Semi di senape di Angela Ambrosini

I segnali luminosi sopra i posti numerati si accesero evidenziando il divieto di fumo e l’obbligo di allacciarsi le cinture di sicurezza. L’impianto d’aria condizionata cominciò a emettere un lieve sibilo, presto inghiottito dal rombo crescente dei motori e dallo sferragliare delle ruote sulla pista. Dal finestrino poteva vedere solo le luci dell’aeroporto fibrillare a sciami geometrici in senso ora orizzontale ora verticale nel buio di quella notte inoltrata d’ottobre. Il ticchettio prodotto a intervalli dal chiudersi delle fibbie delle cinture di sicurezza accomunava i passeggeri di diverse lingue e nazionalità, rigidamente appoggiati allo schienale dei sedili. Aveva appena scambiato qualche breve parola con il suo compagno di viaggio, amico di vecchia data, e non solo collega di lavoro. Le innumerevoli trasferte intraprese insieme avevano consolidato ancor di più l’intesa professionale che li vedeva entrambi militare nella stessa testata giornalistica. Non uno screzio, non una divergenza; un’amicizia collaudata da dieci anni di frequentazione e dalle affinità di carattere.
L’hostess si avvicinò leggera per offrirgli il quotidiano fresco di stampa. Un rapido sguardo al suo articolo gli confermò l’efficace impatto del titolo e dell’occhiello. L’intuito critico, unito a una solida cultura e a quella che si chiama acquisizione del mestiere, aveva fatto di lui un analista politico di prestigio internazionale, stimato anche dai suoi avversari. Si soffermò pochi secondi sull’articolo di fondo del direttore e sulle notizie in prima pagina, rimandando come sempre, quando viaggiava in aereo, l’apertura del quotidiano a dopo il decollo, al momento in cui si sarebbe sentito più rilassato. Non era paura di volare, no, ormai si era assuefatto alla sensazione del volo, ma il decollo a volte gli procurava piccoli problemi di perdita d’equilibrio, di compressione ai timpani, di crampi allo stomaco. Ordinaria amministrazione, ma proprio per questo riservava la lettura del giornale alla successiva fase di benessere che sperimentava ad alta quota. Ripiegò quindi con cura il tabloid posandolo sulle ginocchia e, nel fare ciò, ebbe la percezione, guardando involontariamente con la coda dell’occhio, che il suo amico non occupasse più il proprio posto e che quindi il sedile accanto al suo fosse vuoto. Strano momento per andare alla toilette, pensò pigramente mentre chiudeva gli occhi in preda a un sonno improvviso, aspettando di sentire da un momento all’altro la rapida perdita di contatto delle ruote col terreno. Poteva sentire l’aereo rullare ancora sulla pista, simile a un uccello al quale avessero spezzato le ali. Poteva sentire la forza di gravità esercitare ancora per poco l’effetto calamità sulla sagoma metallica del velivolo. Entro una manciata di secondi avrebbe visto le segnalazioni luminose della pista allontanarsi contemporaneamente in formazione d’attacco verso chi sa quale missione. Se fosse stato giorno, avrebbe visto inclinarsi l’orizzonte sulla terra come il liquido sorseggiato da un bicchiere.
Allungò leggermente le gambe aspirando il fiotto d’aria fresca che proveniva dalla bocchetta del sistema di ventilazione e, nello stesso momento, aprendo gli occhi, notò che le teste dei passeggeri seduti davanti erano sparite dietro gli schienali, forse in cerca di una posizione di riposo che agevolasse il sonno.
In fin dei conti era ancora notte. Egli stesso tornò ad abbassare le palpebre, pregustando il momento del rientro a casa dopo quattro settimane di assenza che l’avevano visto impegnato in un master nel ruolo di formatore.
La sua famiglia, i suoi amici di sempre, il suo analista. Già, avrebbe dovuto riprendere la terapia, non ne aveva sentito affatto la mancanza; pensò al suo analista quasi per caso, distrattamente, come si pensa a un vicino di casa che ci torna in mente per associazione involontaria di idee. Adesso stava molto meglio, ammesso che fosse stato mai davvero un malato grave: con il lavoro che faceva non poteva certo permettersi crisi d’ansia o turbe simili. Ma quella certa sensazione strisciante che aveva avvertito per qualche mese fino a pochi giorni prima era scomparsa nel nulla, ed era scomparsa senza che lui ne prendesse piena coscienza.
Come a volte accade, la guarigione avviene in sordina, talmente in sordina da lasciare persino dubbi sul pregresso stato di sofferenza, specie quando questa non sia stata virulenta o inabilitante. Era il suo caso. Pensò quasi con indifferenza allo stato di benessere in cui si trovava, ma, quantunque il ricordo di quella certa sensazione fosse indelebile, ormai non gli apparteneva più, anzi era come se l’avesse appresa dal resoconto di un estraneo. L’indomani sarebbe tornato alla sua redazione, ai suoi colleghi, alla sistematica stesura giornaliera dei suoi articoli nei quali il mordente della critica, scevro dall’invettiva tanto in voga nell’ambiente, si sposava all’acribia della interpretazione politica.
Il suo amico forse era già tornato, ammesso che si fosse mai allontanato. La toilette era solo due file dietro; stava per voltare la testa verso il sedile accanto quando la schermata di bordo che moltiplica per ogni fila dei sedili il tracciato luminoso della rotta, richiamò come sempre la sua attenzione.
Gli piaceva visualizzare l’itinerario da percorrere e ponderare il risparmio di ore che l’aereo comporta specie nei voli a lungo raggio. Prese a riflettere su come sia precaria, di conseguenza, la percezione del tempo, soprattutto se associata a quella dello spazio e quasi si assopì sui punti luminosi dello schermo che duellavano con quelli della pista di decollo, fino a che non lo scosse dal torpore la voce del comandante che invitava i passeggeri a rimanere seduti con le cinture allacciate e a mantenere inattivo qualsiasi dispositivo elettronico.
Finalmente il rombo dei motori assunse il tono di un sibilo sempre più acuto, sempre più insistente e nell’impasto di luci e suoni avvertì il peso del corpo balzare verso l’alto, risucchiato da quel ciclo nero che l’avrebbe riaccompagnato a casa come attraverso un prodigioso tunnel. Nell’atmosfera immobile l’aereo s’impennò, simile a una lancia in resta scagliata durante una battaglia invisibile, poi, a poco a poco, cominciò a perdere l’inclinazione del decollo guadagnando lentamente la posizione orizzontale del volo di crociera. I carrelli delle ruote rientrarono con un tonfo secco negli alloggiamenti.
