La polvere d’oro di Dorella Dignola Mascherpa

Nell’ambito della nuova Rubrica “Libri in cerca di editore”, presentiamo in anteprima esclusiva il romanzo inedito “La polvere d’oro” di Dorella Dignola Mascherpa.

Scrive Nicla Morletti, nella recensione pubblicata nel Portale Manuale di Mari:
“Una bella storia narrata con stile elegante e ricchezza di immagini. Dorella Dignola Mascherpa ha una vera e propria vocazione per lo scrivere, nel cesellare immagini e personaggi, nel dipingere con parole appropriate scene e paesaggi. Nel creare atmosfere.”

Leggiamo e commentiamo alcuni brani tratti da questo libro. L’autrice leggerà i nostri commenti e risponderà in questa stessa pagina.

Per maggiori informazioni su quest’opera contatta l’autore

Dal capitolo VI di “LA POLVERE D’ORO” DI DORELLA DIGNOLA MASCHERPA


Oliviero partì dalla stazione verso le otto del mattino. Era un lunedì ancora pieno del sole dell’estate che stava finendo.
Monica e Mauro lo accompagnarono ed alla stazione trovarono anche il padre che, suo malgrado, non riusciva a mascherare una certa fierezza. Oliviero invece faceva sforzi per mostrarsi tranquillo e sfoggiava sorrisi affinché potessero apparire credibili. Gli dispiaceva tanto andarsene di casa, abbandonare gli studi, la musica adorata e Monica che aveva fatto breccia nel suo cuore.
Monica era bella e Oliviero ora la vedeva stupenda. Era cresciuta molto in altezza ed il suo corpo aveva le sinuosità che si richiedono alle modelle della moda. Aveva una massa di capelli color castano scuro ed occhi mirabilmente blu. I capelli pieni di riflessi dorati erano voluminosi e a piccoli riccioli che ella portava abitualmente sciolti. Aveva la carnagione chiara e compatta, punteggiata da piccole efelidi sulla cima delle guance e del naso. Somigliava molto alle bambole americane ed un po’ per scherzo ed un po’ per davvero, in casa la chiamavano “Barbie”.
Era venuta alla stazione recando un pacco che consegnò ad Oliviero dicendogli: “Non aprirlo ora, guarderai il contenuto quando sarai arrivato a destinazione; ti ho messo cose che spero ti piacciano e che ti facciano sentire meno solo” .
Oliviero l’abbracciò davanti a tutti, sebbene fosse soltanto la seconda volta che lo faceva e non senza impaccio. Egli capiva che appariva molto di più di quanto in realtà tra essi si fossero detti; non soltanto non si conoscevano ma non sapevano neppure se tra loro stesse iniziando un amore. Tuttavia la circostanza li spingeva ad esprimere un rapporto intimo, come fosse già sperimentato. Il padre ne era visibilmente contento e tra sè e sè già considerava il figlio fidanzato con quella splendida ragazza.
“Ci ha tenuto tutto nascosto, ma ora che sta per partire, ha sentito il dovere di farci capire come stanno le cose. Eh! Birbante!”
Egli non aveva saputo nulla fino a quel momento perché non c’era nulla da sapere; i due giovani non si erano scambiati neppure un bacio.
Al momento di salire in treno Oliviero abbracciò tutti e non esitò a prendere Monica tra le braccia ed a baciarla lungamente come nelle scene dei vecchi film; la situazione gli appariva un po’ grottesca e tale da costringerli a quel comportamento; nessuno dei due però avvertiva ambiguità: Monica pianse un pianto vero, con un dolore vero per il distacco imminente. Mauro la strinse a sè e le accarezzò i capelli mentre ella salutava con il braccio alzato Oliviero affacciato al finestrino.
