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Il Suono Sacro di Arjiam di Daniela Lojarro

L’estate volgeva al termine, ma il sole dardeggiava ancora su Tuhtmaar, la capitale del regno di Arjiam. L’acqua scorreva lenta nel letto dei due fiumi, il Suszray e il Whahajam, e sembrava adattarsi al ritmo sonnolento di quel pomeriggio afoso, trascinandosi pigramente in mezzo alle canne, aggirando rocce e massi per lambire dolcemente le rive con un debole sciabordio.
La pigra tranquillità di quelle ore torride, ad un tratto fu percorsa da un tremito, da una vibrazione d’energia, mentre nel cielo si stagliava l’ombra di un’aquila del deserto. Il rapace sorvolò le residenze delle nobili Famiglie di Arjiam, volteggiando più volte sui lussuosi padiglioni del palazzo ter Hamadhen, ma non appena percepì una voce di donna elevarsi dal Santuario del Suono Sacro, si diresse all’isola in mezzo al fiume Suszray, dove il Santuario sorgeva. Mentre la voce continuava a dispiegarsi con dolcezza ipnotica, l’aquila penetrò nel cuore del Santuario, posandosi sulla pietra di luna sospesa sulla grande vasca sacra. Girò il capo, ascoltando con attenzione, finché i suoi occhi si fissarono sull’entrata di una delle cappelle. La Magh, attratta da una consonanza incomprensibile e ignota, uscì indugiando sgomenta sulla soglia nello scorgere il rapace; soggiogata dalla forza di quello sguardo magnetico, tramutò l’inno del raccoglimento in quello della contemplazione, andando sotto la pietra di luna della piscina sacra. Il canto sacro acquisì vigore, animandosi in un ritmo sempre più frenetico, mentre l’enorme gemma iniziò a vibrare. L’acqua della vasca sacra prese a ruotare rapidamente innalzandosi in un vortice che, avvolta completamente la donna, giunse a sfiorare la pietra di luna.
La voce della Magh fu incrinata da un tremore d’indecisione: avrebbe desiderato con tutta se stessa abbandonarsi a quelle vibrazioni magiche, ma aveva promesso al suo compagno di non compiere più alcun rito per non danneggiare la vita che portava in grembo. Tentò di smettere, ma gli occhi dell’aquila tornarono a scrutarla. Il Suono Sacro, la vibrazione che aveva dato vita a tutto il Mondo e che lo animava, non avrebbe mai potuto essere pericoloso per la sua creatura.
Rassicurata da quel pensiero, Xhanys dispiegò la sua voce nelle sillabe arcane dell’inno sacro, affrontando con sicurezza le luminose note acute dell’inno per sprofondare poi nel baratro vellutato e tenebroso di quelle gravi, cedendo al sentimento di piacere e d’ebbrezza che la stava invadendo. Suono e Silenzio, Luce e Oscurità, si cancellarono nella sua percezione e Xhanys si disciolse nella vibrazione della sua Armonia, abbandonandosi al Suono Sacro. L’aria si accese di lampi azzurrognoli e un improvviso scoppio agghiacciante la fece barcollare e la donna, sconvolta dalle immagini che sorgevano dal Tempo che sarebbe venuto, lanciò un urlo di terrore: l’incantesimo s’infranse, l’acqua di colpo ricadde in onde scomposte e l’aquila, dopo aver lanciato uno strido, svanì. Xhanys, priva di forze, si accasciò su se stessa, crollando nell’acqua, dove annaspò come un naufrago alla disperata ricerca di un appiglio e, solo dopo aver trovato la sicurezza del bordo della vasca, si rese conto di trovarsi nella piscina sacra. Mentre aspettava che il respiro e il frenetico pulsare delle tempie si acquietassero, Xhanys scrutò inquieta intorno a sé, nel timore di veder risorgere dall’oscurità del Tempo il fantasma della visione, ma i raggi del sole filtravano dall’ampia apertura sopra la vasca sacra, inondandola di luce.
Era al Santuario e non ricordava nemmeno di essersi allontanata da palazzo. Cosa era successo?
“Stavo solo sognando”, mormorò spaventata. “Stavo solo sognando!” reiterò con forza per convincersi.
In preda alla disperazione e al panico, Xhanys si precipitò fuori dal Santuario e iniziò a vagare per le vie di Tuhtmaar senza una meta precisa, sempre più confusa dalle grida dei venditori e soffocata dal caldo finché, facendosi largo tra il via vai di cavalli, portantine e carri che affollavano le strette viuzze della Città Vecchia, riuscì a districarsi dai vicoli del quartiere commerciale e a raggiungere la strada che costeggiava il Whahajam. Come una sonnambula senza rendersi nemmeno conto delle sue azioni, ne seguì un lungo tratto fin quasi all’altro capo della città quando, in un improvviso barlume di coscienza, riconobbe uno dei ponti che segnavano il confine tra i quartieri popolari della capitale e quello nobiliare: dopo averlo attraversato con passo vacillante, s’inoltrò nel lussureggiante parco del palazzo ter Hamadhen percorrendo un viale fiancheggiato da oleandri in fiore. Prima però di raggiungere il palazzo, si sentì mancare ed estenuata si sedette all’ombra delle grandi palme e dei cipressi stringendo con l’altra mano il ciondolo a forma di Uroburo che le pendeva sulla fronte.
Non era un incubo, aveva davvero avuto la visione: ciò che aveva visto confermava la sensazione di rigetto e ripulsa provata quando quella mattina Mazdraan l’aveva baciata. Nei lunghi anni dell’apprendimento alla Casa dell’Armonia e poi in quelli di pratica come Magh, si era sempre recata al Santuario fiera e traboccante d’esultanza per il talento che la rendeva speciale e diversa da ogni altro essere umano. Grazie al magico dono dell’Armonia poteva sollevare il velo della realtà che celava a tutti il mistero del Suono Sacro e sfiorarne l’essenza divina; ma quel giorno, in quello stesso luogo così amato e venerato, la sua felicità e il suo futuro erano andati distrutti. Le sembrava che l’Armonia stessa, che le aveva permesso di raggiungere uno dei gradi più alti nella gerarchia dell’Ordine dell’Uroburo nonostante la sua giovane età, non fosse più un dono ma un fardello. Avrebbe desiderato essere una persona normale e non una Magh; avrebbe preferito l’ignoranza alla conoscenza.

***

Dal libro Il Suono Sacro di Arjiam di Daniela Lojarro

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