Arturo

Arturo, l’uomo dei sogni, vive all’Isola, un quartiere milanese diviso dal resto del mondo per via dei binari della Stazione Garibaldi. A questo status di separatezza dell’Isola contribuisce non poco piazza Freud. Luogo metafisico e vagamente onirico quest’ultimo, come le atmosfere da lettino sul quale giacciono incontaminate tutte le nevrosi del novecento evocate dal nome dell’inventore di quella religione laica che chiamano psicoanalisi.
Una piazza, dicevamo, ma sarebbe meglio dire un non luogo a procedere con sapori di fantasmi e macerie di dopoguerra e di ricostruzione infinita, eternamente in attesa di essere portata a termine. Eppure la ricostruzione c’è stata e si vede. Basta guardarsi intorno.
Se ne sta, così, ad almanaccare immerso nei suoi pensieri, Arturo, mentre cammina nell’aria fresca di un mattino di primavera guardando oltre il fascio di treni sottostante il cavalcavia Bussa. Da lassù il paesaggio urbano gli appare come un quadro stonato di De Chirico. Pieno di bitorzoli e di linee incongruenti e fin troppo razionali tanto da sembrare inutili nella loro banale e ovvia quotidianità. Osserva l’improbabile salmone accostato all’ocra scialbo e in falsetto di quelle due torri ubriache di luce e inebetite dal sole di marzo oltre che dallo sferragliare dei treni che attraversano le loro pance e ne fanno gruviera per riaffiorare oltre via Restelli e proseguire verso la Bicocca, la stazione di Greco e ancora, dopo Sesto, nel verde acquoso della valle del Lambro e della Brianza monzese.
Le guarda stupito, Arturo, quelle torri. E al volgere dello sguardo si trova a riflettere sul senso della vita e sulla strana mistica che deve avere ispirato architetti, geometri, ingegneri e urbanisti artefici di quell’ecomostro nel quale hanno sede l’Ata Hotel e le Assicurazioni Alleanza.
Guarda e sogna, Arturo. Quand’ecco un bouquet di capelli dal colore rosso fiero gli appare a incorniciare un volto di donna dalla bellezza ancora indomita e solare. Una visione, quasi una musica. Un piano e forte di Schubert e Chopin, o forse no, musica barocca, Henry Purcell e le Fairy Queen risuonano nell’aria.
E intanto dalla Comasina, lasciandosi Niguarda sulla sinistra, il traffico di auto, fatto di uomini e di cose scorre e s’inoltra come sempre dal ponte di via Farini verso i Bastioni, Porta Volta, Porta Garibaldi e il Centro Direzionale.
È il giovedì prima della Pasqua e Arturo, senza alcuna pretesa di sapere che cosa sta facendo, allunga il passo come per raggiungere quella che visione non è più, bensì donna lesta di gambe e carica d’incognite, di presagi e di promesse ancora oscure. Di stare sognando non è poi così certo, questa volta, Arturo. Così insegue la donna che ormai gli appare essere senz’altro la sua, là dove sogno e vita s’intrecciano, si spiegano, s’incontrano, si conoscono e sfumano l’uno nell’altra in una aurora prolifica d’immagini. La insegue e quasi le parla tanto è vicina. E sono entrambi già nei pressi del metrò di via Moscova.
Dalla stazione emerge la solita calca e viene loro incontro in modo sciatto. Sul marciapiede l’impagliatore di seggiole, il mendicante, varie ed eventuali.

Do maggiore! Squilla la suoneria di un cellulare: trombe e trombette polifoniche variamente accordate.
Si sveglia, Arturo: “Assicurazioni San Martino. Sono Arturo, buon giorno!”
“Buon giorno, Arturo, sono Amalia. Se scendi a trovarmi ho pronto il tuo stipendio.”
“Grazie, Amalia. Saluto un’amica e sono da te. Aspettami.”
“Fa’ presto, ti offro il caffè.”
Riattacca Arturo, si rituffa nel sogno, ma non trova la donna.
Dove l’ho persa? Moscova… San Marco o in via Brera?

2 Commenti

  1. Bellissimo questo scritto, questo incontro che svanisce nella vita confusa e frenetica di Milano, questa “distrazione” leggera e veloce per i “dané”…. altro che musica! Complimenti.

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