L’ansia
Rocco non prese alcun mezzo per tornare a casa, era troppo agitato e continuava a rivivere la sensazione del corpo di Lisa che aderiva morbido al suo, del suo profumo, della tenerezza delle sue guance. Se avesse seguito il proprio istinto l’avrebbe baciata appassionatamente ma aveva sentito che non era il momento, che avrebbe sbagliato, perché, ora lo capiva, lui non conosceva la vera Lisa. Aveva creduto che fosse sicura di sé, senza problemi, superba, e troppo spesso l’aveva sfidata. Ma anche da come lei aveva risposto al suo abbraccio, dal modo in cui si era abbandonata, dal suo timido silenzio, aveva compreso che Lisa era veramente diversa da come lui l’aveva sempre vista. Era stato uno stupido orgoglioso, lui che neppure aveva tentato di conoscerla, che non aveva mai chiesto di lei a Luca che la frequentava da tempo. Era vero, aveva dei pregiudizi! Improvvisamente vide il volto di sua madre che, quando suo padre emanava sentenze sulle ragazze moderne, scuoteva la testa, gli faceva l’occhiolino e poi, in privato:
– Tuo padre è un brav’uomo, ma non dargli sempre retta, – gli diceva – impara a guardare con i tuoi occhi.
Perché non l’aveva ascoltata? Improvvisamente l’assalì il terrore di perdere Lisa. Proprio ora si era svegliato? Quando entrambi sarebbero andati in luoghi distanti e per tanto tempo? Era assolutamente necessario vedersi, parlare, cercare di capirsi prima di lasciarsi. A qualunque costo.
Nei giorni seguenti Lisa conobbe una sensazione che mai aveva provato: l’ansia della telefonata. Lei che a malapena si ricordava di possedere un cellulare, che se lo dimenticava dappertutto in giro per la casa, ora non lo lasciava mai, sobbalzava a ogni squillo e rispondeva subito. Non si confidò con Marta, aveva quasi il timore che raccontando quanto era accaduto le sue parole suonassero scontate e banali. Sua madre la osservava in silenzio, intuiva che stava succedendo qualcosa, lo sperava anzi, ma sapeva che era meglio non chiedere, lasciare che Lisa trovasse il suo momento per confidarsi.
Dubbi, incertezze, speranze danzavano nella sua mente, e bastava che chiudesse gli occhi per rivedere Rocco, la sua alta figura, le spalle ampie, gli occhi grandi e scuri che la fissavano, di risentire il tocco deciso delle sue mani. Mai avrebbe creduto che si potesse tanto soffrire e tanto gioire nello stesso tempo.
Anche Rocco era divorato dall’ansia perché si stava accorgendo che non c’era speranza di trovare, in quei tre giorni, uno spazio libero per incontrarsi con Lisa. Ma solo dopo due giorni riuscì a pensare alla soluzione, a rompere lo schema. Sarebbe tornato a casa un giorno dopo e si dette dello stupido per non averci pensato prima, ma era troppo abituato a rispettare gli impegni, anche quando non era strettamente necessario. Avvisò sua madre che non fece una piega per il rientro ritardato, tanto che ci rimase quasi male. Infine stupito e sollevato insieme osò comporre il numero di Lisa la sera del secondo giorno, quasi a mezzanotte, la voce tenuta a freno per non rivelare la propria ansia, ma comunque un po’ affannosa:
– Lisa, anche domani devo rimanere tutto il giorno all’università, ma dopodomani sono libero, parto il giorno dopo.
– Va bene – rispose lei che non sapeva che altro dire o come dirlo.
– In cima alla scalinata di Piazza di Spagna alle undici?
– Sì, va bene – rispose lei e pensò di essere proprio imbranata.
– Buonanotte, piccola.
– Buonanotte Rocco.
E andò a letto ripensando a quel “piccola”, una parola che nemmeno la sua affettuosissima mamma usava con lei e chiedendosi come avrebbe dovuto vestirsi e se in fin dei conti valeva veramente la pena di essere così agitata.