E’ pomeriggio tardi quando ritorno. Mi fermo a comprare pane e due pezzi di pissaladiére.
“Ciao. Mi sei mancata.” Nemmeno il tempo di dire mezza parola che mi ricopre di baci.
“Fammi entrare, non vorrai dar scandalo qui sul pianerottolo?” rido.
Anche lui ride.
“Hai fame?”
“Una fame da lupi”
“Tieni, allora” e allungo la pissaladiére.
“Mmmm, buona. Hai avuto una bella idea”.
Poi mi prende per la vita e mi fa sedere sulle sue ginocchia.
“Domani cominciamo il ritratto”.
“Come vuoi”.
“Devo fare in fretta”.
“Perché?, che fretta c’è?”
Il suo sguardo si rabbuia improvvisamente e si fa serio.
“Nulla. Solo che devo fare alla svelta”.
Non chiedo altro, ma so che mi sta tacendo qualcosa di importante.
“Resteresti qui con me, stanotte?”
Lo guardo dritto negli occhi. In questo momento sembrano sconfinati. Sconfinati come il mare e profondi come l’abisso.
“Si” rispondo con un fil di voce. E mi chiedo se quella voce era proprio la mia.
E’ pomeriggio e la luce entra dagli scuri semiaperti. Ho sempre pensato che chi dipinge ha bisogno di tanta luce, invece qui siamo in penombra. Mi ha sistemato sulla sedia, in posa, e mi ha detto di stare ferma. Il silenzio incombe nella stanza. Si sente solo il rumore del carboncino che sfrega sulla tela. E’ assorto. La cosa curiosa è che io sono lì in posa e ricevo solo di tanto in tanto un’occhiata, come se avesse bisogno solo di una conferma. Deve aver letto nei miei pensieri, poiché dice:
“Di te, ora, conosco ogni linea, ogni curva, ogni cambiamento, ogni sguardo, ogni piega della tua pelle”. E io, molto più su quella sedia che non nel suo letto, mi sento spogliata. Completamente nuda, benché vestita.
“Forse conosci ogni centimetro quadrato della mia pelle” – sorrido – “ma non conosci null’altro di me.”
L’ho detto con poca convinzione: ogni volta che il suo sguardo si posa su di me, ed è stato così fin dal principio, sento la mia anima srotolarsi.
Mi guarda e sorride anche lui. Silenzio. In questa stanza il silenzio, diviene via via irreale. E ho la sensazione netta che questa stanza non è più qui ma altrove. Un altrove che io non conosco. Forse non mi sento bene. Ho una percezione di me diversa, e anche dell’intorno.
Ma è nel momento in cui il pennello tocca la tela per la prima pennellata di colore che avviene qualcosa di inspiegabile. Mi sento fluttuante, incorporea e come risucchiata in un vortice. E non vedo nulla, nulla di normale: solo un baluginio di luci e colori. Tento di chiamare Mistral, di dirgli che c’è qualcosa che non va, che non mi sento bene, ma la voce non esce. Avverto la presenza di Mistral: questo mi conforta. E pur non sentendo la sua voce, mi esorta a mantenere la calma. “Va bene, rilassati, va tutto bene”. Non riesco a rilassarmi. Quando non capisco cosa succede mi agito parecchio. A tratti vorrei urlare, mi gira la testa. Il sentirmi incorporea mi spaventa. Sto male e sto morendo. Sono i miei ultimi attimi di vita, o forse i primi della mia morte. Comincio ad essere molto spaventata. Sento un freddo esagerato. “Va tutto bene. Tranquilla. Ora torniamo”.”Torniamo?” Mi risento più pesante, più presente, la luce s’attenua, la testa si ferma. Il sangue torna a scorrere come di consueto. Io sono stanchissima. Accasciata sulla poltrona, vorrei solo dormire. E piangere. Mistral mi prende fra le braccia e le mie lacrime scorrono come non mai.
“Scusa” – dice – “Scusa, avrei dovuto avvertirti prima. Ma non potevo: tu sei speciale”.
*****
"Mistral" è un racconto a puntate.
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un bacio, Manuela
Sempre più trascinante questo racconto…
Affascinato dalla descrizione dei lei che posa per lui.
…sempre più affascinata. Attendo la prossima puntata con occhi grandi…
Complimenti Ars
Ars, questo racconto è sempre più avvincente…
Blue
Eh…?! Va bè che si tratta di un racconto a puntate però lasciarlo così…
Ok aspetterò paziente, paziente…
Ma a questo punto questo Mistral cos’è?