Seduta nella grande poltrona del salotto, con l’abito scuro che le lasciava scoperte le ginocchia e con il colletto di pizzo intorno al collo, l’esile ragazza poteva sembrare un’adolescente; il piccolo volto leggermente appuntito dalla magrezza, era incorniciato da capelli folti e rosati; la pelle era bianca e trasparente così come erano chiari e trasparenti i suoi occhi, da far ricordare l’acqua del mare sulla sabbia bianca.
Tenendo le mani in grembo, si toccava le unghie, non lunghe e pennellate di smalto rosa. In realtà Mirto aveva ventuno anni.
Se ne stava seduta con le gambe incrociate e guardava intorno a sè la stanza tappezzata di stoffa lucida, con la mobilia di legno scuro che dava all’ambiente una austerità che la intimidiva.
Alla grande finestra che si affacciava sulla città, era appesa una tenda bianca tanto fitta che impediva del tutto di poter guardare all’esterno.
Scendeva dal soffitto, a perpendicolo sul salotto, un lampadario grande, con coppe di opale bianco a forma di fiore ed otto bracci diritti color bronzo brunito che giravano intorno ad una coppa centrale formando una raggiera.
La giovane indossava scarpe color coloniale, basse ed uguali alla cintura che aveva in vita, stranamente dello stesso colore del rivestimento del salotto su cui era seduta.
Il tavolo le arrivava all’altezza delle braccia, a mò di vassoio ed ella vi si appoggiò per alzarsi.
C’era un armadio grande e scuro, che riempiva la parete ed era pieno di libri richiusi da antine di vetro. Libri di ogni genere: narrativa, saggistica, libri d’arte, enciclopedie ed anche una raccolta di libri molto antichi e preziosi le cui copertine dalle raffinatre rilegature, davano un effetto cromatico vivace ed austero ad un tempo..
La ragazza guardava con interesse i titoli ed i nomi degli autori, molti dei quali ella conosceva, per averli letti e studiati e le venne il desiderio di prendere un volume tra quelli che non aveva letto. Pensò però che quello era il momento meno adatto, aveva il cuore in subbuglio e preferì starsene tranquilla ad aspettare.
Il cigolio di una porta che si apriva la fece sobbalzare e la distolse dalla sua riflessione sulle letture.
Si voltò di scatto e, nel vedere sulla soglia la sagoma in controluce dell’uomo che stava entrando, cercò di nascondere un vago imbarazzo che l’aveva fatta arrossire. Egli la guardò in silenzio per un istante, poi si mosse ed andò verso di lei prendendole entrambe le mani e sorridendo:
“Mirto, che sorpresa! Sono lietissimo di rivederti!”
Mirto rispose al suo saluto e mal celando il rossore che improvvisamente le era salito al volto, andò ad abbracciare Gianmaria che le era cugino.
Egli la tenne stretta a sé con il braccio, mentre le indicava di sedersi con lui sul divano.
“Ti prego, raccontami ogni cosa, spiegami dettagliatamente come sono andate le cose; la tua telefonata mi ha preoccupato. Dal tono della voce e dalle poche parole che mi hai detto, ho capito che ti trovi in un momento davvero difficile.”
Mirto si sedette accanto a lui; confortata ed esortata dalle sue parole; si dispose con fiducia a confidargli il motivo per il quale era corsa lì, dopo aver lasciato la casa nella quale viveva da anni, ospite degli zii.
Era tuttavia preoccupata di dovergli dire la verità. E se Gianmaria l’avesse fraintesa? Era pur sempre anche lui affezionato agli zii. Avrebbe dato credito a quanto essa aveva in cuore di dirgli, e si sarebbe fatto carico di decisioni drastiche nei loro confronti, diffidando di loro e giudicandoli addirittura immeritevoli di riavere la nipote con loro? Mirto andava meditando in sé stessa gli ultimi avvenimenti che l’avevano spinta a ricorrere all’aiuto del cugino.
Lo guardava e il giovane pareva distratto, con gli occhi nel vuoto; Mirto dovette chiamarlo affinché le ponesse attenzione anziché scrutare, come poco prima lei aveva fatto, i libri nell’armadio. Un po’ sorpreso Gianmaria la guardò e la pregò di iniziare a parlargli, di non tralasciare alcun particolare facendosi frenare da impulsi di buonismo, che non avrebbero fatto altro che confondere la situazione.
Gli zii godevano, nella famiglia, di stima e di considerazione e Mirto sapeva che, dopo quanto avrebbe rivelato al cugino, si sarebbe creata una profonda incrinatura, forse una frattura irrimediabile nella famiglia.
Ella raccontò che una sera venne a casa della zia, invitato per la cena, un signore piuttosto prestante e dai modi gentili. La zia lo aveva invitato quella sera perché lo zio, che solitamente per quell’ora era di ritorno dall’ufficio, sarebbe stato assente; Mirto invece era presente.
La ragazza s’era accorta che a tavola, la conversazione verteva su argomenti e su persone che ella non conosceva, di cui ella non aveva mai sentito parlare. I due s’intendevano con brevi frasi indistinte, allusive e volutamente lasciate incomplete, si lanciavano cenni d’intesa; era evidente una inequivocabile complicità su fatti a lei sconosciuti e dal contenuto scabroso.
Mirto si sentì in grande imbarazzo, si alzò e volle ritirarsi in camera sua senza terminare di cenare. La zia e l’ospite che avevano volutamente tenuto quell’atteggiamento provocatorio, non fecero alcun commento, la salutarono con indifferenza e la ragazza, quasi correndo, si ritirò, lasciandoli soli e senza domande di chiarimento.
Era inquieta ed un certo malessere accompagnava il suo sconcerto. Avrebbe voluto che quella persona se ne fosse andata immediatamente e che, prima del ritorno dello zio, ella potesse avere spiegazioni.
