Nella parte più nera di me c’è il sud –
Nella parte più nera di me c’è il sud
quel sud da raccogliere come si fa coi granchi
quando c’è risacca e il vento spolvera
nude braccia e nude mani.
Potrei donarti solo le stagioni nostalgiche
quelle che si colorano come i limoni
sfiancati al sole
e sul ramo potrai puntellarti
e stare attento che l’upupa non ti sfiori
se la notte sarà forte e rosa
ma se rimpolperai l’aspro frutto t’ingannerà
il ghigno del fiore
fino ad abbagliarti
e Filomena
canterà il suo sfiatato lamento
che non saprà sigillare parole
in orchidee carminie.
Ma non vedrò niente
che ti possa affamare il desiderio
come pianto di madre senza figlio
che rampolla allo sguardo
mostrando il ventre al sole.
Laverò i tuoi piedi e li carezzerò
con i capelli di Flora
fino a gioire al passo che sentirò
sulla soglia.
Vaso di alabastro così fragile sei
raccoglierò i tuoi cocci semmai ti frantumerai
li suturerò per forgiare anelli coi tuoi riccioli
non per rapirti ma per liberarti dai veli
del tuo guardare senza vedere
che scioglie al primo passo l’ultima neve
aspetterò accordando quello che è rimasto
in fiato a una canna
finché non riuscirai a sentire oltre l’inaudito.
Che la notte resti un attimo
senza l’imbratto della luna
per fare buio sui muri di calce e spago
porteremo con noi l’urlo primitivo
che ci fece nascere
e torneremo alla nostra tana
a rimettere a una a una le pietre
per ricominciare da capo.
Questa terra agnello
nell’ ora della Passione
érkete o paska
teste di morti zuccherate
per le feste sugli altari
buccia secca leccata dal mare
quel mare che ce la fa alla fine del tutto
a consolare Armida.
Questa terra che finisce
nell’ora della Pentecoste
nei grembi ali di prefiche
dalle braccia di panno
piegate a scaldare il pane
piche sirno apànn-mu.
Questa terra che cade a pezzi
incidente della storia
come può riconoscermi?
Fiore di cartapesta
sotto una cupola di tufo.
Questa terra sudario di corvi e di nodi ai piedi
sangue di olive strizzate alle lune nuove
o fengo mavro
terra di diavoli in processione
al venerdì santo
che battono colpi
a case sonnacchiose.
***
Passerai distratto
Passerai distratto
da una contrada
sull’orlo spiegazzato
di una terra che sa
di un dolore lontano lontano
buono e caldo come il pane nella madia
terra di conquista
dove le cinquanta lune di Saturno
si” incontrano in piazza la domenica
sopra la schiena di buoi
vacche del sole
che scendono muso a muso
a festeggiare un mascio
menhir tra la terra e il cielo.
È qui che epifanie divine
si incrociano al solstizio d’estate
col mento a terra di vecchi
scolpiti nella roccia meridiana.
Qui troverai la loro meraviglia
di fronte allo sposalizio
di un cedro e di un agrifoglio
al ritmo di una banda
in festa
e di Vito che ballò con le streghe
a Sant’Antonio
sotto l’albero della cuccagna.
***
Maremàje di Anita Piscazzi – Campanotto Editore, 2012 – pag. 68
Il commento di NICLA MORLETTI
Fascino, mistero, dolcezza espressiva, ecco cosa emanano le pagine di questo mirabile libro di Anita Piscazzi. Una poesia che sembra sgorgare da una pena segreta in cui si riflettono immagini che si susseguono come fasci ineguali di luci metalliche, che racchiudono: stile, poesia, arte, pensiero, azione ed anima, senza perdere minimamente il loro ruolo di umanizzare una società sempre più povera di valori.
Un discorso così denso di verità del cuore, questo di Anita Piscazzi, da coinvolgere l’invenzione creativa. “Maremàje” è un libro che racchiude versi dalla vena limpida, scorrevole, da cui emergono sentimenti armoniosi e suggestivi che giungono al cuore come nostalgica melodia, che ha quasi il ritmo del mare, dell’andare delle sue onde nell’immensità delle acque della conoscenza e della poesia più vera.