“Il lavoro rende liberi”, questa la scritta che campeggiava, e ancora permane, dopo essere stata sottratta e recuperata, all’ingresso del campo di concentramento nazista di Auschwitz, in Polonia, il più grande fra gli orribili luoghi di sterminio che caratterizzarono i momenti bui della seconda guerra mondiale. Quanta impostura in queste parole! Infatti, esse nascondevano la tremenda realtà dell’intolleranza, della crudeltà, della negazione di dignità, della perdita di speranza che albergavano in quelle tristi baracche, tra i forni crematori, le fosse comuni, gli esperimenti “medici”. Il 27 gennaio è dedicato alla Shoah. Con la legge n. 211 del 20 luglio 2000, la Repubblica Italiana ha riconosciuto questa data come “Giorno della Memoria” che celebra e ricorda milioni di vittime innocenti e rivolge un pensiero grato a quanti si opposero, salvando vite e proteggendo i perseguitati, a una funesta pagina della storia. Nel nostro Paese, come in tanti altri del mondo, l’Olocausto degli ebrei, sterminati da una perversa ideologia, viene commemorato con cerimonie e manifestazioni, sia a livello istituzionale, sia con iniziative di enti e associazioni. Ugualmente, nelle scuole, non mancano momenti di riflessione sul monito e sugli insegnamenti che i giovani hanno il dovere di trarre dagli errori dei loro predecessori. La Shoah è stata una tragedia unica e senza precedenti, ma è anche importante che tutta questa sofferenza non cada nell’oblio, soprattutto nelle coscienze delle nuove generazioni. Per quanto dolorosi, per quanto traumatizzanti, quegli eventi devono restare ben presenti nella mente e nel cuore di coloro cui è affidato il futuro dell’umanità. Perché non si ripetano, perché la pace e la tolleranza nei confronti dei “diversi”, siano essi di altra etnia o religione, prevalgano e si affermino sempre come valori universali. All’Ufficio Immigrazione degli Stati Uniti, Albert Einstein, interrogato su quale fosse la sua razza, rispose: “Sono di razza umana”.