Il limo di Maurizio Teroni

Silenzio. Un silenzio inquietante che si è infilato qui con me nella bara. Dal silenzio poi, all’improvviso una voce comincia a parlare.
«Uomini» è la prima parola. Segue una specie di fruscio, come un segnale radio confuso, poi ancora silenzio. Quest’unica parola è stata pronunciata con tono duro e deciso. Mi fa venire in mente i rimproveri di mio padre.
«Uomini» risuona ancora. La voce echeggia in uno spazio che non riesco a immaginare.
«Uomini, la vostra situazione… non si può propriamente definire felice. Vi dico solo una cosa: state calmi. Calmi e fiduciosi… Il peggio è passato.
Voi tutti siete anagraficamente deceduti. I vostri cari vi hanno pianto. Rimarrà loro il ricordo… di voi. Ma verrà anche il loro momento… Voi siete qui… A centinaia, a migliaia chiusi, tutti chiusi nelle vostre bare. Non potete parlare. Non potete muovervi. Certo, questa condizione può sembrarvi sconfortante. Vi dico solo una cosa: ascoltate con attenzione tutto quello che vi dico. State all’erta, vigili. Niente di quello che vi dirò deve sfuggirvi. Non sarà ammessa una sola disattenzione. Chi si mostrerà distratto, chi si mostrerà in qualche modo insofferente o ribelle, verrà immediatamente punito.
Tutti, in questo momento, siete dentro una bara. Tutte le bare sono sopra una grata, sotto la grata ci sono dei forni. Un forno per ogni bara. Se qualcuno si mostrerà insofferente o ribelle, il forno sotto la bara verrà immediatamente attivato. Più questo qualcuno si mostrerà insofferente o ribelle, più il forno rimarrà acceso a lungo.
C’è una qualche specie di legame profondo tra quello che siete e quello che vi spetta. Mi intendete? Ecco. Dopo un minuto la bara prende fuoco e voi ci siete dentro. Così come prenderanno fuoco le bare vicine con tutti quelli che ci sono dentro. Ogni nove bare coprono un quadrato di grata. Quando nove bare prendono fuoco, la grata si spalanca e le bare crollano nel fuoco. A quel punto sarete liberi di ribellarvi. Questo è piuttosto logico.
Vi dico solo una cosa: la vostra insofferenza o la vostra ribellione sarà pagata, non solo da voi, ma anche da chi si trova nello spazio della vostra grata. È chiaro?
Bene! Questa è la prima cosa che non dovete mai dimenticare. La seconda: ognuno di voi è libero di scegliere. Potete scegliere di cadere nel fuoco o potete scegliere di salvarvi.
Sappiate che la salvezza è per tutti, ma la salvezza va meritata. Dovete impegnarvi per ottenerla, e forse soffrire. Non sarà una cosa da poco, ma, in ogni momento, potrete scegliere di cedere. È una vostra scelta, che va rispettata. Rispettata col fuoco.
Siete qui riuniti in base a ciò che siete e siete stati. Voi siete frutto delle vostre esperienze. Voi vi portate dentro le vostre scelte e le vostre esperienze. In base alle vostre esperienze, siete stati riuniti in questo reparto. In base a quello che siete o che avete dimostrato di essere, è segnato il cammino verso la vostra salvezza. Vi dico solo una cosa: non crediate di poterci ingannare, così come non crediate di poter ingannare voi stessi. Siete quello che siete. Accettatelo. Caricatevi del vostro fardello e percorrete umilmente la strada che vi si prospetta.
Immagino siate affamati, stanchi. Immagino vi sentiate confusi. Tutto all’inizio sembra confuso e assurdo, poi, con umiltà, con fatica, si intende. Intendendo, ci si avvicina alla salvezza.
Tra non molto vi sarà ridato il dono della parola. State però attenti a quello che dite. Se mostrerete di meritarlo, le vostre bare saranno scoperchiate. Attenti però a quello che fate. Non sperate di poter in qualche modo fuggire da qui, non crediate in qualche modo di ribellarvi. Ogni ribellione sarà immediatamente punita.
E così via, di sforzo in sforzo intenderete, con sapiente umiltà intenderete, e vedrete che potrete alzarvi e vi sarà dato nutrimento, quindi vi sarà dato conforto, il conforto che meritate. Più vi avvicinerete alla salvezza, più il conforto sarà grande.
Vi dico solo una cosa. Quando riavrete la parola, quando questo dono, che vi è stato così generosamente affidato, vi sarà ridato in prestito (considerato che tutto ciò che avete è in prestito), a quel punto potrete parlare. Ma, prima di parlare, pensate al dono della parola. Meditateci su. Pensate bene a quello che direte. Potete fare domande, non fate però domande inutili. Ogni domanda inutile sarà punita. Non pronunciate frasi offensive. Ogni offesa sarà punita. Non fate dichiarazioni o domande di cui non siete consapevolmente certi. Ogni idiozia sarà punita. È chiaro?»
Segue un lungo silenzio. Ho la gola bloccata, come se avessi una biglia in fondo all’esofago. Cerco di indovinare, in quella sospensione muta, dove diavolo mi trovi; mentre la mia mente fissa l’assurdo.
«Potete parlare!»
Urlo… subito. Un urlo esasperato. Un urlo da spaccarmi le vene e urlando comincio a piangere, mentre, con le mie, un coro di urla e pianti cresce nel silenzio. Le lagne, i pianti, i gemiti, le grida si aggiungono, sovrastano, si moltiplicano nel silenzio. E continuiamo tutti, così, a lungo. Poi, quando rimangono solo singulti e grida soffocate, un urlo, non distante da me un urlo sovrasta il mutismo agonizzante. Non distante da me, la voce incargognita di uno si solleva su tutti urlando: «Dio porco, fatemi subito uscire da qui!»
Immediatamente dal basso arriva un rumore… Come un sibilo di fornello a gas, e lo scricchiolio, il friggere del fuoco.
Da dove è uscita la bestemmia, non tarda il silenzio a esplodere in altre grida spaventose che gli dicono di stare zitto e supplicano pietà.
Una serie di brividi mi attraversano le budella, mentre gli strilli aumentano e, nel fracasso immane, si alza possente la voce di quel pazzo, il quale non tace, anzi, quasi sentendosi il portavoce di una rivolta, ripete la sua frase e poi ancora aggiunge a bestemmia bestemmia. E non demorde, anzi: carica di maggior rabbia la sua voce, battezzandoci tutti pecore e conigli infami, mentre gli altri cercano di coprire le sue grida con le loro, in modo che tutto risulta ancora più delirante. «Taci bastardo taci!» gli sbraitano «Perché lo fai?»
Anch’io strillo e mi accodo agli insulti. Ovunque intorno a me è pianto e stridore di denti. Poi mi metto immediatamente a contare. Sento il calore vicino.
Vicinissimo… “Questo bastardo è forse nella mia stessa grata?” mi ripeto. La confusione intorno è tale da non capirci niente. “Quanto tempo è passato?” mi dico. Sento l’odore del legno arso, gli strepiti crescenti… “Un minuto! Già un minuto?” Poi, lancinante, un rumore di ferro, una botta, il crollo e le urla soffocate dalla vampa.
Un’ondata gelida mi striscia su dai coglioni, come una lunga unghiata tra le viscere, mi attraversa la gola e le tempie. Sento il sudore colarmi sulla faccia. Tutti, come me, ora stanno zitti. Rimane solo il rumore di qualche scoppiettio e l’odore di carne arrostita.
Intorno un pauroso mutismo.
«Da quanto avete udito» riprende la voce echeggiando in un terrore palpabile «qui non si scherza.»
Poi ancora silenzio. “Dio!” mi ripeto io tra i denti… “Dio, quanti siamo qui?” Non ne sono certo, ma le urla erano centinaia.
Si alza ora una voce stridula, raccapricciante, lontana da me, si solleva dal mutismo di tutti: «È pe… è pe… è per-mes-so…fa… fare uu… una domanda?»
«Parla!»
«No… non è che… che p-poi… m-mi punisc…punisce?»
«Parla! Non fare domande stupide. Non pronunciare parole di insofferenza o ribellione, e non sarai punito.»
«Co-co-come fac…cio a sape… a sapere che no-no… non è una do-do…domanda stupida?»
Immediatamente gli accendono sotto il forno. Conto fino a cinque. Smette. Giusto il tempo da fargli lanciare una serie di strilli tale da farmi di nuovo rabbrividire, e ai suoi si sono aggiunti, peggio di prima, quelli dei vicini. Anche da altre zone sopraggiunge un vociare sparso. Quasi tutti lo insultano e gli ordinano di tacere.
Ormai è il delirio a farla da padrona. Io non la smetto di sudare e ripetermi “Dio mio!” a denti stretti.
Dopo questo, quasi subito, un’altra voce interviene. Vanta una certa fierezza nel tono, ma questo conta relativamente. Ciò che conta è che si trova vicino a me. Direi proprio al mio fianco.
“Ora questo spara una stronzata”, mi dico, “e brucio anch’io”.
Uno dietro gli consiglia di starsene zitto. Subito gli accendono il forno ed è panico. Ho le orecchie così piene di strilli e di lagne da non capire se ci sono pure le mie in mezzo. Intanto, nel gran casino, non si capisce più se il sibilo continua o è smesso.