Fra breve avrebbe riaperto il giornale e scambiato qualche parola con il suo immancabile compagno di viaggio. Tornò a ricordarsi di lui e questa volta si girò alla sua destra. Effettivamente il sedile era vuoto. Fu allora che venne assalito dal timore che fosse accaduto qualcosa. Istintivamente cercò il posto più vicino dove sedeva l’hostess, dietro di sé, a due o tre file al massimo di distanza. Ma lei, la ragazza del giornale, non c’era. Non solo, poté rendersi conto in quel momento di come i sedili dietro al suo, che credeva occupati, fossero tutti vuoti. Strano, un volo poco affollato, forse perché era un lunedì notte, forse perché era bassa stagione, forse perché i feroci attentati del mese prima avevano dissuaso molti viaggiatori dall’uso di quel mezzo di trasporto. In effetti le compagnie aeree registravano un preoccupante calo di presenze, ma quella rotta era fra le più sicure, certo, sempre ammesso che esistano rotte sicure.
Si sollevò dallo schienale per indagare con lo sguardo davanti a sé, in cima al corridoio; il suo collega poteva trovarsi davanti, poteva essersi rivolto a un’altra hostess. Ricordava che in cima all’aereo ne aveva viste sedersi due. Ma il tormento che l’assalì allora fu ben più insopportabile di quanto provato nei mesi precedenti allorquando, cominciando ad avere la sensazione persistente di essere seguito, aveva avuto bisogno di trovarsi un bravo medico.
L’aereo era vuoto. Desolatamente, inesplicabilmente vuoto. Era rimasto solo. Nessuno con cui scambiare una parola, nessuna hostess alla quale chiedere aiuto, forse, pensò con terrore, neppure un pilota a cui rivolgersi.
Non ebbe il coraggio di alzarsi per avvicinarsi alla cabina di comando. Tornò a chiudere gli occhi nella speranza di riaprirli svegliandosi da un brutto incubo, ma l’incubo era lì, intorno a sé, dentro di sé. Non c’era nessuno in quell’aereo per salire sul quale aveva dovuto pazientemente aspettare il suo turno sulla scaletta. Non c’era nessuno seduto accanto ai finestrini quando ricordava con chiarezza che due bambini avevano cambiato di posto con i genitori per poter osservare più da vicino le ali dell’apparecchio.
Si sentì inondare da un sudore freddo che gli fece temere di avere la febbre; il cuore, dopo un parossistico tumultuare, parve arrestarsi, schizzato in gola per la spinta di un rantolo e nello stesso tempo un tremore incontrollabile cominciò a scuoterlo dalla testa ai piedi mentre un crescente ronzio alle orecchie copriva, annientandolo, il rombo dei motori.
Quando riprese i sensi nulla era cambiato intorno a sé ma, sobbalzando d’una gioia fugace, vide che “qualcuno” gli aveva premurosamente sistemato un bicchiere d’acqua sul tavolino reclinabile di fronte al sedile. Bevve avidamente roteando gli occhi in ogni direzione, desiderando vedere comparire un’hostess, un passeggero, il suo amico. Ma il desiderio non si avverò. Fuori, il buio martellava i vetri. Dentro, la paura gli martellava la mente. Avrebbe voluto gridare aiuto, dimenarsi sul sedile, imprecare, piangere come un bambino abbandonato, ma non un suono, non un gesto scomposero il suo aspetto signorile incapsulato, pur senza lusso né affettazione, in un completo giacca e cravatta.
Ricordò che da piccolo rifugiava le sue paure in dialoghi torrenziali con il suo amico invisibile, fedele ombra che lo avrebbe accompagnato fino alle soglie della pubertà. Provò una nostalgia cocente per quella benevola presenza dalla quale si era dovuto separare per diventare adulto e, per associazione metaforica, sentì ancor più forte la mancanza del suo collega e compagno di viaggio. Se fosse stato lì con lui avrebbe forse saputo come affrontare l’orrore di quella situazione e scoprire le cause di quella clamorosa solitudine. Ma il bicchiere che teneva stretto fra le mani come fa un bambino con il suo peluche, gli rammentò di nuovo che non era solo, che qualcuno si celava da qualche parte in quel maledetto aereo, spiandolo, perché no, magari con sollecitudine. E se questo qualcuno fosse stato proprio lui, il suo amico? Ma perché nascondersi? E tutti gli altri dove erano? E se fosse successo qualcosa di grave, un atto terroristico, magari durante un altro suo svenimento improvviso?
In fin dei conti negli ultimi mesi aveva perso conoscenza già tre volte e i medici avevano avviato delle indagini cliniche, sì, era vero, ma, a parte questa considerazione, nell’aereo non c’era segno alcuno di disordine o di irruzione violenta. E poi, anche se di atto terroristico si fosse trattato, perché risparmiare solo lui? Perché proprio lui? E gli altri, che fine avevano fatto?
Chiuse gli occhi, respirò profondamente, concentrando tutte le forze della sua disperazione per visualizzare un’immagine come faceva quando era sotto terapia, ed ecco che immaginò di sentirsi soffocare di nuovo tra la folla di passeggeri, immaginò di sentire il fastidio che ogni volta gli procuravano le petulanti osservazioni dei soliti turisti vogliosi di rendere noti a tutti i mirabolanti servizi goduti in alberghi di lusso in lontane latitudini. La diversità culturale appiattita dalla paccottiglia finto-etnica di una finta-vacanza finto-alternativa (e che reclama le sue vittime ammaestrate a puntino dalle usanze occidentali), era stata spesso oggetto dei suoi strali di giornalista rigoroso e coerente e riuscì a provare, nonostante la tragicità del momento, la stessa rabbia.
Riaprì di colpo gli occhi e si girò nuovamente verso il finestrino, nell’assurda speranza di veder passare qualcuno fuori, come dal finestrino dell’auto. Quello che vide, invece, fu lo spettacolo, sempre nuovo e sempre indelebile per chi viaggia in aereo, della linea che separa la notte dal giorno.
La fusoliera stava perforando la zona d’ombra, violando la luminosità incontaminata che il sole, senza più nuvole né orizzonti, distilla nella geografia algida della volta celeste. Cominciò a sentire, allora, qualcosa che somigliava a un sottile sollievo percorrergli il corpo come una tenia taumaturgica e risalire dall’addome in su, verso il torace, poi più su ancora verso la gola, fino a lambirgli la lingua e titillargli il palato, per divampare infine nella mente, nei pensieri, nei ricordi.
Era come se lo schiaffo irruente del giorno fosse accorso a liberarlo dall’angosciosa paralisi di quelle assenze inesplicabili. Continuava a essere solo, sì, ma in modo diverso. Continuava ad avere paura, sì, ma era una paura gravida di progetti. La sua mente dilatata provò a immaginare se stesso chino sulla scrivania della sua redazione, solo, totalmente solo, ma in un silenzio confortevole e stimolante.
La concentrazione, sempre inseguita e subito dopo sempre barattata con missioni all’estero, con affannose corse per la stesura dei pezzi, quella concentrazione che da sempre sognava che fosse per sempre, sarebbe stata lì, a portata di mano. Non avrebbe più dovuto subire bulimici resoconti né cimentarsi come un gladiatore in fameliche tenzoni dialettiche davanti alle telecamere. Il pensiero, solo il pensiero nella grandiosa purezza della disamina a tutto campo, solo il nobile esercizio della retorica protesa nell’arte dell’apte dicere: questi sarebbero stati gli unici pilastri della sua professione, finalmente libera.
E, arrovellandosi in una febbre di progetti a lungo termine, lasciò che la solitudine dilagasse in un sentimento di trionfo onnipotente.

