Sono un petalo di gelsomino
sopravvissuto, accartocciandosi,
al rigore dell’inverno.
Cresta di monte
sfavillante di bianco abbandono,
che si consuma nel suo orizzonte
o solo granello di senape,
rimasto tra le pieghe delle dita,
che non si è arreso alle folate di vento?
Più non so.
Ero castello di sabbia
sconvolto da un’onda più audace,
portato via dall’amore del mare
in fondo ai suoi abissi
e mi ritrovo stazione per viandanti,
stanchi di lontananze e di deserti,
che cercano ristoro
nelle increspature delle parole.
Funambola precaria
cammino su frammenti di vetro,
cercando la mia anima
in un oceano di solitudini.


