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I Ciferi di Giovanni Guerra

Capitolo I – La nascita-

Tutto iniziò ventisette anni fa. Non avevo nessuna intenzione di venire al mondo poiché già allo stato embrionale sentivo odore di guai.
Ho fatto di tutto per non nascere, ma dopo nove mesi e venti giorni di trattative e patteggiamenti, ho dovuto cedere.
La mattina mi piace dormire e così, nel giorno in cui, mio malgrado, sono venuto al mondo, ho voluto dedicare le ultime ore a me stesso. Sistemate le ultime cose e controllato che fosse tutto in ordine, mi sono arreso definitivamente la sera, sperando che fossero tutti stanchi.
Ma non fu così. I Ciferi erano agguerriti e mi attendevano come un plotone d’esecuzione.
Sono un essere vivente della specie Homo Sapiens, di etnia caucasica e di sesso maschile e questo fu per loro il primo trauma. Probabilmente erano convinti che sarebbe venuta fuori una sostanza amorfa, un individuo deforme o qualche esemplare di scimmia cannibale.
Zia Sara, sorella di mia madre, che ha sempre ragione, non accettò l’evidenza. Doveva esserci un errore. In precedenza aveva deciso che nel caso sfortunato fosse venuto al mondo un essere umano normale sarebbe stato di sesso femminile e aveva fatto acquistare un intero guardaroba da 0 a 18 anni per donna.
Il profondo dolore per il colpo subito schiacciò i Ciferi al suolo. Qualcuno rischiò la morte per anossia e fu necessario l’intervento dell’unità di anestesia e rianimazione.
Ripresi dal primo impatto si riunirono. Avevano sbagliato ogni previsione, ma ovviamente l’errore era mio, che non avevo capito come dovevo nascere.
In ogni caso era necessario comunicare la notizia al resto del mondo. Tutti iniziarono a correre da tutte le parti e cercare un telefono. Non importa a chi, l’importante era telefonare.
A quei tempi non esistevano i cellulari e l’unico modo per farlo era usare i telefoni fissi. Presero d’assalto il centralino dell’ospedale non lasciando spazio neanche alle telefonate d’emergenza. Prima di ogni cosa venivano loro.
Nel frattempo mia madre, non avendo nulla di meglio da fare, decise di stare male per focalizzare su di sé l’attenzione dell’intera equipe medica e paramedica. In genere non le crede mai nessuno, anche perché ogni giorno cambia malattia, dimenticando quella del giorno prima. In quella occasione, però, considerata la situazione, poteva essere creduta e ne approfittò.
Così mi rassegnai; era la prima di una lunga serie di sconvolgimenti. Mi trovavo da solo su un tavolo, faceva freddo, non potevo neanche coprirmi con la placenta, avevo solo il cordone ombelicale.
Ma facciamo un passo indietro e precisamente nel periodo in cui sono stato concepito.
Mio padre si chiamava Tonino, depresso cronico finché è vissuto. Non ha mai capito se è la terra che gira intorno al sole o viceversa. Quel che è peggio, non aveva capito mia madre.
Ogni mattina andava a lavorare per inerzia, in quanto mia madre lo cacciava fuori di casa.
Mia madre si chiama Adalgisia, isterica e ipocondrìaca. È convinta che senza di lei il mondo non possa andare avanti, in realtà combina solo guai a se stessa e agli altri.
Ha una gatta che sia chiama Gertrude, un aborto di tigre, o, meglio, di pantera, in quanto è tutta nera. Si nasconde dietro gli angoli della casa e aggredisce le persone quando passano, graffiandole sulle gambe. Ha il pelo lungo e non ho capito se è la gatta che si pettina come mia madre, o, se è mia madre che si pettina come la gatta.
A un certo punto mia madre decise che mio padre doveva fare carriera e considerava se stessa l’unica persona capace di promuovere una ascesa professionale e personale del marito.
Così iniziò a intraprendere contatti con i colleghi e i superiori di mio padre. Le telefonate e gli incontri si intensificarono in breve tempo e mia madre pregava sempre tutti di non raccontare mai nulla a mio padre, considerando che si stava sacrificando per il suo bene.
Nella settimana in cui il tutto avvenne mia madre ebbe 1577 svariati incontri e il problema potete immaginario. Vi può sembrare assurdo, ma 1577 incontri in sette giorni sono circa 225 incontri al giorno, che nell’arco delle 24 ore sono circa 9,375 incontri all’ora, un incontro ogni 6,4 minuti circa. Fattibile per chi ha tanta buona volontà. In fondo era convinta di essere spinta da una nobile causa e non capiva perché dopo qualche mese aumentava di peso e la sua pancia di volume.
Era una brava donna ed era sicura che prima o poi sarebbe diventata santa. In verità non si sarebbe fermata al millecinquecentosettantasettesimo incontro se non fosse stato per un “infortunio”, diciamo, pure, a questo punto, lavorativo.
Quel giorno, infatti, mio padre, tornando a casa, vide per strada un suo collega che correva per la strada, reggendosi i pantaloni sbottonati, macchiati di sangue, che urlava: «Ciuccia!, Ciuccissima!».
Quando io nacqui mia madre non mi allattò, non capiva per quale motivo avrebbe dovuto farlo, nonostante i medici e i miei nonni glielo dicessero. Non andò neanche al mio battesimo, povera donna, aveva tanto da fare, e ancora oggi, dopo tutti questi anni, sbaglia il mio nome, non sa ancora come mi chiamo.
La morale, amici miei è questa: non importa come, ma in un modo o in un altro si nasce.

I CIFERI di Giovanni Guerra – GRUPPO ALBATROS IL FILO, 2011 pag. 48

Il commento di NICLA MORLETTI

“Tutto iniziò ventisette anni fa. Non avevo nessuna intenzione di venire al mondo poiché già allo stato embrionale sentivo odore di guai”. Ecco l’ottimo incipit di questa ben articolata novella. Dice l’autore: “In realtà oggi dovrei scrivere quarantasette anni fa. Avevo ventisette anni quando ho scritto questo racconto e molte cose sono cambiate da allora… È stato lasciato nel cassetto per vent’anni e solo oggi viene alla luce. Perché? Non lo so. È andata così”. La scrittura è una cosa meravigliosa. Fa emergere nomi, cose, eventi, dipinge fantasmagoriche storie. E Giovanni Guerra è abile nel narrare: stile ineccepibile, senso dell’humour, frasi coinvolgenti. Una storia insomma che cattura, che prende sin dalla prima pagina con la descrizione della famiglia Ciferi, nonna Cosima, Zichina, le dicerie della gente. Tutto da leggere.

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