Manuela era china sul foglio, apparentemente assorta in chissà quale complicatissima operazione di matematica atta a risolvere quello stramaledetto compito; in realtà non ci aveva proprio provato perché nonostante gli sforzi quella materia le rimaneva sconosciuta e ostile.
«Ci vorrebbe un miracolo!» sospirò e riprese a tormentare con i denti il coperchio della biro, sbirciando di tanto in tanto il volto del professore, seminascosto dal giornale.
Il sole le illuminava i capelli castani, dandogli riflessi d’oro; con una mano scostò la frangetta dalla fronte e guardò fuori della finestra, dove intravide un cielo azzurro a tratti coperto da nuvole bianchissime.
“Sembra una montagna di panna” pensò, e lo avrebbe mangiato ben volentieri un bel gelato; lo stomaco dava segni d’impazienza e la colpa era certamente sua che non faceva mai colazione.
Si guardò intorno, le sue compagne parevano impegnatissime: ma solo lei era così negata?
Michela si alzò in quell’istante per consegnare il proprio compito e, avvicinandosi alla cattedra con andatura fiera, sollevò di più il mento per sottolineare l’orgoglio di essere stata la prima a finire.
”Antipatica” pensò Manuela e non per invidia ma solo perché detestava la superbia della compagna, con la quale non aveva nulla in comune.
Michela era una ragazza di ottima estrazione, elegante e signorile, arrogante come lo sa essere chi si sente superiore per nascita e ben protetto da una famiglia economicamente potente. Suo padre era un industriale molto noto e sua madre vantava addirittura natali nobili, cose che Michela non dimenticava mai di sottolineare.
La schiena arcuata e le braccia rigide, trionfalmente, Michela tornò al suo posto, mentre Manuela continuava a sospirare e a mangiucchiare il tappo che le lasciò uno strano sapore in bocca.
Uno strattone la fece quasi cadere, si voltò e incrociò gli occhi di Serena che ammiccavano; era il segnale che aspettava! S’affrettò a lasciar cadere la penna, il professore scostò il giornale e guardò nella sua direzione, mentre lei ostentando indifferenza, si abbassò con il cuore che batteva all’impazzata, raccolse la biro e più indietro la pallottolina di carta che l’amica le aveva passato.
Rossa in viso cercò di ricomporsi e di assumere un atteggiamento disinvolto; il professore tornò a dedicarsi al giornale.
“Accidenti, ma quante volte lo ha piegato?!”. Ogni fruscio se pur lieve le pareva dovesse udirlo tutta la classe, così in ogni momento si guardava attorno.
«Ha qualche problema signorina?».
Ce l’aveva con lei, ma sì, guardava proprio nella sua direzione.
“San Francesco aiutami” mormorò dentro di sé Manuela; aveva l’abitudine di ricorrere al Santo ogni volta che era in difficoltà, non tanto perché fosse convinta che lui l’ascoltasse – nessuno l’ascoltava qui in terra, figurarsi lassù – ma lui era il santo della sua terra natia, l’Umbria, e quindi lei ci provava, magari stavolta le avrebbe rivolto la sua attenzione. Fosse solo perché stufo di essere chiamato in causa.
«No professore, nessun problema, ho quasi finito».
«Bene, ho piacere che stavolta non abbia trovato difficoltà; di solito è l’ultima e non è che i suoi compiti siano tra i migliori».
“Vecchio gufo, che bisogna c’era di ricordarmelo?”.
Lentamente finì di aprire il foglietto e cominciò a copiare, sudando per la paura. Se il professore l’avesse scoperta, sicuramente avrebbe convocato sua madre, informato il Preside, nonché richiesto la sospensione … era molto severo, fin troppo, e dietro quei tondi occhialini che lo facevano tanto Cavour, c’erano occhi grigi e freddi. Nessuna umanità né comprensione per i giovani. Non gli piacevano e lo diceva spesso.
Bene aveva finito di copiare, accartocciò il bigliettino e lo infilò nella tasca della gonna, tirandone fuori, contemporaneamente, il fazzoletto per coprire la manovra e soffiandosi il naso rumorosamente.
Avrebbe potuto anche consegnare, molte altre nel frattempo lo avevano fatto, ma preferì, per correttezza, aspettare che lo facesse Serena.
Il suono della campanella le colse di sorpresa.
«Non lasciate i vostri banchi, tuonò il professore, non voglio confusione attorno alla cattedra, firmate i vostri compiti passerò a ritirarli io stesso».
Manuela prese a preparare i suoi libri per uscire. Il professore girò per i banchi lanciando occhiate che volevano dire “Guai a voi se fate un passo”. Compiuta l’operazione tornò alla cattedra.
«Lentamente e in fila uscite pure dall’aula, cercando di ricordare che siete delle signorine e non delle pecore».
«Arrivederci».
«Ciao».
I saluti si confondevano sovrapponendosi, mentre le ragazze tentavano di stare in fila, ma la smania di arrivare fuori era troppa e, appena dietro la porta, già correvano, si spingevano parlando ad alta voce, allegre e desiderose d’aria, sole e libertà.
VOGLIA DI AZZURRO di Maria Bruno – GRUPPO ALBATROS IL FILO, 2011 pag. 264
Il commento di NICLA MORLETTI
Già il titolo “Voglia di azzurro”, solare e bellissimo, invita a respirare aria pura e ad abbracciare l’universo intero. Le pagine poi si susseguono in un alternarsi ed incrociarsi di vicende e storie dal ritmo incalzante e avvolgente. Episodi di vita e di amore ci guidano verso la via della felicità. Protagonista è Manuela, eclettico personaggio dalla voglia di azzurro, affascinante figura femminile dai valori profondi e dai sentimenti più puri e più veri che nemmeno il tempo nel suo scorrere inesorabile riesce a scalfire. Un romanzo scritto con mano ferma e stile lineare e moderno. Un libro che invita a sperare, ad amare e a credere ancora nell’amicizia.




