Il vento, correva il …vento, tra le fronde asperse di luce autunnale, si scioglieva piano sulle guglie dei pensieri, portandoli con sé. Arrivava silente, nei vicoli della città, e faceva il suo lavoro. Rubava le ombre e le brutte storie, nascoste tra i capelli della gente, incurante. Incessante. Eppur nessuno avrebbe mai osato lontanamente immaginare tutto quanto. Ma tutto serbava un suo ruolo, anche una foglia dondolante a ciglio strada racchiudeva in sé un affascinante mistero.
E il vento lo sapeva bene, quanti foulard di giovani donne di zucchero, aveva fatto cadere ai piedi di solitari giramondo di sale. Quante volte aveva carezzato le malinconie degli amori, nei parchi di ogni regione, quante anime errabonde, a cui aveva asciugato lacrime, e donato dolcezze: un petalo, una piccola libellula colorata, un soffio birichino.
Un giorno si apprestava a far il suo lavoro, come sempre, da sempre. Un giorno in cui l’azzurro danzava tra il candore d’avorio dei morbidi cirri. Il giorno in cui fece una scoperta.
Sulla fredda panchina di pietra, vide una vita spenta. Le sue ali erano chiuse. Perché il vento le vedeva le ali di ogni essere vivente. Così ancorate al suolo, vuote di sogni, pesanti di vita, ali di ferro, senza leggerezza. Ali di chi dimentico del cielo volgeva lo sguardo solo dinnanzi alla propria ombra. Molti, forse quasi tutti avevano scordato le lezioni di volo impartite prima della nascita dal Creatore luminoso degli universi.
Ma ciò che vide quel giorno, fu tremendo anche per il vento, che conosceva bene i sentieri incantevoli e quelli di tenebra dell’esistere.
Aveva un’ala sola, l’altra era fiaccata, ma era grande grandissima, da volare oltre ogni confine, se solo quella creatura avesse voluto. Un tempo.
Il vento si accostò lento lento alla sua mente, e soffiò tra i suoi pensieri, per scorgere la radice del male che vibrava come una canna d’organo. Quell’anima piangeva, il suo cuore versava lacrime nere, come la notte priva di stelle. Un duro lavoro. Un lavoro che avrebbe richiesto molto impegno. La volontà, risvegliarla. Vivere ancora, amare di nuovo, brillare come nelle notti quelle stelle fanno, senza sapere come, ma per natura.
Si alzò una folata forte ma buona, calda immensa. Si diresse verso un nonsorriso poco distante. Un’altra panchina, due traverse più in là, un’altra anima infranta, con un’ala sola anche lei.
Il vento aprì le danze, rubò con un gesto dispettoso il cappellino che quest’altra creatura aveva posto di lato a sé, di paglia intrecciata, con una margherita incastonata su un lato.
Cominciò a danzare, come sulle note di un Tchaikovsky. La giovane anima, si accorse del furto e si destò dai suoi pensierinonvivi. Fuggiva veloce il copricapo da un destino spento, tra rapidi balzi roteando, con grande disinvoltura ora sulle siepi, ora tra le auto che sfrecciavano veloci.
Lesto il vento cercava di farsi vedere e trovare ed inseguire da quegli occhi tanto grandi quanto tristi. E più soffiava, più si illuminavano nella folle corsa verso il sogno. Cominciò a sorridere la donna con un ala sola, sorrideva, e muoveva la sua ala compiendo piccoli balzi.
Il vento rise anch’esso, disegnando nell’aria un gabbiano fatto di piccole foglie e ritagli di quotidiano, che cominciò a muovere le ali, a seguito del cappellino che puntò dritto verso il cuore che piangeva, posandosi tra le mani di quell’uomo silente. Si accese il giorno d’incanto quando quelle due anime a confronto riconobbero la fonte similare del loro dolore, e ritrovarono la chiave di un nuovo volo, abbracciandosi.
Una bambina curiosa intanto osservava da non troppo lontano un uomo ed una donna con un cappellino che sbucava dalla borsa, che tenendosi per mano passeggiavano, con i capelli spettinati e coronati da foglie e piume.
Sorrise consapevole, al Vento.
I bambini lo sanno che non si muove foglia se…
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