Tornando verso casa, Mauro le chiese: “Lo ami molto? Mi dispiace che tu debba soffrire; con tutti i giovani che ci sono e con tutti gli ammiratori che hai, proprio di Oliviero ti dovevi innamorare che è tra i pochissimi che sono stati chiamati per questo addestramento, su tutto il territorio nazionale.
Monica a quel punto dovette continuare la sua finzione, non poteva più tornare indietro e confessare di non conoscere i propri sentimenti. Doveva ormai considerarsi la ragazza di Oliviero.
Si soffermò su questo pensiero e s’accorse che la cosa non le dispiaceva affatto. Iniziò ad immaginarlo in modo diverso, più legato a sè, alla sua vita; partecipe delle sue decisioni di cui si ripromise di informarlo con sollecitudine, per avere il suo parere e per dare concretezza alla loro unione. Ciò l’aiutò a ritrovare una calma serenità. Questi nuovi pensieri avevano cancellato la sua solitudine, ella ora sentiva di appartenere, si sentiva sempre in compagnia.
Intanto Oliviero arrivò alla caserma ed alla portineria trovò un militare che lo indirizzò nell’ampio cortile, dove altri giovani in abiti borghesi, attendevano con il proprio bagaglio per terra.
Andò ad unirsi al gruppo e, nel tempo di un quarto d’ora, arrivarono circa trecento persone.
Due militari, uno con mostrine e cappello di evidente color carriera e l’altro più modesto, monocolore.
Vennero invitati in tono bonario a distribuirsi in cinque file, ben allineate ed iniziò l’appello. Il graduato constatò che mancavano ben due persone; disse ad alta voce che gli assenti avrebbero potuto unirsi a loro soltanto motivando il ritardo per iscritto.
Vennero impartite le prime disposizioni per la loro sistemazione nelle camerate e venne dato l’appuntamento dopo due ore per le informazioni relative all’addestramento che avrebbe avuto inizio già da quella stessa sera.
Oliviero incominciò così la sua avventura. La freddezza, l’aridità che avvertiva intorno a sè, rispecchiavano il grigiore che aveva nell’anima. Si mise a sedere sulla propria branda con l’intenzione di riscaldarsi il cuore aprendo il pacchetto che Monica gli aveva donato.
Subito sentì la voce perentoria di un militare che diceva, quasi gridando, che c’era il divieto assoluto di sedersi sulle brande. Aggiunse un’altra serie di norme da rispettare per l’uso dei servizi che nell’ambiente erano chiamate “latrine”; doveva avvenire formando delle file di priorità, negli orari stabiliti ed indipendentemente dalle personali necessità. Non vi sarebbero stati altri momenti per poterli usare a quello scopo.
Soltanto all’ora del silenzio a Oliviero fu possibile aprire il pacco e vi trovò: un libro di narrativa, un pacco di caramelle alla menta e fondenti, un mazzo di carte, un pacco di biscotti farciti, due tavolette di cioccolata, un flacone di acqua di colonia dopobarba e, per finire, una bellissima fotografia di Monica. Oliviero si mise a piangere in silenzio, intenerito da tutte quelle delizie e stando attento a non sciupare la foto che si portò alle labbra con ardore e perfino con devozione. Non pensò di essere patetico, il clima intorno era davvero scoraggiante e molto molto diverso dall’ambiente di casa. Si addormentò con la caramella in bocca che gli rimase intatta tra denti e guancia, fino al risveglio.

