Da La Signora Parrini –
Nascosta dietro le tendine bianche ricamate a mano, la signora Parrini sbirciava fuori dalla finestra. Il postino aveva suonato due volte e aspettava impaziente al di là del cancello che chiudeva il modesto giardino. Aveva a tracolla la pesante borsa e reggeva con la mano sinistra la bicicletta, mentre nella destra stringeva una piccola busta leggermente rigonfia.
Olga Parrini allungò il collo e strinse i suoi occhi da miope nel tentativo di osservare meglio senza farsi scorgere. Era spinta dalla curiosità, ma non poteva aprire la porta di casa, affacciarsi sulla veranda e ritirare la posta. Non lo faceva più da tempo: il signor Parrini, suo marito, non voleva e lei non avrebbe mai avuto la sfrontatezza di disubbidirgli.
Erano molte le cose che Olga non faceva perché il marito gliele aveva proibite.
Quando il signor Parrini era al lavoro, il che voleva dire tutti i giorni dalle otto a mezzogiorno e dall’una alle cinque, nel suo ufficio di contabile presso la SMI, Olga non doveva mai aprire la porta a nessuno, estraneo o conoscente che fosse.
Il campanello suonava inutilmente e in quelle ore del mattino e del pomeriggio la casa sembrava vuota.
La signora si aggirava tra le stanze pulendo, mettendo in ordine, in silenzio, come un fantasma. Non apriva mai le finestre, né quella della cucina che dava sulla strada, né quelle del salotto e della camera che si affacciavano sul giardino, non usciva mai nell’orto dove c’era il pozzo e, se doveva lavare o stendere il bucato, lo faceva quando suo marito era tornato. Ascoltava la radio; non avevano la televisione, ma, del resto, pochi in quei primi anni Cinquanta la possedevano. Trascorreva molte delle ore solitarie leggendo La Nazione e i settimanali Oggi e Tempo, i suoi preferiti.
Ogni giorno, alle dodici e dieci minuti, il signor Parrini apriva il cancello, appoggiava la vecchia bicicletta sulla veranda, faceva girare la chiave nella porta chiusa a doppia mandata ed entrava nello stretto corridoio.
Appariva sulla soglia della cucina con il giornale sotto il braccio e, dopo essersi lavato le mani nel lavandino, si sedeva a capotavola. Mentre mangiava il primo, scambiava due parole con la moglie, ma al secondo s’immergeva nella lettura veloce dei titoli e dei sommari. Al mercoledì, insieme a La Nazione, aveva con sé le due riviste.
Dieci minuti prima dell’una era già fuori sulla sua bicicletta e alga lavava i piatti, li asciugava, spazzava, dava lo straccio e infine si sedeva in poltrona. Chiudeva gli occhi per un minuto o due e iniziava a leggere a sua volta, scartando gli articoli politici che tanto interessavano il marito e scegliendo la cronaca locale e nazionale. In particolare adorava le storie di re e di regine e il mercoledì era il giorno migliore perché su Oggi e Tempo trovava tutto ciò che le piaceva.
Se non doveva stirare o rammendare qualcosa, dopo la lettura, si concedeva un sonnellino, ma alle quattro e mezzo si rimetteva in movimento per il ritorno del marito.
Si affrettava da una stanza all’ altra della modesta ma linda casetta per controllare ancora una volta che tutto fosse in ordine, preparava il caffè alla napoletana che, filtrando, liberava lentamente il suo aroma; infine si toglieva il grembiule, si sistemava i capelli e ravvivava le guance con un tocco discreto di cipria.
Indugiava un attimo davanti allo specchio lungo dell’ armadio lasciandosi sfuggire un lieve sospiro.
Ogni lunedì, mercoledì e venerdì i coniugi Parrini uscivano a fare la spesa. Il negozio di generi alimentari e la macelleria erano uno accanto all’altra, mentre quello di frutta e verdura era un po’ più lontano, di fronte alla scuola elementare. Iniziavano sempre da lì, poi compravano la carne e infine la pasta, il latte e il pane che si facevano tenere da parte. A volte facevano un salto dalla signora Eva per le sigarette, ma erano di nuovo a casa prima delle sette e Olga si metteva ai fornelli, mentre il marito riprendeva la lettura del giornale.
LA VENDITRICE DI PICCOLE COSE di Patrizia Bartoli – INCONTRI EDITRICE, 2011 pag. 132
Il commento di NICLA MORLETTI
Un libro di racconti molto curato nello stile. L’autrice dimostra di avere un grande amore per la scrittura. In queste pagine è narrato lo spaccato di un’Italia che non c’è più, un Paese gentile e garbato che apprezza le cose importanti. Ci si trova così a sapere di lettere misteriose che arrivano dall’Australia, di amori che perdurano nel tempo, di venditrici di cose che sembrano piccole, ma non lo sono. E di quieti pomeriggi d’estate dietro le persiane socchiuse. Attrae quella casa vecchia e malandata con l’intonaco scrostato. Un’abitazione che agli inizi degli anni venti era stata bella e signorile. Il lettore immagina di sentire le voci di coloro che l’hanno abitata e, se chiude gli occhi, vede banchetti, sente profumi intensi, tocca fazzoletti ricamati. Un’ultima neve di marzo, fotografie, specchi, ombre. Tutto sembra amalgamarsi nella mente in uno scorrere felice di vicende e attraenti personaggi che si muovono, dinamici, sul palcoscenico della nostra mente fino alla sera dei fuochi.