Il metodo di Rosa e Carolina Agazzi di Francesco Altea

Il metodo di Rosa e Carolina Agazzi di Francesco Alteagazzi

Dalla Premessa –

Mettere in rilievo i processi educativi seguiti negli asili infantili, così come venivano concepiti dalle sorelle Agazzi, Rosa e Carolina, contraddistinguendoli da quelli facenti capo a tanti altri metodi, tra i quali, ad esempio, quello della Montessori, e inquadrarli nei canoni dell’educazione attiva che, tra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, aveva già raggiunto il culmine della sua importanza, e andava sempre più diffondendosi in contrapposizione ai vecchi sistemi della pedagogia tradizionalistica fondata, in maggior parte, sull’apprendimento passivo, costituisce il fine principale di questo saggio.
Si parte dal principio che compito della scuola sia anche quello di trasmettere esempi di umiltà educativa, rinsaldando l’utilità ed il valore di quest’ultima, soprattutto nel concetto di chi, in nessun caso, umile non fosse per istinto, perché tutti, allo stesso modo, possano essere, a loro volta, d’esempio nelle diverse circostanze della vita, vissuta in famiglia, nei loro rapporti con la scuola, o in qualunque altro ambiente della società, a prescindere da quelle che saranno, poi, le loro reali funzioni.
La vera umiltà è propria di tutti quelli (docenti e discenti) in cui essa appare palesemente connaturata al loro spontaneo modo di essere, di operare, di agire ed interagire con gli altri. Potrebbe, però, trovarsi anche allo stato latente in taluni individui ritenuti, per la loro incapacità di manifestarla agli altri, a ragione o a torto, poco educati; e, perciò, finiti, senza neppure rendersene conto, in uno stato di assoluta indifferenza, altezzosità ed arroganza verso il loro prossimo e tutto ciò che li circonda.
È, dunque, compito di noi tutti, come società, ma, soprattutto, della scuola aiutare questi individui, attraverso quelli che sono i veri principi della buona educazione, a tenere sempre alto il senso dell’umiltà, come solida base di correttezza e comprensione verso il prossimo.
L’insegnamento non è solo trasmissione di nozioni e dati empirici, ma anche di valori etici e morali, che non possono essere appresi da “chi”, come si suol dire, “predica bene e razzola male”, ma da tutti coloro che, in tal senso, sanno essere sempre di buon esempio, a prescindere dal loro ceto sociale o dalla loro discendenza.
L’educazione, finalizzata all’acquisizione anche di un ben ponderato senso di umiltà, può essere acquisita in ogni istante, anche fuori dalla scuola, dappertutto.
Gli stessi ambienti: familiare, socio-economico, politico, culturale, ecc., se non degenerati, sono fonte anche di buona educazione, fondata sull’autocritica e, quindi, anche su l’umile riconoscimento dei propri errori, con assoluto rispetto verso gli altri.
Essere buoni ed umili educatori attraverso l’esempio non vuol dire, dunque, essere anche necessariamente docenti.
L’umiltà costituisce uno dei pilastri portanti della coesistenza pacifica non solo tra gli individui, ma anche tra i diversi ordini sociali, nazionali ed internazionali. E oggi più che mai sembra sentirsene maggiormente il bisogno e, come bisogno imprescindibile, tutti, indistintamente, siamo chiamati a soddisfarlo.
Nel momento in cui, però, non dovesse emergere, in tal senso, alcun positivo riscontro da parte della società, è allora compito della scuola staccarsi dal traino di quest’ultima, ed assumere le sue vere responsabilità che non devono riguardare soltanto la preparazione del discente sulle singole discipline di studio, ma anche, e in special modo, la formazione della personalità dell’individuo, sotto l’aspetto etico, morale, civile e religioso.
Quando l’educazione, per qualsivoglia ragione, difetti sotto questo aspetto, l’uomo non è, come tale, completo nella sua formazione e, quindi, neppure in grado, in qualità di cittadino, di contribuire al miglioramento della società di cui fa parte.
I risultati a cui egli darà luogo rispecchieranno, dunque, quelli di una società in decadenza.
Le Agazzi erano ben consce di quanto potesse essere utile il loro apporto, in termini strettamente educativi, dal lato etico e morale, alla società del loro tempo.
Infatti, nella loro concezione pedagogica appare subito evidente il contrasto con tutte quelle teorie educative rette da una forma di “autoritarismo intransigente”, che, non assolutamente improntato alla consapevolezza dei propri limiti, ma fermo in un’eccessiva sicurezza di se stesso, era piuttosto incline, nel rifiuto di un umile confronto critico con le altre correnti educative, a collocare al centro dell’educazione l’insegnante e non l’alunno.
La loro concezione pedagogica le aveva messe subito nella più assoluta convinzione di dover dimostrare quanto più efficace potesse essere, invece, rispetto a quella forma di tradizionalismo intransigente, chiuso nelle sue astratte posizioni, un metodo aperto al cambiamento e, quindi, anche ad ogni eventuale revisione critica, contraria a qualsiasi pretesa di originalità e staticità nel tempo.
Le Agazzi partivano da una considerazione valutativa e critica di tutti quei principi educativi, propri di talune teorie filosofiche, pedagogiche e metodologiche tendenti ad ostacolare col nozionismo la libertà del discente, alla ricerca di una soluzione metodologica che potesse rendere attivo l’alunno nel suo processo formativo.
Esse mettevano al centro dell’educazione il fanciullo, ne rilevavano le qualità, in base a cui venivano poi valutati positivamente tutti quei fattori che, in campo educativo e formativo, fossero meglio atti a potenziarne lo sviluppo.
Dal pensiero pedagogico del tempo seppero trarre con perizia quelle parti più consone alle loro personali concezioni improntate ad una formazione progressiva dell’uomo completo, attraverso lo sviluppo della sua personalità.
Molto spesso si trovarono in disaccordo, talvolta senza neppure saperlo, con determinate teorie, o parzialmente d’accordo con queste, nelle parti in cui le stesse risultavano meglio confacenti alle loro idee. Idee che, come si avrà occasione di rilevare in seguito, erano finalizzate a perfezionare, con un metodo meglio rispondente alle esigenze di un progressivo miglioramento, il principio di scuola attiva, quello già in auge e in forte ascesa, nelle sue diverse forme, alla prima metà del Novecento.

