Era uno di quei mattini d’estate, ce ne sono una manciata in un anno, in cui ogni cosa è intatta, perfetta al suo posto.
L’incanto di queste prime ore della giornata ci riporta a quando, bimbetti di quattro o cinque anni, ce ne siamo accorti per la prima volta.
Nel cortile sotto casa, le scarpette di tela e le calzine leggere, nell’aria ancora fresca s’insinuava piano il tepore del sole; guardando in alto a ricercarne i raggi, vedevamo volteggiare fringuelli e passeri mentre l’aria vibrava dei loro suoni.
Al di là della rete l’orto che profumava di odori, il grande albero che al momento giusto dava albicocche raccolte in cassette di legno.
L’occhio, che seguiva incantato i movimenti ipnotizzanti della farfalla, si era poi fermato sulle campanule bianche, con leggere screziature rosa, che i teneri gambi verdi avevano attorcigliato alla rete.
Le campanule, la farfalla, l’aria, si rassomigliavano nella stessa leggerezza e il loro ricordo si sarebbe ripresentato nel corso degli anni a venire, ogni volta che sensazioni di eguale leggerezza l’avessero richiamato.
Fu in una di quelle mattine che lo vide.
Si era affrettata ad uscire, chiudendosi piano la porta alle spalle, sapendo come erano brevi e preziosi quei momenti; ed era scesa, prima giù per i gradini di pietra fino all’orto, poi lungo il prato in forte discesa, oltre filari di vite, amarene e gli ultimi abeti, percorrendo tutto il terreno in pendio fino alla via giù sotto.
Si fermò sul bordo della strada polverosa.
Lui stava là, immobile, piantato in mezzo alla via.
Probabilmente, avrebbe pensato in seguito, celato ai suoi occhi da rovi di more, l’aveva sentita arrivare ma non si era mosso, o si era invece fermato al suono dei passi.
Boccheggiò guardandolo, per la sorpresa di essere quasi aspettata.
La faccia era come di un bambino nell’espressione, quasi all’inizio di un sorriso incerto; ma era un uomo, poteva avere venticinque… trent’anni; le sembrò paffuto, quasi grasso; la camicia a quadretti bianchi e verdi era diligentemente abbottonata sotto al collo fino all’ultimo bottone; le mani pendevano lungo i fianchi; di una, la sinistra, muoveva piano le dita.
Mentre fissava quelle dita che si muovevano, anche se molto molto lentamente, le sua labbra pronunciarono un buongiorno, ma la fronte le si era imperlata di sudore e sentì nella bocca, divenuta arida, quel buongiorno come un sasso pesante, che per conto suo rotolava all’esterno.
Guardò in alto, lungo il terreno da cui era scesa, come a cercare la sua casa, che però da lì non si poteva vedere.
Lui non rispose, né meravigliato né niente; lo sguardo ancora con la medesima espressione, come nell’inizio incerto di un sorriso; poi si mise a camminare adagio verso il paese.
Si mosse subito anche lei, ma nell’altra direzione; prima della curva si girò un attimo a guardarlo, con la coda dell’occhio però e a più riprese, perché temeva si voltasse a sua volta.
Le mani, non sapeva più a quella distanza se si muovevano ancora le dita della sinistra, erano le terminazioni di due braccia forti che sbucavano dalle mezze maniche, ed altrettanto le spalle e la schiena, evidenziate da una camicia troppo stretta.
Il collo, che sbucava strizzato dal colletto della camicia, era largo e corto nonostante un’attaccatura alta di capelli tagliati cortissimi.
Non le sembrò più quasi grasso ma forte e vigoroso invece; ricordò l’espressione del viso, oltre quella nuca, e accelerò il passo.
L’espressione del viso, quasi innocente, pensò ancora, quasi come quella di un bambino; le veniva solo questo paragone, come prima.
Ma la mattina era dolce, dolcissima; l’aria profumava, e ancora fresca, piano piano accoglieva tiepidi raggi di sole.
Ai lati della strada: erbetta verde smagliante, fiori coloratissimi eppure teneri, ronzio delicato di calabroni, farfalle in ghirigori liberi, e ancora riquadri di prati fino all’orizzonte più vicino, e le mucche e i loro campanacci, più in là un suono meccanico… Forse una trebbiatrice.
La sensazione di quel mattino di prima estate, non più all’inizio, era ancora viva e forte, ma sarebbe durata ancora per poco.
Alla sua sinistra si aprì una zona d’ombra: il torrente, che dalla sorgente più in alto attraversava i boschi verso la grotta, lì era quasi in secca.
