Ti ho sfiorato, per la prima volta
con il mare sulla pelle,
con un Libeccio caldo che l’asciugava,
ti ho parlato con labbra di sale.
Ti ho sfiorato senza sapere
ch’era così che si comincia ad amare.
Ed è stato per poche ore.
Quello che basta per ricordare.
Poi è stato silenzio,
poi ancora uno sguardo,
poi correnti di parole
che non hanno sapore
che non sanno parlare
senza volto
e senza accento di mare.
Poi non ricordo,
quando ho capito che eri troppo lontano
e che il mare è un’amante crudele
che invade in silenzio,
e ti accarezza,
t’illude
senza promesse
di poterti seguire.
E adesso non saprei dire
se ero più sola quando
ancora non sapevo il tuo nome
o se lo sono adesso che non sei più mio
e il mare me lo ricorda
con la caratteristica
perseveranza che
gli appartiene.
Ti riporta a riva
e ti trascina via
e ti adagia sulla sabbia
e poi ti ruba di nuovo
ed è ancora silenzio.
E poi viaggi
poi baci
poi silenzi
poi treni
poi cieli
e lenzuola
poi ancora baci
ancora treni
e parole
e poi nulla.
Un cuscino sporco di sogni
di notti lontane
di ricordi sbiaditi.
Un letto scomodo
e pensieri disfatti
e poi dimenticare.
Fumo, numeri,
lettere, romanzi
e veleno rosso
che sa d’autunno
di zucchero e di sale.
E un analgesico d’oblio.
E quando spengo la luce,
dalla finestra entra il mare,
dalle montagne entra il mare
dal cielo si sparge
mi sorprende
mi annega.
E ancora cerco la strada
che porta alla riva,
ancora, senza sapere,
ricerco il naufragio.