(…)

Arrivarono in una galleria all’interno della quale, in un’ampia vetrina, erano esposti una decina di abiti da sposa. Si fermarono a guardarli ad uno ad uno ma a Giorgia non piacquero.
Le era rimasto nella mente quello provato poco prima e questi le parevano addirittura brutti, insignificanti, banali.
Si sentì amareggiata ed incerta; voleva tornare al negozio per sapere se l’abito di suo interesse poteva essere lavato. Monica l’accontentò;  ritornarono sui loro passi e quando la venditrice le rivide si agitò molto e rispose in modo scortese; disse subito che l’abito era irrimediabilmente sporcato poichè la cenere era penetrata al fondo dei fiorellini. Soltanto smontando l’abito si sarebbe potuto lavarli uno per uno, scucendo anche tutto il lavoro della ricamatrice che in ogni fiore aveva posto una perla.
Le ragazze rassegnate si scusarono ed uscirono di nuovo.
Decisero di ritornare a casa e di lasciar passare qualche giorno per superare lo shock e per recuperare l’entusiasmo di partenza, l’animo sgombro dell’amarezza sofferta per poter scegliere l’abito che avrebbero comperato. In quel momento nessuna delle due aveva le idee chiare, non avrebbero saputo scegliere alcunché.
Giorgia raccontò a suo padre quanto le era accaduto ed egli, oltre a stupirsene, se ne lamentò disprezzando il degrado di certi ambienti antichi, lasciati andare alla fatiscenza, senza provvedere ai dovuti restauri, con il rischio di crolli, come qualche volta era già avvenuto e tutti ne avevano letto le cronache sui giornali.
Giorgia gli diede ragione e quella sera se ne andò a dormire tranquilla e non pensò più alla cenere misteriosamente caduta dall’alto. I suoi sogni si popolarono di mare, di sole e del volto dolce di Mauro.
Aveva dato appuntamento per una nuova ricerca il sabato pomeriggio e, insieme a Monica, andò questa volta anche Francesca, convinte che andando più numerose avrebbero avuto più idee e più grinta nel trattare con le venditrici.
Giorgia avvertiva una certa insicurezza di fronte a qualcosa che la sovrastava, non riusciva a capire se fosse l’importanza dell’acquisto, determinante per la buona riuscita della cerimonia più importante della sua vita, oppure per qualcosa di arcano che accompagnava la sua vita da quando aveva incontrato Mauro. Decise comunque di non parlare al fidanzato dell’avventura dell’abito sporcato dalla cenere; era certa che quel giorno avrebbero trovato quello giusto.
Così il sabato le tre ragazze si incontrarono nel centro della città e decisero di percorrere un’altra delle vie importanti che iniziavano dalla piazza principale.
Francesca additò subito un negozio che occupava l’intero angolo di un edificio.
Da lontano si vedevano esposti gli abiti bianchi e camminando veloci, in pochi minuti furono sul posto davanti alle vetrine. Giorgia trovò che fossero tutti bellissimi e che era difficile scegliere quale fosse il migliore. “Provane qualcuno!” le suggerì Monica, “E quando li avrai indossati capirai quale tra quelli ti piace di più!”
Francesca fece coro a quanto aveva detto Monica.
Giorgia accettò il consiglio delle sorelle.
Entrarono e chiesero di poter provare qualche vestito tra quelli esposti. La signora del negozio domandò chi delle tre fosse la sposa.
“Sono io! ” rispose Giorgia.
La donna ebbe davanti agli occhi un bagliore, si stropicciò gli occhi pensando d’aver avuto un disturbo alle pupille, ma la polvere d’oro non si dissolse ed ella, scusandosi, si allontanò.
Le tre ragazze si guardarono perplesse e già stavano per uscire quando arrivò un signore, di bassa statura, che andò a loro sorridendo e ad Giorgia parve che impercettibilmente somigliasse al pescatore.
Ripensò in un baleno alla sua bella casa, si fece animo e richiese la prova di uno degli abiti della vetrina.
“Certamente signorina, subito! Le consiglio di osservare questo prima di ogni altro” e, così dicendo, le mostrò un vestito interamente bianco, di seta semi lucida, di linea impero, con la scollatura alta e quadrata e delle piccole maniche aderenti e corte. Era completato da un cappellino tondo ricoperto dello stesso tessuto con una cascata di fiori ricadenti sulla nuca. L’abito non aveva ricami,  alcun ornamento, era di linea perfetta, impeccabile.
L’uomo accompagnò Giorgia davanti alla specchiera mentre ella guardava ogni particolare anche nel rovescio della fine ed accurata lavorazione. Se lo infilò con l’unica preoccupazione che le andasse bene, giusto nelle misure: non troppo lungo, non troppo stretto, non trasparente, non troppo scollato. Si guardò e si vide bellissima.
Si fece posare sui riccioli il capellino e scoppiò in una gioiosa risata: “Sì, sì, questo è il più bello di tutti, mi piace molto!
Le due amiche la guardarono ammirate e confermarono le sue parole:
“Sei stupenda Giorgia!”
La ragazza ebbe il cuore inondato di gioia al pensiero che Mauro l’avrebbe presto vista all’altare così vestita. Pian piano si tolse il prezioso abito, lo consegnò al “Signor Venditore” dicendogli che la scelta era fatta.
“Bene signorina, lo riceverà la sera precedente il giorno delle nozze.”
Uscirono e dietro di loro il signore vide volteggiare nastri di polvere d’oro; sorrise e richiuse la porta alle loro spalle.

8 Commenti

  1. Grazie cara Cinzia per il tuo commento. So che c’è lealtà e verità in ciò che dici e mi tocca il cuore come una dolce carezza. Dorella

  2. Cara Dorella, ti cattura immediatamente questa copertina che è un tuo dipinto. Un quadro che racchiude in una cornice d’intensità non solo questo, ma tutti i tuoi scritti.
    Con affetto
    cinzia

  3. Grazie nonnameri, sei tanto tenera nell’esprimere i tuoi pensieri di approvazione. Ne sono sempre lusingata e contenta. Grazie tante tante. Un bacio

  4. Cara Daniela, mi è molto piaciuto il tuo aggettivo “luminescenza” riferito al mio quadro. Ora che me lo hai detto vedo anch’io che è proprio così.Ti ringrazio per la attenzione che sempre tempestivamente poni anche ai miei lavori. Ti mando un caro abbraccio!

  5. Cara Dorella,
    ha la luminescenza di una polvere d’oro il tuo bel dipinto in copertina, così come la tua prosa che colora immagini e sentimenti con l’eleganza dell’artista.
    Complimenti vivissimi

    Daniela Quieti

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

 Togli la spunta se non vuoi ricevere un avviso ogni volta che c'è un commento in questo articolo
Aggiungi una immagine

Fiera dei Libri Online

spot_img

Manuale di Mari

spot_img

Ultimi post

Altri post