Giulitta. La casa del poeta di Marcello Montaldo

Cap. I-

Dal primo dicembre 1981, Giulitta Perasso abitava all’interno otto del civico 18 di Via Leonardo Montaldo, dove una targa posta dal Comune di Genova informa:

– QUESTA FU PER MOLTI ANNI
LA “strada di casa” DEL POETA
CAMILLO SBARBARO
1888 -1967
CHE QUI ABITÒ –

Ma le persone solitamente stipate sugli autobus e l’abituale frettolosa noncuranza di chi percorre quella strada, non brutta, ma senza attrattive, dice Sbarbaro, e asfissiata dagli scappamenti dei veicoli, difficilmente fanno caso alla targa e quasi nessuno conosce il luogo ove il poeta, dal 1912 al 1951, abitò e compose i versi che illuminano gli anfratti dell’anima e le minuzie magnifiche o dolorose del mondo.
Giulitta si era intestardita a possedere quella casa come un animale il suo territorio, certa che fra quelle mura, in quelle stanze all’ultimo piano, si potesse ancora cogliere, “come su una vite a fine autunno un grappolo d’uva dimenticato”, la personalità e il genio del poeta.
Fantasie, fantasticherie e una sensibilità sovreccitata, utilizzata anche artificiosamente, come un ferro del mestiere.

***

Cap. II

Il 25 maggio 1956 Anteo Perasso, padre di Giulitta, non tornò a casa, in famiglia, in via Vecchia, proprio sopra la rimessa dei bus.
Non era finito sotto il tram che guidava, non si avevano notizie di incidenti, nessuno dei colleghi tranvieri sapeva che dire a Rosa Bacigalupo, la moglie, e a Giulitta, la figlia diciottenne, graziosa e commovente nel contenere l’ansia e far coraggio alla madre.
Mettendo in colonna infinite volte i dati certi e anche variandone l’ordine, il risultato, come nell’addizione, non cambiava.
– Anteo era uscito di casa alle 13, lanciando il consueto saluto “ciao bambine”.
– Aveva preso servizio a piazza Caricamento alle 14.
– Era smontato dal servizio, sempre a Caricamento, alle 18.
– I colleghi Gandolfi, Paolini e Rebuffo lo avevano incontrato e, come al solito, tutti si erano salutati cordialmente.
– I medesimi colleghi lo avevano visto dirigersi verso Sottoripa e avevano ipotizzato che gli fosse venuta voglia di mangiare (Rosa ne dubitava) un pezzo di farinata o un baccalà fritto con un bianchino.
Qui cominciavano le supposizioni, i dati incerti e dolorosi.
Non si poteva, fra molte, trascurare l’ipotesi che Anteo avesse voluto dare un’occhiata alla vetrina del negozio di Lucarda, in Sottoripa, per cercare o addirittura comprarsi una camicia o un giubbotto (ma Rosa lo escludeva: Anteo parlava per giorni delle sue necessità ed era sempre Rosa a scegliere e comprare).
Da Lucarda nessuno ricordava d’aver visto in negozio un tranviere fra le 18 e l’ora di chiusura. Ma anche se li fosse stato visto o in qualsiasi altro negozio o dovunque altro ancora, quale collegamento si poteva fare con il mancato ritorno a casa?
Anteo Perasso era scomparso. Questo era il dato davvero significativo.
Di lui mai più nulla si seppe.
A luglio, pur nell’inquietudine dell’angoscia e delle incertezze sul futuro, Giulitta superò brillantemente l’esame di maturità.