Pensieri contraddittori l’agitavano: una profonda amarezza, anche un disgusto, come una pugnalata alle spalle perché le era parso di trovarsi in un altro luogo, in un’altra casa, con gente mai conosciuta. Invece era nella casa degtli zii che l’amavano. Aveva un bisogno estremo di recuperare le energie per affrontare la questione, con lo zio presente.
Dopo anni di convivenza ed in un solo giorno, Mirto aveva capito che la zia non era la persona che aveva sempre conosciuto. Era poco quanto era trapelato durante quel pranzo con il suo amico, tuttavia le era bastato perché venisse cancellata totalmente l’immagine che aveva sempre avuto di lei, di quella parente che l’aveva ospitata dopo la morte di suo padre. Quanto aveva intuito e compreso l’aveva colpita molto negativamente ed ebbe una reazione contraria uguale all’intensità dell’impressione negativa che aveva ricevuto.
L’aveva sempre conosciuta come persona bonaria ed accogliente, con quel suo fare un po’ astuto e un po’ capriccioso e malgrado ciò, capace comunque di suscitare simpatia.
Era di aspetto gradevole, con un sorriso frequente. Non era raro che, chi la incontrasse per la prima volta, ne facesse commenti positivi.
Le zio l’amava ed il rapporto con la moglie era per lui prioritario su ogni altro. Ella in realtà lo dominava però gli infondeva sicurezza e forza stimolandolo ed esortandolo ad affrontare qualunque tipo di esperienza; in special modo se si trattava di qualcosa di faticoso. Ed egli sempre eseguiva ogni cosa cercando di accontentarla.
A Mirto erano sempre parsi una coppia monolitica, una unione indiscutibile e di cui ci si potesse fidare, sulla quale mai nessuna ombra era passata.
I signori De Rosa abitavano in una bella casa antica, che la zia aveva ereditato a sua volta dalla sorella di sua madre, poiché l’aveva ritenuta sempre la nipote a lei più somigliante.
Davanti alla casa si stendeva un grande parco ed ogni mattina, da ogni stanza della casa, si potevano ammirare prati ed aiuole fiorite, in tutte le stagioni.
Un pino, ancora più antico, spingeva i suoi rami fino alle finestre della camera occupata da Mirto e che comprendeva, attigui, anche uno studiolo ed una stanza da bagno indipendenti.
Mirto vi abitava molto volentieri e trascorreva il tempo libero dallo studio, in compagnia degli zii e di alcuni amici del rione che frequentavano la sua stessa Università, accettando che ella li ricevesse e stesse in loro compagnia nella loro casa.
Erano due fratelli che abitavano nel vicinato; altri giovani: una ragazza ed un ragazzo che abitavano nella via, un po’ più lontano. C’era inoltre una giovane, che era venuta ad abitare da poco tempo in città, con i genitori ed una sorellina, provenienti da Genova.
Mirto suonava il pianoforte; si era diplomata al Conservatorio l’anno precedente e dopo si era iscritta alla Facoltà di Storia dell’Arte, per completare la sua preparazione culturale nel campo artistico.
Era solita intrattenere gli amici con musiche che fossero di loro gradimento. Oltre ai brani lirici e classici, ella eseguiva originali arrangiamenti su brani di musica leggera, scelti e proposti dagli amici.
La ragazza genovese si chiamava Mariola e Mirto aveva scoperto che aveva una bella voce lirica dal timbro molto personale ed interessante. Avrebbe voluto che cantasse per loro, glielo chiese e s’impegnò ad accompagnarla e ad istruirla nell’impostazione del canto. La ragazza le rispose di sì con entusiasmo e si affidò alle lezioni della sua nuova amica.
Mariola era molto giovane, non aveva ancora compiuto i diciott’anni. Era di fisico sottile e slanciato, aveva capelli folti e ricci, di color castano. Portava sulle mani particolarmente lunghe e affusolate, una serie di anelli piccoli e preziosi.
Mirto aveva già constatato che Mariola era di indole molto vivace e che aveva, pur così giovane, molta ambizione e volontà. Aspirava a raggiungere mete importanti e, quando Mirto le aveva prospettato il canto, aveva accolto la proposta senza esitare.
Avevano stabilito insieme di fare una lezione tre volte la settimana ed anche che avrebbe cantato in pubblico, soltanto quando Mirto l’avesse ritenuta pronta. Ancor meglio, Mirto l’avrebbe fatta ascoltare prima da un maestro di musica, suo conoscente ed ex suo maestro di musica.
La ragazza le fu molto grata e l’intesa era che sarebbe andata, per le lezioni, nella casa degli zii di Mirto.
Mirto era assorbita da tutto questo mondo di cose pulite, rassicuranti; era stimolata ed anche gratificata dalle sollecitazioni dei suoi amici.
Conduceva insomma una vita impegnata ma semplice e piacevole.
Era per natura molto laboriosa ed il tempo che le restava era poco. Alla sera non usciva; faceva compagnia agli zii o studiava. Aveva stabilito di ricevere gli amici un giorno alla settimana, per gli incontri musicali in casa degli zii, ed era il mercoledì pomeriggio, dopo l’Università, oppure alla domenica.
I minuti trascorrevano lentissimi e Mirto venne al dunque del suo racconto. Molto della sua vita era già chiaro al cugino, che la incontrava spesso e riceveva da lei tutte le confidenze.
Quella sera non era riuscita a prendere sonno, non sapeva prendere alcuna decisione, era rimasta nel letto irrigidita, impietrita dalla forte scossa provocatale dal fatto di qualche ora prima, con i pensieri in subbuglio e non sapendo che fare.
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Dal libro Mirto di Dorella Dignola Mascherpa