Il conte, il principe, il topo di Maurilio Magistroni

Il conte –

La pallida luce del sole, velato dai cirrostrati, illuminava debolmente lo studiolo di Alberto Braccioforte conte di Gavorrano, nel palazzo di famiglia sito a metà di via Guelfa.
Erano appena passate le nove di quel gelido mattino dell’ultimo giorno dell’anno e come al solito il conte era intento a consumare la colazione vicino alla finestra che dava sulla via; pane di miglio, miele d’acacia, uovo sodo e tè alla menta.
Non aveva molto appetito poiché la notte era stata molto agitata, con frequenti pensieri all’indomani, ai preparativi, agli invitati, al tempo come sarebbe stato; i cirri avevano velato il cielo fin dal pomeriggio e la probabilità di pioggia, o peggio neve, si faceva concreta.
Spiegò il giornale e dopo aver letto il fondo di Civinini si soffermò incuriosito sulla notizia che a Roma a Palazzo Farnese era stata battezzata la figlia dell’ex re di Napoli e Sua Santità Pio IX le aveva fatto da padrino. Stava riflettendo sul significato di tale gesto come fosse un’interrogazione personale, si stava chiedendo il perché; si compiaceva di coltivare tale pensiero che lo distoglieva dalla continua tensione e poteva così ritrovare un po’ di pace.
Due lievi busse alla porta lo distolsero dalla nicchia di tranquillità in cui si era adagiato “Entra Osvaldo, che c’è?”.
“Un telegramma signor conte, l ‘hanno recapitato poco fa, l’ho portato subito”.
Il maggiordomo porse al conte il vassoio di cristallo manicato in argento su cui era posto il foglio giallo ripiegato dei Telegrafi dello Stato sigillato con ceralacca e chiese il permesso di congedarsi.
“Vai, vai Osvaldo, oggi anche tu avrai molto da fare”.
Il titolo di conte di Gavorrano era stato conferito con encomio solenne al nonno ingegnere Emilio Braccioforte, il primo giorno di gennaio dell’anno domini 1830, direttamente dal Granduca Leopoldo II d’Asburgo-Lorena, per i grandi meriti acquisiti durante la bonifica della maremma grossetana.
Due anni dopo il neo conte acquistò l’attuale residenza con i proventi scaturiti da speculazioni finanziarie andate a buon fine, consigliate da amicizie altolocate e supportate da una buona dose di avvedutezza, coraggio e fortuna.
L’anno seguente il conte Emilio morì lasciando l’eredità all’unico figlio Eugenio, un personaggio privo di qualsiasi forma di ambizione, un uomo piatto in tutto, accidioso, sciatto e scontato in tutti i suoi aspetti, anche in quel minimo di vitalità necessaria a sussistere che a fatica usciva dalla sua condotta di vita.
L’unico merito, se così si può dire, fu l’essersi maritato con Elena Maresca Crispo dei Signori di Samo, donna affascinante che in più gli portò una cospicua dote in fiorini e possedimenti immobili nell ‘alta val d’Orcia.
Dal connubio nacquero il primogenito Emilio e nell’anno dell’elezione alla famiglia comitale il secondogenito Alberto. Costui continuò sulla falsa riga del padre fin verso l’unità della nazione, poi improvvisamente cambiò rotta, diventò attivo, intraprendente, coltivò amicizie fra la nobiltà e con esponenti della cultura, dell’ arte, della musica. In pochi anni, il palazzo dei conti Braccioforte di Gavorrano divenne uno dei punti di riferimento della città, ritenuto da tutti degna dimora atta ad ospitare scadenze importanti e avvenimenti di richiamo; qualunque fatto vi si svolgesse usciva con l’imprimatur della positività, era un tempio dell’estetica, molti ambivano ad essere ospiti ma pochi erano gli eletti.
Già alla fine di settembre, di ritorno dal soggiorno estivo di Radicofani, Alberto comunicò al fratello maggiore Emilio il desiderio di celebrare il quarantesimo anniversario del conferimento del titolo di conte al nonno. La risposta che ebbe da Emilio fu ovviamente positiva e con entusiasmo si dedicarono all’avvenimento futuro, con idee, progetti, pianificazioni, proiettate in tutte le direzioni percorribili, non lasciando nulla di intentato.
“Dobbiamo essere prudenti nella stesura della lista degli invitati e tener conto delle esigenze della Corona, come pure delle aspettative di Napoli, visti gli entusiasmi spontanei manifestati da tutto il popolo in occasione della proclamazione della nostra città a capitale del Regno”.
“Ne convengo Emilio, mi trovi senza alcun dubbio d’accordo. Ho già in mente alcuni nomi eccellenti che sicuramente assolveranno bene allo scopo; evitiamo di inimicarci chicchessia, so che è un compito difficile, ma ci proveremo. La diplomazia è colma di difficoltà ma ha sempre dato prova di essere la sola che possa attenuare gli attriti, rendere meno aspre certe contese, addolcire, ammorbidire pretese velleitarie”.
“Ciò che dici è vero, Alberto. Cercheremo di offrire sempre la possibilità a tutti di optare per una scelta che a loro convenga, eziandio tenendo presente che ormai la “questione romana” non si può più ignorare, purtroppo. Rimani certo che faremo di tutto per onorare al meglio il nonno, di cui con fierezza porto il nome. La nostra casata acquisterà maggior prestigio e di conseguenza ne beneficeranno anche le nostre attività”.
I due fratelli andavano abbastanza d’accordo, non esistevano dispute di nessun tipo se non in qualche rara occasione in cui una delle mogli si intrometteva negli affari; cosa che non turbava comunque più di tanto il loro rapporto di lavoro; erano ben consapevoli di essere sulla stessa barca e di conseguenza, dopo aver deciso di comune accordo la rotta, remavano nella stessa direzione.

Il conte, il principe, il topo di Maurilio Magistroni – Edarc Edizioni, 2012 – pag. 221

Il commento di NICLA MORLETTI

Riuscire a narrare storie di altri tempi e descrivere ottimamente i personaggi con le loro ansie, gioie, pulsioni, emozioni non è cosa da poco. Se poi l’autore riesce a catturare l’attenzione creando attesa e “suspence”, il gioco è fatto: il romanzo nasce, cresce, si porta con sé la sua storia ed i suoi protagonisti, rendendoli vivi, veri, delle stesse sembianze delle persone che ci circondano.
Tutto questo è riuscito a fare Maurilio Magistroni, offrendoci così la lettura di un piacevole e scorrevole romanzo che difficilmente riusciremo a dimenticare. Già dall’incipit rimaniamo colpiti dalla mirabile descrizione: “La pallida luce del sole, velato dai cirrostrati, illuminava debolmente lo studiolo di Alberto Braccioforte, conte di Gavorrano, nel palazzo di famiglia sito a metà di via Guelfa.” E già il lettore viene proiettato in un’altra dimensione che lo avvolge con un fascino di altri tempi. Siamo infatti alla fine del 1869 ed il romanzo è un susseguirsi di emozioni, intrighi ed enigmi che si scioglieranno a “mezzanotte”, ora fatidica e affascinante allo stesso tempo, quando le campane del duomo annunciano la messa solenne scandendo il primo concerto e la città è un manto di soffice neve. Un romanzo di cui consiglio la lettura a tutti.

7 Commenti

  1. Inizio il mio commento facendo un complimento all’autore, perché questo breve brano che ho letto, fa riecheggiare nella mia mente lo stile di scrittura de “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa..uno stile direi quasi storico, ma allo stesso tempo molto semplice.. anzi leggendolo ho avuto la sensazione come se questa storia mi venisse raccontata quasi sussurrando, in maniera dolce da qualcuno che conosco..
    sarei felice, quindi di poter leggere il seguito..

    • Grazie Maddy, troppo buona; il quasi accostamento a Tomasi di Lampedusa m’intimorisce e, lo dico pure fuori dai denti, mi lusinga grandemente. Appena sarò in possesso del suo recapito le invierò il libro con piacere. A presto. Buona Pasqua.

  2. Ho letto illibro e trovo che è molto piacevole ed ha veramente di tutto,infatti è sia serio che umoristico e nel complesso direi che anche se è ambientato in un epoca lontana,è alquanto attuale infatti troviamo che la storia è “purtroppo” uguale a quella di tutti i giorni,ossia il fatto di voler apparire diversi da quello che si è con menzogne è falsità, ma la cosa più vera è che anche chi guarda vede solo l’aspetto esteriore e vede solo quello che vuole vedere.
    Trovo perciò che leggendolo fa veramente aprire gli occhi e fa riflettere al di fuori dalla storia.

    Grazie di avermi dato l’opportunità di leggerlo.

  3. Cronache dell’ Ottocento,
    una pennellata di storico, non mento;
    e insieme storie d’ ogni di’
    della nobilta’ e giu’ di li’.
    Maurilio racconta di un casato,
    internazionale e ben assestato,
    che nell’ Italia della massoneria
    coi banchetti cura la sua cortesia.
    Lo stile e’ avvincente,
    quel che gradisce la gente;
    non un inno al pettegolezzo,
    ma della curiosita’ un vezzo.
    ” Il conte, il principe, il topo –
    il titolo capiro’ dopo –
    s’ offre alla nostra lettura
    per un interesse senza misura.

    Gaetano

  4. E’ veramente piacevole,scorre in un modo talmente lieve e dolce che non sembra neppure di leggerlo ma sembra di essere immerso in una fiaba insomma che ci sia qualcuno che te lo stia raccontando.
    Complimenti non è facile essere dei così bravi narratori.

    Barbara

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