Governolo, Mantova, 25 Novembre 1526 –
La sera si stava approssimando e le Bande Nere iniziavano a sentirsi a proprio agio. Ormai la tattica era sperimentata. Gli assalti notturni alle retrovie dei soldati Tedeschi avevano reso parecchio nei giorni passati, ed era venuto il momento di attaccare il grosso del contingente nemico.
L’obiettivo di Georg Frundsberg era di rinforzare l’esercito imperiale, impegnato con le forze della Lega, quello di Giovanni de Medici impedirlo a tutti i costi. Raimondo cavalcava nelle prime file, accanto a lui vi erano Lucantonio Cuppano e il capitano Giovanni De Medici. Pur essendo molto giovane, Giovanni, aveva già fama di comandante esperto e le sue Bande Nere erano l’unico reparto militare che in quei giorni aveva avuto l’ardore e l’ardire di affrontare i Lanzichenecchi.
Le forze nemiche erano scese dalle pianure Tedesche qualche settimana prima e l’esercito della Lega di Cognac, comandato dal Duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, aveva preferito ritirasi da Milano e dirigersi verso Marignano. Giovanni dalle Bande Nere si era rifiutato di seguirne la ritirata preferendo fare di testa sua.
– Capitano!- Esclamò Raimondo a voce bassa
– Dimmi Amico mio – Rispose Giovanni
– Stavo pensando allo scherzo che ci hanno tirato i Gonzaga. Forse in questa guerra abbiamo troppi nemici-
– Cosa vuoi dire?-
– L’affronto di ieri notte Giovanni!-
– Non ti preoccupare, quando avremo vinto questa guerra, la pagheranno. Dovranno pur trattare con Sua Santità il momento in cui gli Imperiali saranno cacciati dall’Italia –
– Non mi preoccupo del futuro, ma del presente-
– Non ti deve intimorire la battaglia Raimondo. Ne hai combattute parecchie al mio fianco e sai come riusciamo a colpire con rapidità. Ben conosci come riusciamo ad essere devastanti.-
– Non mi curo della battaglia. Ho una fiducia smisurata in questi uomini. Senza contare che i Tedeschi ormai ci temono. Da giorni stiamo colpendo le loro vettovaglie. Li cogliamo all’improvviso di giorno e di notte. Non hanno mai il tempo di ingaggiarci e sconfiggerci. Mi preoccupo delle trame che possono essere ordite alle nostre spalle. Ti dico per esperienza che le alleanze si tessono e si sciolgono con la stessa velocità di un batter di ciglia. Ieri hanno sollevato il ponte levatoio di Borgoforte per impedirci di assalire i Tedeschi. Posso anche capire la necessità di un piccolo stato di collaborare con l’impero e far passare i soldati sul proprio territorio, ma impedire il passaggio a noi è un segnale che non mi piace. Per non parlare poi dei falconetti che Alfonso d’Este ci aveva promesso e che non sono mai arrivati-
– L’importante è che siamo passati Raimondo. Per quel che riguarda le artiglierie, faremo in modo che non ci servano. Ora però silenzio, anche se siamo sottovento non voglio rischiare che i nemici ci sentano-
Giovanni fece un cenno e tutta la colonna si fermò. Avanti c’erano i cavalieri in armatura, equipaggiati con armi da urto e corazze brunite per confondersi nella penombra. Più dietro vi erano gli archibugieri a cavallo, soldati che smontavano quando era il momento di combattere e risalivano in sella quando era il momento di fuggire. Entrambi erano montati su cavalli Arabi, piccoli e veloci animali che favorivano la rapidità dell’azione.
Uno degli esploratori in quel momento tornò e si fermò di fronte al Capitano, facendogli cenno di seguirlo. Passarono alcuni minuti, quindi si giunse in vista di una fornace presso la confluenza tra il Po e il Mincio.
Giovanni chiamò a sé Lucantonio e gli diede delle istruzioni semplici ma efficaci, poi chiamò Raimondo e gli disse:
-Stammi vicino!-
Raimondo annuì rimanendo accanto a quel condottiero più giovane di lui, che si comportava come il più anziano ed esperto dei comandanti.
Giovanni de’Medici si pose in testa alle truppe in armatura allontanandosi dalle forze nemiche, mentre Lucantonio Cuppano prese il comando degli archibugieri a cavallo facendosi sotto ai Tedeschi.
Il movimento degli Italiani non passò inosservato. Georg Frundsberg accortosi del pericolo fece disporre alcuni dei suoi in ordine di battaglia, lasciando ai più l’incombenza della marcia. Lucantonio fece avvicinare i fanti con la precisa volontà di attirare su di se l’attenzione del nemico. Quando ritenne di essere alla giusta distanza, diede ordine ai suoi di aprire il fuoco. In breve gli uomini scesero da cavallo e iniziarono a sparare sui Lanzichenecchi, che disposti in ordine chiuso per difendersi dalla cavalleria, erano un bersaglio facile. Anche dalle file Tedesche partirono palle di archibugio, ma gli Italiani dispersi sulla pianura risultavano difficili da inquadrare anche a quelle distanze non proibitive.
Non c’era fuoco organizzato da parte Italiana e non vi era neppure il preciso intento di abbattere quanti più soldati possibile. Il vero scopo di Lucantonio era costringere i nemici a disperdersi per poter favorire la carica di Giovanni. Lo scambio di colpi fu breve; con l’approssimarsi dell’oscurità il Capitano de Medici partì all’attacco e con lui Raimondo. Il drappello di Tedeschi fu investito sul fianco ed in breve si disperse lasciando sul terreno morti e feriti. Raimondo si lanciò all’inseguimento di chi fuggiva, mentre dalle retrovie truppe fresche venivano organizzate dal Frundsberg per resistere alla carica e dare riparo ai compagni.
In breve il Capitano De Medici tornò in testa ai suoi e si accinse a caricare anche la seconda linea di picchieri, mentre i suoi archibugieri erano rimontati a cavallo e sparavano dagli animali contro ogni Tedesco che avesse un’arma da fuoco. Sembrava una vittoria netta, ma fu solo un’illusione.
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Dal libro La città punita di Fabio Bertinetti, recensito da Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari.