppo tempo al lavoro e ti sei isolato dagli altri ma non credere di essere un caso raro, sapessi quanta gente è sola e ha difficoltà a trovare amici. Gli amici veri si contano sulle dita di una mano se si è fortunati, a volte è già tanto averne uno. Insomma non vedo niente di anormale in te, devi solo cercare di reagire, devi superare questa fase un po’ difficile della tua vita, tutto qui.»

***

Dal libro Il diritto di vivere di Patriza Ciava, recensito da Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari.

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