Il paziente, noto politologo, è calmo e concentrato, non manifesta segni esteriori di sofferenza psichica, ma reagisce unicamente a stimoli verbali scritti. La sua mente seleziona solo oggetti e segni grafici. Qualsiasi tentativo teso alla visualizzazione di volti umani o alla percezione uditiva del linguaggio è finora fallito. È quindi possibile comunicare con lui solo attraverso testi scritti o per mezzo del computer, compreso Internet. Infaticabile e di notevole acume argomentativo è la sua produzione di articoli e saggi, capace di interpretare con chiarezza e a volte persino con sconcertante chiaroveggenza, accadimenti e risvolti dello scenario politico internazionale.
Il protocollo terapeutico si muove nella direzione, pionieristica per la psichiatria, di un colloquio mentale a partire unicamente da caratteri grafici. Nostro obiettivo primario è di segno opposto a quello intrapreso un anno fa circa quando, in accordo ai canoni consolidati della psichiatria, la nostra equipe ritenne di doverlo disancorare dalla figura dell’amico immaginario, del quale egli era del tutto inconsapevole, avendogli conferito, da dieci anni, dati anagrafici, volto, professione, carattere e comportamenti assolutamente reali.
Ora, alla luce degli ultimi eventi clinici, scopo basilare di ogni presidio terapeutico da noi attuato consiste nel far riaffiorare in lui il ricordo dell’amico immaginario, unico ponte percettivo verso la dimensione umana della realtà.