Il metodo di Rosa e Carolina Agazzi di Francesco Altea – Armando Editore, 2011 – pag. 195

Il commento di NICLA MORLETTI

Il fine di questo ottimo saggio, come scrive l’autore stesso, è quello di mettere in rilevo i processi educativi seguiti negli asili infantili, così come venivano concepiti dalle sorelle Agazzi, contraddistinguendoli da quelli facenti capo ad altri metodi, tra i quali quelli della Montessori. L’autore, docente, preside e dirigente di scuole medie di primo e secondo grado, in questo prezioso libro, mette in primo piano il rispetto della libertà dei bambini, il rifiuto di ogni forma di nozionismo e teorie dottrinali non aperte all’evoluzione e al cambiamento, pilastri del metodo Rosa e Carolina Agazzi.
Durante la lettura del saggio, man mano che scorrono le pagine e si assorbono i concetti, si fa sempre più largo nel lettore la convinzione che la formazione delle maestre in campo pedagogico, culturale e psicologico, è profondamente importante al fine di esercitarne il ruolo. Francesco Altea parla con cognizione di causa anche dell’operato dei bambini più grandi a supporto di quelli più piccoli come incentivo all’educazione sociale e dell’importanza sempre dell’educazione come sviluppo del germe vitale presente in ciascun individuo.
Un saggio, questo, sul “Metodo di Rosa e Carolina Agazzi”, dal valore educativo intatto nel tempo, che dovrebbero leggere tutti coloro che sono a contatto con i bambini e con i giovani, soprattutto insegnanti e genitori, per i bei contenuti che esso racchiude e per il valore etico, educativo e sociale di cui è composta ogni singola pagina
.

2 Commenti

  1. Si puo’ un bimbo educare
    senza che debba memorizzare
    lunghe filastrocche di doveri,
    accompagnate da rimproveri severi.
    Non e’ bravo discente
    colui che al maestro acconsente,
    ma chi nell’ esperienza
    plasma la sua coscienza.
    Le Agazzi da una stalla
    fecero rotolar qella palla
    che poi rimbalzo’ in molti asili,
    facendone luoghi civili
    in cui i pargoli son protagonisti
    e non oggetti mal visti.
    Altea precisa da competente
    quel che la comune gente
    intuisce da una sommaria lettura
    di un metodo pro Natura.
    Diamo dunque a Rosa e Carolina,
    maestre di un’ esperienza sopraffina,
    l’ onor che spetta loro,
    senza dimenticar che l’ oro
    si crogiola in mille condizioni
    perche’ splenda nelle disparate situazioni.

    Gaetano

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