***

Cap. III

Dopo aver visto a scuola i quadri con i risultati, i suoi ottimi voti (solamente un otto in educazione fisica) e il giudizio MATURA, Giulitta scoppiò in un gran pianto e volle fuggire.
I compagni la circondarono, la complimentarono: era stata la migliore della classe e solo due allievi, in tutto il liceo, avevano un punto più di lei.
Si era rifugiata in cortile, seduta alla base d’un cesto per la pallacanestro: guardava tutti negli occhi e scuoteva la testa, le spalle.
All’improvviso raggiunse di corsa il cancello del cortile, nessuno riuscì a trattenerla. Non guardò indietro, salì su un autobus.
Fu l’addio ai compagni, alla scuola, ai sogni.
A casa lasciò libero corso ai singhiozzi.
Rosa temette che l’avessero bocciata. Lo chiese con un filo di voce.
Sono la prima della mia classe e la seconda in tutto il liceo.
Anche Rosa pianse.
A cosa sarebbe servito a Giulitta, a loro due, quel trionfo?
All’università non si poteva pensare.
Bisognava pensare a sopravvivere, a come mantenersi.
Lo stipendio di Anteo, assente ingiustificato, era stato sospeso.
Per il momento, avevano detto all’azienda, per fare coraggio.
Rosa trovò un lavoro come domestica a ore durante il giorno e la sera, dalle nove alle undici, faceva le pulizie nei vicini uffici dell’azienda dei tram.
Giulitta in due mesi racimolò diecimila lire: commessa avventizia a mezza giornata in una panetteria.
Si iscrisse a otto concorsi: enti pubblici e banche, ma troppo lunghi i tempi di svolgimento e troppo pressanti le necessità.
Verso metà ottobre, in una giornata di gelida tramontana, uscì di casa alle nove, decisa a offrirsi come domestica a tempo pieno.
Nella tasca del cappotto stringeva il foglietto con il testo di un’inserzione da pubblicare sul giornale. Camminava a casaccio, si sentiva spinta e trattenuta.
Impiegò due ore ad arrivare agli uffici del giornale. Sulla porta, senza riconoscerlo, urtò Beppe Antolini, un amico dalla prima liceo.
Litta!
Giulitta voleva sgusciar via, ma Beppe la trattenne, voleva sapere di lei.
Giulitta aveva un groppo in gola. Vide la commozione negli occhi di Beppe. Si abbracciarono.
Beppe la invitò in un caffè vicino, parlarono a lungo.
Giulitta teneva stretto in mano quel foglietto, ormai tutto spiegazzato. Cercò di rimetterlo in tasca. Non voleva che Beppe lo leggesse. Beppe insistette e, quasi giocando, riuscì a prenderlo.
Rimase di sasso.
Le afferrò le mani, l’abbracciò goffamente – c’era in mezzo il tavolino – la baciò sulla fronte.
Era vero affetto, la simpatia e l’amicizia che possono creare gli anni belli della scuola.

***
Dal libro Giulitta. La casa del poeta di Marcello Montaldo – GRUPPO ALBATROS IL FILO, 2011 – p. 128

Il commento di NICLA MORLETTI

Giulitta, affascinante figura giovanile protagonista del romanzo, ci attrae subito per quella sua giovanile essenza dell’essere, per quel suo impulso immediato nei confronti delle cose e dei fatti della vita. Giulitta e il poeta. Giulitta e i “Versi di Dina”. Giulitta e il segreto svelato. Al lettore la scoperta di stupende pagine in cui la realtà si fonde alla fantasia, il mistero del cuore a quello della mente. Un romanzo delicato, scritto in punta di penna e tratteggiato con cura e maestria. Può la scrittura esorcizzare la paura dell’abbandono e della solitudine? Può sanare l’animo dalla sofferenza delle vicende umane? A voi lettori la scoperta di queste pagine dolci e toccanti, scritte con uno stile dove non c’è retorica, ma l’immediatezza e la forza del cuore.

2 Commenti

  1. Che bella storia, che sembra nascere da una targa che ricorda il passato e che una ragazza, testarda ma dolce, intende assorbire insieme a tutte le storie che in quella casa sono vissute.
    Almeno è questo quello che mi è sembrato di percepire dalle righe.
    Complimenti.
    Sabato P.

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