***

Dal libro Semi di senape di Angela Ambrosini, recensito da Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari.

30 Commenti

  1. Gentile Angela,

    Ho letto il Suo libro due volte: la prima, tutto d’un fiato, la seconda, prestando più attenzione ai particolari.
    MI è PIACIUTO MOLTO.
    Mi ha ricordato uno scrittore, che io trovo eccezionale, sto parlando di Roald Dahl con le sue “Storie impreviste” e “Storie ancora più impreviste”.
    Se dovessi fare una “classifica” dei Suoi racconti dal vero, le prime posizioni andrebbero a “Delia” e a “Una casa come tante”: davvero sorprendenti!
    Mi hanno commosso: “Il negozio di stoffe”, “Una serata qualunque” e “Merlino”.

    La ringrazio ancora per avermi fatto dono del Suo libro che consiglierò a tutti gli intenditori!
    Cari Saluti!
    Maria Grazia P.

    • Gentile Maria Grazia,

      che dire..il paragone con Roald Dahl è estremamente lusinghiero! La ringrazio davvero del suo giudizio e sono lieta di averle tenuto compagnia durante le sue vacanze. “Delia” è anche per me ..uno dei miei preferiti e insieme a “Merlino” e “Il negozio di stoffe” è risultato premiato quando erano ancora inediti. Ha buon fiuto!
      Il bello è che di questi tre solo Merlino è frutto della fantasia…(anche se l’imbeccata l’ho avuta dal racconto di un’esperienza vissuta da una mia amica) negli altri due casi, purtroppo, mi sono inventata ben poco…! Ho semplicemente avvolto il tutto nell’atmosfera obliqua e straniante della letteratura! A volte è proprio la vita che ci mette difronte a storie “impreviste”!! Ecco perchè “storie dal vero”. In quasi tutte c’è un germe di vita vissuta, o sognata (come nel caso della “casa come tante”). Ma in fondo, direbbero tante autorevoli voci del Seicento- e non solo- , cos’è la vita se non un sogno?

