I moicani degli anni Ottanta di Jonata Torricelli

80 sete
80 paura …
80 voglia di te …
Ma il mio 80 non è tutto ciò, il mio 80 è l’anno Millenovecentoottanta, i vecchi anni Ottanta, gli anni del fiore della mia giovinezza ma anche gli anni della mia morte.
Nato nel 1968, nell’anno 80 avevo appena dodici anni, ero ancora un bambino ma mi sentivo già un uomo, un po’ strano dato che non sapevo ancora niente della vita, non avevo ancora accumulato nessun tipo di esperienze, l’unica cosa che sapevo in modo teorico era come si baciava una ragazza ma non l’avevo mai messo in pratica.
Ricordo che abitavo in Viale G. a Modena, in quel periodo c’era il BUM dell’ eroina, un sacco di ragazzi divennero tossici dipendenti, la maggior parte di loro morivano per droga, il parco di Modena dove c’erano le giostre per i bimbi, il cosiddetto “Monumento”, era invaso da spacciatori e tossici, la gente si faceva così come se niente fosse, per la strada, in stazione, nei garage, in qualsiasi angolo poteva capitare andava bene per farsi un BUCO.
La mia storia iniziò così …
Era un giorno di novembre, piovigginava, ero in casa alla finestra del balcone che guardava sul viale, l’appartamento al secondo piano in un palazzo di sette piani costruito senza nessun criterio, era tutto sottile, muri, porte, finestre, ricordo che con la testa ero appoggiato alla finestra del balcone, un vetro talmente sottile che avevo paura di romperlo e tutte le volte che passava l’autobus vibrava facendo un ronzio come se in casa ci fossero mille calabroni in amore, le goccioline all’esterno scivolavano giù lentamente unendosi l’una contro l’altra e quando quello passava, le vibrazioni del vetro le scagliavano via a una velocità impressionante, facendolo sembrare asciutto.
Mentre guardavo fuori, il mio respiro appannava il vetro, mi balenavano per la testa mille idee, mille pensieri, ero veramente assorto e in sottofondo sentivo la televisione bisbigliare, il telegiornale locale guarda caso parlava di un altro decesso per eroina, i miei genitori commentavano la cosa con disprezzo, sicuramente come tutti i genitori di quell’epoca, ma forse nessuno mai si era chiesto chi era quell’essere umano morto, morire di droga in quegli anni era una vergogna non una disgrazia.
A me non toccava più di tanto, giustamente non mi riguardava in primo piano dato che a dodici anni la mia vita era normale e banale come tutte le altre, la mattina andavo a scuola, tornavo a casa per pranzo, dovevo fare i compiti e una volta finiti potevo uscire, andavo fuori con i miei amici, tornavo a casa e mi guardavo i cartoni animati, impazzivo per Gundam, era il mio cartone animato preferito, a seguire da Giudò boy, ma per una cosa solo impazzivo veramente, era il videogioco del bar.
Appena potevo ero lì su quello sgabello di legno a buttare le monete da cento lire per disputare una partita.
A quel tempo mia madre mi dava una misera paghetta settimanale, la bellezza di cinquecento lire, tutti i sabati alle ore quattordici ritiravo le mie aspettate cinquecento lire e costantemente tutti i sabati alle tre del pomeriggio non avevo più un soldo, perché erano andati a finire nel videogioco preferito, quando giocavo l’ultima partita rimanendo con l’ultimo cannoncino, appena veniva distrutto, appariva la scritta: GAME OVER.
Ecco … mi assaliva una tristezza … una depressione; non saprei come descriverla, ero così morbosamente attaccato a quel videogioco che avrei fatto qualsiasi cosa pur di continuare a giocare, il solo pensiero di dover aspettare il sabato successivo per avere ancora la mia misera paghetta mi ammazzava psicologicamente, era una vera tortura, mi facevo forza perché sapevo che prima o poi ci avrei giocato un’altra volta.
Ero così talmente ossessionato, tormentato, ipnotizzato da quel videogioco, che durante la settimana andavo al bar mettendomi seduto in quello sgabello davanti a esso, facendo finta di giocare, immedesimandomi talmente tanto, arrivando a fare con la bocca il rumore del cannoncino che sparava, incurante della gente che mi stava attorno e dei loro giudizi, sembravo proprio matto.
Purtroppo quel videogioco si trovava nel bar più malfamato del viale, se non della città stessa, in quel locale c’era un miscuglio di gente, noi ragazzini durante il sabato e la domenica, Tossici, Spacciatori, Rapinatori e Prostitute, io ero l’unico della mia compagnia che frequentavo più di tutti il bar; il mio frequentare così assiduamente quel posto non fu una cosa felice per me, lì iniziò il declino della mia VITA.
Fui avvicinato, con la scusa del videogioco, da un uomo di una certa età, avrà avuto quarantacinque o quarantasette anni, altezza media, quasi un metro e settantacinque, con i capelli che arrivavano sulle spalle, molto mossi ma non ricci, molto brizzolati, portava sempre quella schifosissima brillantina che sembrava appena uscito dalla doccia, lo stomaco sembrava una mongolfiera dal gran che era gonfio ma non era grasso, l’unghia del mignolo destro lunga e due anelli d’oro grandissimi infilati in entrambe le mani.

