Per lunghi mesi, cercando di tornare indietro con la memoria, incontrava un lungo ponte scuro al di sotto del quale vedeva scorrere un fetido liquido nero, schiumoso. Oltre c’era il suo passato, quello prima di incontrare “lei”. Ritornando furiosamente al presente e con un sussulto, aveva la consapevolezza di non ricordare nulla, non un incontro, non un abbraccio, non il volto.
Questo stravagante e bizzarro meccanismo della memoria, che così tentava la difesa, lo allarmava : “com’era possibile? Come poteva non ricordare e sapere allo stesso istante che “quel tempo” c’era stato? Gli era impossibile ricondursi al periodo e ai luoghi dei loro primi approcci, dei loro successivi incontri, alla drammatica e dolorosa fine, all’angoscia del “poi”. Eppure ne risentiva l’odore, riassaporava casualmente e accidentalmente attimi di struggente dolcezza che non avrebbe saputo collegare ad un evento, ad una circostanza, ad un momento preciso, ma che sapeva appartenere alla “storia”.
Eppure avrebbe voluto ricordare con estrema chiarezza, rivivere attimo dopo attimo, annaspava nella ricerca di un appiglio, nulla.
Questo strano gioco dell’inconscio, questo crudele inseguirsi e sfuggirsi dei ricordi, ma erano ricordi? Lo stremava. Ora riusciva a distinguere soltanto la schiuma scura che scorreva e ristagnava allo stesso tempo con piccoli, rari schizzi d’azzurro. Il ponte era dunque una sorta di strada a scorrimento veloce e lo riportava indietro e ancora più indietro fino al tempo della sua adolescenza, della sua fanciullezza e ancora più indietro e poi ancora avanti, ma sempre ad un passo dall’incrocio in cui le loro strade si erano intrecciate.
Doveva essere andata così per un tempo incalcolabile.
Poi apparve una sconosciuta, simile a lei, apparentemente la stessa persona, forse lei prima che cominciasse la loro storia, lei quando la vide la prima volta, non ne era certo. Era lei? Forse si, ma rigorosamente prima di innamorarsene, lei molto prima, quando tutto poteva non accadere, quando non aveva provato ancora stranezza d’amore, spasimo del cuore.
E così, quando la incontrava in quel buio fitto e denso le sensazioni che provava erano quelle di un incontro occasionale. Sapendo al contempo di chi si trattava tutto il suo essere si ribellava alla sua stessa indifferenza e il non provare nulla lo addolorava, lo stupefaceva, lo agghiacciava. Si chiese allora da cosa dipendesse quello statico stato emozionale, ma non aveva la forza per fare congetture, certo capiva che quell’inaudito stato d’animo gli permetteva di chiudere gli occhi e rilassarsi se pure con una parte della sua vita cancellata, giorni intensamente vissuti che scorrevano ormai sotto il ponte scuro della sua memoria, ristagnando nella schiuma fetida e nera, giusta condanna, forse, per aver sprecato parte della sua vita.
Come in un girone dell’inferno Dantesco i ricordi si contorcevano, si ribellavano all’oscurità, al fetore, alla condanna, ma la memoria li seppellì ancora una volta impietosamente.
Poi sentì un tintinnio, un camice bianco intravide tra le fessure dei suoi occhi stanchi, un laccio impietoso strinse il suo braccio e il liquido gelido entrò nella vena, ancora un attimo di luce fioca, poi un caldo buio ristoratore.
IL BUIO
Scrittura creativa
Francesca Bertoldi
Questo racconto, racchiude in sé molte “attenzioni” di tipo tecnico. Conduce verso la chiusura rivelatrice, un knock-out finale.
Ben costruito. Complimenti.
Un racconto particolare, mi è piaciuto.
Un abbraccio
Nicoletta