Sul terreno pietre e sassi, esili rivoli d’acqua, fanghiglia, rifiuti tra i rami spezzati; a cupola, sopra tutto questo, osservava un groviglio di arbusti e rampicanti.
Avanzò in quel punto, oltre la strada; avvertiva quasi freddo, l’ombra si faceva più fonda e le sembrava che il lembo di sottobosco non ripulito, che aveva davanti, fosse cupo, come ad annullare la dolcezza del mattino.
Aguzzando gli occhi a monte, oltre la copertura di foglie e rovi, immaginò il susseguirsi dei boschi fino alla dorsale dei colli e alla piccola sella tra questi.
Lassù, all’interno delle colline, ben protetta da una ricca vegetazione, si stendeva un insieme di cavità, gallerie, cunicoli che, ora ampi ora stretti, formavano quella che da tempo si chiamava Buca del Vento.
Solo vent’anni prima vi si poteva entrare liberamente; ora solo una parte della grotta era aperta al pubblico, in orari precisi e in visita guidata.
Un più che tranquillo divertimento per famiglie. Ma inquietanti racconti del passato narravano di persone che lì si erano perdute e vi avevano trovato la morte, come due frati cappuccini che, appesi con una corda per esplorare una cavità, erano precipitati nel baratro e non più tornati; un altro, cammina cammina, per meandri sotterranei era arrivato, si diceva, fino al lago, e qui era stato trascinato via dalle acque profonde.
Leggende, a cui nessuno credeva più, narravano di suoni strani all’interno della grotta; fruscìi e gemiti che qualcuno avrebbe sentito e, fuggendo a gambe levate giù in paese, avrebbe poi raccontato di avere udito le voci di quei poveretti che nella grotta avevano perso la vita.
Gemiti e fruscìi apparentati alla voce del vento: da qui, il nome della grotta.
Più realisticamente, nominata ‘Buca del Vento’ perché l’entrata si trovava sulla dorsale della collina, in un punto più di altri esposto ai colpi del vento di nord-est.
Piuttosto vasta e di discreto interesse scientifico, venne detta anche ‘dei pipistrelli’, per la quantità enorme che ve ne trovarono i primi studiosi verso la fine del ‘700.
Come gran parte delle cavità dei tempi preistorici, utilizzata solo di rado come abitazione, era stata prevalentemente un luogo per sepolture collettive.
E l’acqua ancora adesso scorre al suo interno, lei pensava, forse la stessa di queste misere pozzanghere ai miei piedi.
Solo ricordi di sepolture preistoriche e leggende, ma l’ombra fredda di quel groviglio squallido di fanghiglia e rami spezzati era reale e la sentiva proprio addosso, come mani gelide che cercassero di trascinarla oltre la strada, facendola arrampicare, a carponi e a forza, su sassi e pietre lungo i boschi, su su fino alla dorsale.
E lì… si scosse: di quali sciocchezze stava mai fantasticando?
Uscì dall’ombra e ritornò decisa sulla strada.
Era trascorso poco tempo, ma oramai la mattina era entrata nella seconda fase; l’incanto iniziale era terminato.
Tra poco il caldo avrebbe affaticato l’aria.
Camminò fino al Gren, poi guardò l’orologio: Chiara stava per tornare.
Chiara: dodici anni e gli ultimi giorni di scuola.
Avrà fame, caldo e sarà stanca; e quindi anche un po’ noiosa, concludeva tra sé, con un mezzo sorriso, affrettandosi verso casa.
Come sempre, occuparsi di lei era un deciso colpo di spugna sul più piccolo accenno di nube.
***
Dal libro I racconti di CasaLuet di Susanna Trippa, recensito da Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari.
Vuoi sfogliare le pagine di questo libro e leggere i primi capitoli? Clicca sull’immagine dell’ebook qui sotto. Se ti colleghi con un terminale mobile CLICCA QUI. Per ordinare il libro e ricevere una copia con dedica autografa dell’autore al prezzo di € 13,00 (sconti particolari per chi ordina più copie) CLICCA QUI.
Per prenotare la produzione e pubblicazione dell’Ebook relativo al tuo libro nel Portale Manuale di Mari e nel Blog degli Autori contatta la Redazione.
[issuu layout=http%3A%2F%2Fskin.issuu.com%2Fv%2Fcolor%2Flayout.xml backgroundcolor=A4112B showflipbtn=true documentid=091029120351-d01ff764741e45bf8e2cd4077567b321 docname=raccontidicasaluet username=manualedimari loadinginfotext=I%20racconti%20di%20CasaLuet width=490 height=347 unit=px]