***
Dal libro I moicani degli anni Ottanta di Jonata Torricelli – GRUPPO ALBATROS IL FILO, 2010 – p. 287

Il commento di NICLA MORLETTI

Una storia ambientata negli anni ottanta che invita alla lettura e alla riflessione. Il protagonista, di solo 12 anni, vive a Modena nel periodo in cui esplodeva il “boom” dell’eroina e tanti giovani morivano per droga. E il parco di Modena, proprio dove c’erano le giostre per i bimbi, era invaso da spacciatori. Un libro scritto con chiarezza e autenticità che narra di fatti realmente accaduti, dove invenzione e memoria si fondono per dare vita ad una storia di amore e di droga. Un messaggio forte per il lettore che sin dalla prima pagina vuole sapere, vuole conoscere realtà troppe volte dimenticate e per molti anche sconosciute. Jonata Torricelli scolpisce a tutto tondo e con cognizione di causa un affresco della gioventù degli anni ottanta. E lo fa con amore, con dolore, con forte capacità espressiva. Con impellente desiderio di narrare. C’è dinamismo, ecletticità, scioltezza nella scrittura in questo autore nato a Colombo, capitale dello Sry Lanka da genitori italiani e che ha vissuto in Persia, Africa, Gran Bretagna ed Emirati Arabi. A voi care lettrici, a voi cari lettori la scoperta di questi “Moicani degli anni ottanta”.

2 Commenti

  1. Un ragazzino e la droga : un incontro devastante di vita vissuta.
    E sullo sfondo gli anni Ottanta, quelli del boom finanziario, che sembravano d’oro ed invece luccicavano soltanto di angoscia.
    Jonata Torricelli si palesa, quasi in un diario ove superficialita’ e desiderio del proibito vanno a braccetto.
    C’e’ tanta miseria (culturale e spirituale) fra i moicani di Modena. Riflesso di una societra’ intrisa del nulla del tutto.

    Gaetano

    • Una risposta molto scarsa di intelligenza … dire che Jonata , si palesa in qualcosa di superficialità e probito vuol dire non capire proprio nulla di quello che si è letto, veder morire dei coetani e sentirsi dire superficiale fa capire in che mondo di ignoranza si continua a vivere, viene anche commentato il desiderio del proibito, che può essere correlato col proibizionismo … ma visto i temi del libro si spinge oltre il limite del proibito. Mi fa piacere che si commenta la miseria culturale e spirituale … quando palesemente si parla di scritti evangelici non riconosciuti dalla chiesa ,non per questo vuol dire che siano falsi, di esperienze extra corporee scientificamente riconosciute le cosidette OObe ma il commento nulla di tutto è l’espressione dell’ INTELLIGENZA … complimenti … grazie di esistere Gaetano…. nome nordico derivante da un ramo genealogico di svariate colture … come descrivo nel libro

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