E non so se cantare a volte
sulle spoglie montagne di routine, per ore,
a condire nei dialoghi l’ego asciutto
quasi per morire, qualora fosse notte
e talvolta è stata tale l’ora – ricordo ancora,
ricordo slave rugiade e torrenti
di povere parole, con gli sguardi
a volte qui, a volte altrove,
nei bacini della corsa col tempo –
e non saprei se ero là da ricca o povera;
e non saprei se ero schiava o dimora stessa;
so l’ombra abbracciarmi e dire: dov’ero?
Quasi per morire, qualora fosse notte
e a volte tanto piano da morire io stessa in mano
in mente, nelle ginocchia straripate dal sonno;
avrei forse dei canti a spartire con le montagne –
ergo t’amo
nei fruscii delle foglie sotto il vento
e con la pioggia so di caderti nel pensiero
pur io, con gli occhi e nelle labbra,
nei fiori dei campi al sole
e nei girasole, amore;
ergo esisto
come statua marmorea per restare fresca
– sarà dunque tale il futuro? – nelle gote del mare
e negli occhi delle maree, negli abbracci
e i costumi del padre, come figlia
dunque vivo;
e muoio, qualora fosse notte
in quei tuoi occhi da mandorla acerba ma pronta a cogliersi,
nelle rimembranze di ciò che eravamo già
una mattina, al sole, coi piedi nel cielo
e nel sorriso, uno sguardo,
una mano e dell’inchiostro fresco
per il canto,
per il canto tanto vivo nelle ore tarde,
per quell’amore,
sulle spoglie montagne di routine, per ore.
© 2006, . Tutti i diritti sono riservati per i rispettivi autori.
Perché senza commenti questa poesia? Perché tanta indifferenza? Io la trovo bellissima! La leggerei e la cantarei infinite volte…
Quante cose sai dell’amore tu. Quante cose.
Grazie. Grazie.