Il limo di Maurizio Teroni – Incontri Editrice, 2011

2 Commenti

  1. Leggendo queso estratto del romanzo, ho provato delle emozioni forti, sembra un romanzo apparentemente raccappriciante e dalla trama angosciante, ma allo stesso tempo scatena in chi legge una profonda riflessione sul senso della vita, sui doni che Dio o la natura ci ha dato, come quello prima di tutto della vita e la parola.
    Alle volte non ci si accorge di che dono prezioso ci è stato dato, la parola appunto, e molto spesso la si spreca inutilmente bestemmiando, offendendo o utilizzandola per domande inutili.
    L’autore trascina il lettore in un turbinio intenso che spinge a leggere sempre più e parlare è la “voce della nostra coscienza” che invita a riflettere e a stare all’erta per non sbagliare, altrimenti è la fine.

  2. La parte del testo sottoposta al lettore è un incrocio tra un giallo e un noir, ricco di riferimenti psicologici che, probabilmente, celano anche un qualcosa di autobiografico.
    L’autore mostra di padroneggiare il mezzo letterario: calibra bene l’alternanza dei momenti e riesce nell’intento di creare un clima angosciante e quasi claustrofobico, nel quale l’impotenza nasconde il deleterio rapporto del protagonista col padre, infatti, avvertito nella “voce” che (pare durante un incubo) bacchetta quei morti.
    Ottima la sua capacità di trascinare il lettore all’interno della pagina, provocando in chi legge emozioni forti, grazie alla sua felice scelta dei vocaboli e al modo incisivo di presentarli.
    Mariolina La Monica

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