Domina

Domina di Dorella Dignola Mascherpa

Già nell’adolescenza Domina era stata una fanciulla che portava nell’anima un peso esagerato, sproporzionato. Un segreto che custodiva in silenzio, in parte per l’inconsapevolezza della sua immaturità ed anche  per la determinazione che andava formandosi in lei con l’uso di ragione precocemente raggiunto. Nessuno tra i suoi compagni avrebbe potuto comprenderla ed ancor meno avrebbe potuto aiutarla perché se ne liberasse.

Si conosceva invece molto bene interiormente e la sua sensibilità la rendeva capace  di capire l’animo altrui con grande immediatezza;  ciò era molto insolito in una fanciulla di così giovane età.

Tra i coetanei si sentiva spesso a disagio sebbene le piacesse stare in loro compagnia, ma finché non ebbe raggiunto una sufficiente energia e padronanza di sé, il mondo intorno le era faticoso e a volte anche tanto doloroso da farla piangere all’improvviso e nessuno sapeva spiegarsene la ragione. Viveva in uno stato di sofferenza pressoché costante, sempre  combattuta tra la sua voglia fresca di giovane desiderosa di vivere spensierata e felice ed il peso del suo segreto. Soffriva Domina, Gli adulti  della sua famiglia non avevano qualità personali né possibilità concrete per far intervenire qualcuno che fosse in grado di accompagnare la ragazza nella fase della crescita  già di per sé critica , gravata dall’oppressione di quel turbamento.

Cresceva in altezza a vista d’occhio e ciò la faceva sentire, tra gli altri, acerba ed insicura. Il suo aspetto esteriore le era tuttavia ignoto; non si conosceva, non avrebbe saputo dire di sé se fosse bella o brutta; lo specchio era usato semplicemente per controllare se i capelli fossero in ordine o se l’abito che indossava le stesse giusto . Di sè sapeva soltanto quello che le dicevano gli altri, in casa e a scuola.  Ed era ben poco;  attenzioni particlari non non ne aveva da nessuno; tutto le ruotava attorno con indifferenza perchè ognuno badava alle proprie cose, ai propri impegni.
Cresceva senza indicazioni e pur essendo una bimba vivace ed esuberante per natura, cresceva  con carattere schivo, timoroso.  Aveva una corporatura esile ed alta con il volto appuntito dalla magrezza,  tutto occupato dagli occhi che aveva smisuratamente grandi e spandevano sul colorito roseo, una luce scura molto contrastante; aveva capelli bruni e lisci, fini come seta; la bocca piccola ma con labbra tumide che  si chiudevano a cuore sulla dentatura bianca perlacea.

Ella capiva che un’impronta, una matrice originaria dava fisionomia e volto alla sua personalità, ma non avrebbe saputo dire chi o che cosa l’avesse così precocemente costruita. Capiva di essere diversa con quella ineguaglianza che le teneva gli altri distanti, uniti in  una complicità mista di timore e malevolenza. Ebbe capacità di discernere il bene dal male quasi in concomitanza con l’uso della ragione, fin dalla più tenera età. La vita, gli avvenimenti, la distrazione, la ferivano in continuazione ed essa inequivocabilmente era in grado di comprendere l’errore accorgendosi di quanto ai coetanei fosse normalmente perdonato, quanto il loro errore passasse inosservato se non, addirittura, divenisse occasione di divertimento.

C’era una donna nel vicinato che a causa di  un grave trauma psichico subìto in gioventù, era totalmente priva di ragione. Teneva sempre lo sguardo rivolto verso l’alto, in un determinato punto del cielo e ripeteva a chi le si rivolgesse, sempre e soltanto la frase detta in una terribile notte in cui aveva perduto  l’intera famiglia, sotto un bombardamento aereo. Qualcuno le aveva chiesto che ore fossero ed essa, un istante prima della deflagrazione, aveva risposto: ” Le due e mezzo ….”. E furono quelle le sue ultime parole di creatura intelligente; dopo e per tutta la vita, a qualunque domanda, avrebbe continuato a rispondere quell’unica frase. Chiunque la incontrasse s’avvedeva subito del suo stato, dell’obliquità fissa del suo sguardo rivolto verso l’alto. Tuttavia nessuno voleva rinunciare all’insano divertimento: regolarmente le rivolgevano la solita domanda, “Pia, ….. che ore sono?” …. per il gusto di sentirsi dare la solita tragica risposta: ” …. Le due e mezzo!” Con gli occhi puntati nel nulla del suo cielo chiuso.

Domina era la sola a non divertirsi affatto in quel crudele gioco; era l’unica a sentirsi umiliata perché troppo piccola  ed  incapace  ad intervenire per far cessare l’oltraggio. Naturalmente ciò acuiva il suo senso di colpa poiché comprendeva il proprio limite e quellodi coloro che schernivano la poverina,  per l’incoscienza dell’età ed anche per l’innata cattiveria di origine primordiale che vi è in tutti gli esseri umani. Ciò però non bastava ad acquietarla.

Si trovò un giorno tutta sola in una strada stretta che attraversava una vasta pianura, all’estrema periferia della città, oltre l’abitato dove viveva; si fermò ad ammirare un cespuglio fiorito di biancospino e volle staccarne un ramo con l’intenzione di offrirlo alla sua maestra l’indomani a scuola. Provò a rompere il ramoscello ma, ancor prima che l’avesse tra le mani, i fiori erano caduti a terra ed ella si ritrovò tra le mani il rametto legnoso e spoglio che gettò via.

Pensò che i fiori erano tanto belli sulla pianta e che lì era il loro posto; chi li avesse staccati, li avrebbe fatti morire perché quello era il loro posto. Si pentì d’averlo fatto. A scuola il giorno dopo provò a spiegare alle sue compagne la lezione che aveva studiato ed era tratta dal libro di testo. La piccola vi inserì brevemente l’esperienza che aveva vissuto e capito nel cogliere il ramo fiorito; la maestra la premiò con un ottimo voto.

Quello fu il primo avvenimento che le rivelò un’autonomia acquisita di comprensione e di giudizio.

***

Dal romanzo Domina di Dorella Dignola Mascherpa

1 commento

  1. Sembra un libro veramente interessante… ricco di pathos… sensibilità…

    scritto con dolci parole che sanno subito catturare l’interesse di chi legge…

    spero di poterlo leggere per intero

    Sara

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