Si vedeva, bambino, quando scorrazzava per i prati e le strade di campagna di un piccolo paese pedemontano dell’interland cittadino, dove era sfollato con la famiglia, perché c’era la guerra, la II Guerra Mondiale, un ricordo questo, nonostante il numero d’anni trascorsi, che era rimasto impresso nella sua mente in modo indelebile, per la serie di circostanze, alcune drammatiche, alle quali aveva dovuto assistere, suo malgrado. Poi c’era stato il ritorno in città, la scuola elementare, la media, infine il Ginnasio ed il Liceo, dolci anni quelli, che ricordava con nostalgia ed una punta di triste rimpianto, erano stati, forse, i migliori anni della sua vita.
Ora, era quasi, al quarto anno di corso nella facoltà di Giurisprudenza, si trovava in ritardo con il piano di studi, tuttavia, una giustificazione valida a questo ritardo egli l’aveva. Da un paio d’anni, suo padre, valente artigiano meccanico, titolare di un’officina molto bene avviata e con una numerosa clientela, si era ammalato di depressione, facendo precipitare nel baratro della miseria e della disperazione tutta la famiglia, perché oltre tutto, l’unica fonte di guadagno e di sussistenza era il lavoro di suo padre.
Marco si era dovuto occupare dell’attività del padre, per un certo periodo di tempo, egli conosceva anche il lavoro svolto dal suo genitore, era sempre stato vicino a lui, mentre lavorava, sin dalla tenera età e fino al conseguimento della maturità classica. Inoltre si era dovuto occupare della salute e delle cure mediche da offrire a suo padre che, nonostante tutto, non era guarito dalla depressione, che anzi si era quasi cronicizzata rendendolo invalido al lavoro.
Tutta una serie di guai, difficoltà economiche e gestionali, sofferenze psicologiche, lo avevano segnato profondamente, sentiva la responsabilità della famiglia, lui era il più grande, d’una decina d’anni, di quattro fratelli, tutti ancora in età scolare. Aveva dovuto dismettere l’attività paterna e trovarsi un lavoro; era stato assunto presso un giornale locale, con una paga piuttosto misera e nessuna garanzia previdenziale, tuttavia, faceva il corrispondente di un quotidiano nazionale, con una retribuzione che gli permetteva, integrando la paga del settimanale, di condurre una vita dignitosa, aiutando la sua famiglia.
All’Università, la mattina dopo, si era presentato per l’esame, doveva sostenere la prova sul Diritto del Lavoro, una materia del II anno di Corso che aveva tralasciato, quella era la sessione di Febbraio che di solito serviva per recuperare le materie non date nelle sessioni di Giugno e Ottobre. Dopo un’attesa snervante di alcune ore, era stato chiamato dal professore. Si sentiva nervoso, irritato, non era sereno e la preparazione della materia, per la verità, piuttosto sommaria ed affrettata, fecero il resto. La prova d’esame non fu superata e anzi, il professore, piuttosto che farlo ritirare, lo aveva bocciato, evidenziando l’insuccesso nel suo curriculum di studi.
L’esito negativo di quell’esame, inopinato, lo aveva reso furioso, si sentiva contro tutto il mondo, le cose non andavano bene e poi, c’erano tutti i problemi d’ogni giorno, doveva rientrare in sede, riprendere servizio al giornale, nella cui sede passava quasi l’intera giornata, quindi a casa sua con il padre che aveva costante bisogno di cure ed attenzioni che, a volte, imponevano una vigilanza continua. Non ne poteva più, aveva ventidue anni e gli sembrava di essere già vecchio, senza essere riuscito a realizzare i suoi sogni di giovane, pieno d’entusiasmo e con brillanti prospettive future.
Aveva voglia di dare una scossa alla sua vita, quale che fosse, anche inutile e trasgressiva, era un desiderio di libertà o meglio, di liberazione da preoccupazioni, afflizioni psicologiche e sofferenze dell’anima, forse, anche per questo, aveva deciso di andare da quella prostituta. Avrebbe sfogato là tutti i suoi crucci e le amarezze, lasciandoli in quel luogo di perdizione, dove tutto si dimentica, lasciando che il corpo abbia il sopravvento sulle sofferenze dell’anima e, come in una fumeria d’oppio cinese, tutto finisca in un oblio il più lungo possibile e riparatore.
Egli, non era mai stato in un postribolo, né in uno vecchio, stantio e convenzionale dei tempi andati, né in uno moderno senza garanzie, regole o vincoli. Non conosceva l’atmosfera di quel luogo di piacere. Per una volta, si era detto, avrebbe fatto anche quell’esperienza, che fra l’altro, uniformandosi alla concezione dei più di quel tempo, non poteva e non doveva mancare nell’esperienza del vissuto di un giovane.
Così ora, era dietro quella porta, questa volta non sarebbe fuggito, voleva affrontare quella prova, come una liberazione, non pensava nemmeno agli eventuali rischi che correva, tuttavia, mentre aspettava, cosciente di volere fare quella cosa, si sentiva come un condannato a morte che ormai non poteva sfuggire alla sua sorte. Evidentemente, era anche destino che accadesse, infatti, nella vita di ciascuno di noi, almeno una volta, ci sono delle cose che, inspiegabilmente, accadono, senza che sia possibile evitarlo. Per verificarlo, basta fare attenzione o ricordare, provare per credere!
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Dal libro Racconti. Ricordi, Esperienze, Sentimenti di Vittorio Sartarelli