La divina parodia di Marcello Furini

Dall’Inferno – Canto Primo –

Nel mezzo del cammin della mia grama vita,
io mi ritrovai nella bollettosi più oscura
che la strada statale avevo smarrita.

Quanto a riconoscerlo, risulta cosa dura
questa esistenza avara e anche cattiva,
al solo pensarci mi assale la paura.

Amara, cattiva e recidiva,
tuttavia devo dire che a volte
si è mostrata molto positiva.

Certo di cose ne ho viste molte,
non tutte buone non tutte belle,
fortuna, non tutte me le han tolte.

Poi mi fan male i denti per le troppe caramelle,
e mi fermo allor a contemplar e rimirar la strada,
accorgendomi che siamo prigionieri nelle celle.

Mentre mi guardo attorno qualcuno grida: “Bada!
Viaggi a fanali spenti e siamo sul fare della sera,
e a quel paese lì non c’è nessuno che ci vada”.

Mi ero così perduto in quella bruma nera
che non vedevo proprio la via d’uscita,
rimasi impalato come una statua di cera.

Arrivato lì, la mia vita era compita,
penoso si palesava il mio fallimento,
tanto evidente da toccarlo con le dita.

Questa sensazione mi dà il tormento,
ma non solo per questo io mi abbatto,
di risalir la china è giunto il momento.

Riprendo a muovermi, e come un gatto,
mi rimetto in moto sulla via ormai deserta,
ma non sono lucido, corro come un matto.

Costretto a fermarmi su una strada aperta,
e non mi rincuora sapere di esser colto,
sempre troppo corta risulta la coperta.

Vorrei sentirmi dalle colpe assolto,
ma i problemi mi si parano davanti,
e il mistero si fa sempre più folto.

Il tempo passa e penso e ripenso canti,
quando vedo qualcosa ferma all’orizzonte:
con mio disappunto non è un fiasco di Chianti.

È qualcuno o qualcosa a cui non posso far fronte,
è un rottweiler nero, crudele, pure di grossa taglia,
peggio di trovarsi nel cuore della rivolta di Bronte.

In men che non si dica mi trovo con la coda di paglia
e a stento trattengo il pianto e pure un gesto di stizza,
tra me e quella bestiaccia vorrei ci fosse una faglia.

Avrei voluto offrirgli una pizza,
dei miei polpacci voleva far strage,
oramai non mi sentivo più in lizza.

Desideravo solo di rientrare in garage,
lui rabbioso non voleva mollare la preda
e io già vedevo stravolto il mio menage.

Cerco di nascondermi, che la bestia non mi veda
ma nulla posso, sono in scacco, in suo potere
io arretro barcollando sperando che si ravveda,

ma lui non desidera che addentare il mio sedere,
vorrei somministrargli un velenoso polpettone,
ben più volentieri avrei affrontato altre fiere.

Dovevo tornare indietro sul buio stradone,
avevo ormai perso ogni residua speranza,
troppo timore mi incuteva il cagnolone.

Quando mi preparavo alla mattanza,
riuscii a intravedere uno spiraglio,
forse non avrei ingrassato quella panza,

potevo non essere più il suo bersaglio!
Ma chi, chi poteva trarmi dall’impaccio?
Chi poteva offrirgli uno spicchio d’aglio?

Salutai costui con un movimento del mio braccio,
e lui mi ricambiò la cortesia con un largo sorriso,
lo avessi distinto mi sarei sciolto in un abbraccio.

Palpabile lo stupore sul mio livido viso,
non credevo ancor ai miei occhi spalancati,
e mi lasciai andare a uno scoppio di riso.

Quanti i desideri e sogni miei non realizzati,
ma lui proprio lui, fronte a me il poeta divino
mi sottraeva alla schiera dei denti digrignati.

Incredulo lo apostrofai come ebbro di vino:
“Poeta, Poeta mio! Tu mi salvi da ‘sto cane!”.
Ed Egli a me: “Sì, ti salvo io Marcellino!”.

E io: “Proprio io che mi nutro di vino e pane,
cosa ho mai fatto per meritare il tuo aiuto?”.
E lui: “Non hai mai fatto promesse vane”.

E io: “Maestro mio il fato sia compiuto,
troppo grandi per te la stima e il rispetto,
fatale per me sarebbe un tuo rifiuto.

Al solo pensiero mi si gonfia il petto,
voglia Iddio che io ti possa seguire,
io che sono niente al tuo cospetto”.

Dante Alighieri mi disse: “Non languire!
E non ti curare della bestia feroce”.
Ma io ancora stentavo a capire.

E io: “Maestro devo tenere passo veloce,
al fine di seguirti laddove tu mi indicherai,
ma il cane abbaia, stento a udire la tua voce”.

Il maestro a me: “Ti dirò io che strada farai,
non temere, che can che abbaia non morde,
ma un altro percorso terrai e mi ringrazierai”.

E io: “Questo immondo cane non demorde,
mi rincorre e mi ringhia e mi perseguita,
sono come un pugile suonato alle corde”.

E lui: “Sì quella bestiaccia rende amara la vita,
ma verrà il suo momento, gli daranno la caccia,
la sua triste fine valorizza al meglio la tua gita.

Bramosia e ferocia sono dipinte sulla sua faccia,
bestia mai sazia che ha sempre grande appetito,
morirà desiderando ardentemente una focaccia.

***
Dal libro La divina parodia di Marcello FuriniGRUPPO ALBATROS IL FILO, 2011 – p. 243

Il commento di NICLA MORLETTI

Marcello Furini, abile autore di notevole talento, dopo il successo di “Fare il signore… in bolletta”, esce con questo suo secondo libro: “La divina parodia”, pubblicati entrambi dal Gruppo Albatros – Il Filo. E così, accompagnato dal Sommo Poeta, ci racconta la sua discesa agli Inferi e la sua “divina parodia” con quell’ironia e sagacia tipiche della sua felice e accattivante mente e penna. Agli Inferi personaggi illustri scontano le loro pene, retaggio di un passato fraudolento: politici, calciatori e pornodive. Golosi, lussuriosi e fedifraghi. Nessuno sarà risparmiato e tanto meno assolto. E nel suo regale e aulico incedere, Marcello Furini, dipingendo con le parole un affresco spietato dei costumi della nostra penisola, si conquista ancora una volta l’applauso e la simpatia di tutti.

5 Commenti

    • Ciao Ilaria, ti ringrazio per il commento ovviamente puoi averne una copia. Sto attualmente lavorando al Purgatorio..

      Grazie mille.

      Marcello Furini.

  1. Io penso che se l’illustre Dante avesse la possibilità di esprimersi a riguardo ti direbbe .
    “Nel mezzo del cammin della poesia
    M’imbattei in una prosa che sembrava …mia
    Io ed altri pochi siam stati i Primi
    ma oggi sinceramente ci “eredita” il Furini”.
    Davvero complimenti. Bravissimo.
    Non è semplice “manomettere” pezzi di storia e farne linguaggio ironico o comunque “parodiaco”.
    Ciao
    Sara

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