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Jimmy e Ji di Patrizia Gaslini

Lei mi chiamava Jimmy, il mio sesso si era finalmente rivelato durante l’ultima ecografia; da allora l’avevo spesso sentita ripetere frasi come: “Jimmy si muove, Jimmy scalcia, Jimmy dorme”.
In principio non sapevo chi di noi due fosse Jimmy, solo più lardi mi ero reso conto che non potevo che essere io, dal momento che mio fratello o meglio, quel piccolo fardello caldo che stava rannicchiato dietro le mie spalle non si era ancora fatto scoprire; nessuno, a parte me, sapeva della sua esistenza.
Era schivo e tranquillo, raramente l’avevo sentito muoversi e solo talvolta le sue mani piccole ed esili avevano toccato il mio corpo, sospinte da un movimento involontario.
II suo volto aveva lineamenti delicati: naso affilato, labbra sottili, mascella ovale, sopracciglia appena accennate.
Era quella la sedicesima settimana di vita in utero e dentro quel grembo il tepore era delizioso e lo spazio ancora abbastanza grande per raggomitolarsi o stirarsi a piacere, lasciandosi cullare, ora dal ritmo tranquillo del respiro sopra di noi, ora dal movimento impercettibile delle acque intorno a noi.
Proprio in quel tempo per la prima volta l’avevo visto aprire gli occhi, guardarmi, e non c’era stato bisogno di altro perché le nostre menti si erano immediatamente sintonizzate; i loro contenuti erano perfettamente e straordinariamente sovrapponibili, poiché l’archivio genetico che li raccoglieva, conservandone la memoria, era assolutamente identico così come il nostro sesso: eravamo due gemelli maschi, monozigoti ovvero figli dello stesso istante, con gli stessi geni, le stesse fisionomie, le stesse banche dati.
Avendo perciò un passato prossimo e remoto di cui polivamo condividere storie e vicende comuni, trascorrevamo le giornate a scambiarci racconti e immagini, che scorrevano dentro le nostre memorie come dentro la pellicola di un film.
Eravamo legati da un intreccio di vite e di vicende, da intere genealogie di volti, da successioni di guerre e rivoluzioni, di terremoti ed eclissi, frutto di chissà quante combinazioni e scambi di geni; all’album di famiglia e di ricordi mancavano soltanto i nostri genitori.
Di entrambi sapevamo ben poco perché, avendo ciascuno di noi ereditato la metà dei loro cromosomi, ne avevamo in memoria soltanto stralci o frammenti che raramente ci riusciva di ricomporre con coerenza.
Mossi però dalla curiosità, o forse da un bisogno che allora sfuggiva alla nostra comprensione, cercavamo senza tregua di mettere insieme il maggior numero di informazioni disponibili, per poi tentare di costruire, pezzo per pezzo, il loro identikit; le soluzioni erano però così numerose e sempre così poco rispondenti alle nostre aspettative che ogni volta venivano scartate, cosicché al momento dovevamo accontentarci di deduzioni che ci provenivano da percezioni puramente istintive.
Era così che di nostra madre conoscevamo il cuore, la mente a cui era tanto facile accedere, le mani che sentivamo cingerci e accarezzarci, la voce sottile e rassicurante, la tenerezza e la forza dei sentimenti quando pensava a noi, o più esattamente a me, visto che di mio fratello ancora non sapeva nulla, ma questa è una precisazione su cui d’ora in avanti sorvolerò.
Ci piaceva comunque giocare a immaginarla come avremmo voluto che fosse, prendendo in prestito dalla nostra fantasia storica i modelli più adatti; da lì emergevano i volti più disparati frutto di tante memorie passate e sovrapposte: donne brune o bionde, alte o basse, coi capelli lunghi e raccolti o sciolti e liberi, bisnonne, trisavole, ave di chissà quali epoche, imprigionate con le loro fisionomie nei geni dei pronipoti e proiettate fino a noi come immagini virtuali dentro il futuro. A chi più fra loro poteva assomigliare nostra madre?
Di nostro padre invece avevamo imparato prima di tutto a conoscere la voce che, per quanto lontana e contraffatta dallo schermo che ci separava, risultava robusta e gradevole; avevamo anche dedotto che fosse un uomo imponente dal momento che col suo avvicinarsi proiettava su di noi un cono d’ombra che riusciva a oscurare totalmente il nostro campo visivo come durante un’eclissi di sole.
Gli piaceva raccontare storie d’avventura che parlavano di terre lontane e inesplorate, di montagne così alte da penetrare il ciclo, di grandi laghi solitari, alimentati da torrenti impetuosi che lì vi esaurivano la corsa, e noi rimanevamo svegli fino a linda notte ad ascoltarle, immobili, dentro il più totale silenzio.
La sua risata poi era così allegra e chiassosa da sollecitare intorno a noi un movimento di leggerissime onde che, propagandosi lungo tutto il corpo fino alla pianta dei piedi, ci procuravano una piacevole sensazione di massaggio e solletico.
Ji – così avevo deciso di chiamare il mio gemello – lo adorava e per lui il suo fragile cuore riusciva a palpitare di un’emozione così intensa, da farmi ogni volta temere un cedimento improvviso della sua già precaria, perché difettosa, struttura, Entrambi ne eravamo consapevoli, poiché dentro il grembo della natura tutto è noto, fin dall’inizio mente e corpo sono inseparabili e nulla avviene senza che ciascuna delle parti ne sia a conoscenza; sapevamo perciò che un incrocio fra i vasi arteriosi in uscita dal grande muscolo era stato sbagliato, provocando, proprio in fase di costruzione, un crollo di tutta la sua sezione sinistra. Quell’anomalia lo rendeva più vulnerabile, più delicato, ma finché fosse rimasto vicino a me, non avrebbe corso pericoli perché il mio cuore era abbastanza grande e forte per tutti e due.

JIMMY E JI di Patrizia Gaslini – Il Filo 2008 – pag. 94
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Il commento di NICLA MORLETTI

Romanzo originale, scritto in punta di penna. Di una morbidezza accattivante. Una storia insolita e per questo ancora più attraente. Un diario davvero speciale che narra l’evolversi di due vite nel grembo materno: Jimmy e Ji. Siamo all’alba della vita, nel cuore della vita stessa che germoglia lentamente, prima di sentire l’aria e di vedere il sole.
Cullati dal respiro della madre, i due feti imparano a sopravvivere in un luogo caldo e protetto, ma anche travolto da emozioni e sensazioni, che essi ancora non conoscono. Fragili e indifesi, Jimmy e Ji percorrono il loro cammino, mentre la natura, madre eterna di tutte le cose, li protegge e insegna loro ad essere forti. Pagine emozionanti di vita e d’amore.

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