      Un cordiale saluto

      Angela Ambrosini

  2. Cara Angela,
    ho letto con piacere queste righe e spero di potere leggere il suo libro in futuro.
    L’aereo è un mezzo di trasporto molto utilizzato, permette di velocizzare il viaggio e lo spostamento ma è pur vero che a quella quota è difficile avere scampo in caso succeda qualcosa come un problema all’aereo o peggio un attentato.
    Gli attimi di terrore e di paura vissuti dal protagonista assalirebbero chiunque in una situazione simile.
    Ho provato ad immaginarmi al posto del protagonista in un aereo vuoto, senza nessuno, solitudine, senso di sparizione, paura, desolazione.
    E’ come vivere il suo racconto, il lettore si immagina come l’unico compagno di viaggio del giornalista.
    La ricchezza di sensazioni, emozioni, e la tua incredibile capacità di scrittura rendono questo libro speciale e unico, complimenti!
    Un abbraccio,
    Carolina

    • Mi fa molto piacere il tuo giudizio, Carolina, e dal climax ascendente di paura che sperimenta il protagonista volevo proprio fosse contagiato il lettore. Sono contenta di esserci riuscita!! E’ comunque altrettanto vero che parte del merito va condiviso anche con i lettori come te, che si lasciano pazientemente guidare senza fretta in una dimensione del narrare che non sempre è di agevole lettura e che richiede collaborazione da chi sta dall’altra parte della pagina, in dialogo muto con chi scrive.
      Un abbraccio anche a te e grazie!

      Angela Ambrosini

  3. E’ molto bello ed avvincente, ti lascia sospeso, come se vivessi in prima persona ciò che queste pagine raccontano.
    complimenti

    • Grazie, Francesco, per il giudizio. Il mio intento era proprio quello di rovesciare sulla pagina, e cioè sul lettore, frammenti incandescenti..! Mi fa piacere sapere di esserci riuscita!
      Un saluto

      Angela Ambrosini

  4. Grazie ho ricevuto oggi il suo libro e mi ha fatto un bellissimo regalo prima di partire per le vacanze; mi sto promettendo di non aprirlo fino al primo giorno delle meritate vacanze così da gustarmelo con una sensazione diversa.

  5. Getile Angela,
    ho iniziato a leggere il Suo libro (davvero spettacolare!)…pian piano sto entrando nel Suo mondo.
    Mi definisco una lettrice “comoda”, nel senso che non amo leggere in metro o su un autobus: troppa confusione che mi impedisce la concentrazione.
    Domani partirò e porterò con me “Semi di senape” per analizzarlo a 360°!
    Ci sentiamo al mio ritorno!
    Un caro saluto!
    Maria Grazia P.

    • Buone vacanze quindi, e benvenuta nel “mio” mondo!! Anche a me piacciono i lettori poco “comodi”. Infatti spesso devono “scomodarsi” a leggere tra le righe il non detto. A pensarci bene, è proprio quello che spesso ci accade nella vita..!!!

      Cordialità

      Angela Ambrosini

  6. un libro che mi ha toccato profondamente, a tratti angosciante ma così vero e realistico. Un vero racconto psicologico, profondo. Non ho ben capito se il libro è composto da racconti o se questo è unico.
    A breve dovrò prendere l’aereo e credo che ripenserò al suo racconto.
    Le faccio comuqnue i miei complimenti e spero di poter approfondire la lettura.
    Un caloroso saluto…

    teania C.

    • Grazie, cara Stefania, per l’apprezzamento. No, non si tratta di un unico racconto, ma di 16 storie, più o meno plausibili, più o meno vere.
      Buon viaggio e voli serena!

      Angela Ambrosini

  7. Innanzi tutto i complimenti vanno al tipo di scrittura corretta e gradevole ,
    può sembrare poco ma non lo è affatto , lei scrive in un modo scorrevole i misteri della psiche umana….!
    Contenuti : beh è noto che l’essere umano ha capacità di empatia di mettersi nei panni dell’altro
    quindi il lettore tranquillamente seduto su una poltrona in aereo inizierà a salire salire poi via via si intrufolerà in un inesplicabile groviglio un labirinto di elucubrazioni mentali e per uscirne non potrà fare altro che continuare a leggere …
    mi faccia uscire per favore…. mi invii una copia omaggio se le è possibile !!!
    🙂

    • Cara Ziapolly, con un nomignolo così evocativo-retro-tenero, come si fa a dire di no? La faccio scendere da quel maledetto aereo, non dubiti!! Ma le devo una precisazione: come già ho puntualizzato ad un’altra gentile lettrice, non è dato sapere neanche a me che fine abbia fatto il politologo…La narrazione a struttura aperta dà queste delusioni..!! Nel libro, infatti, quasi ogni racconto presenta un epilogo-non-epilogo, anche se gli indizi del narratore non vanno certo sottovalutati! Mettere a prova le capacità esegetiche del lettore mi stuzzica..a cominciare dai titoli!! Il “decollo” infatti farebbe pensare ad un’avventura ad alta quota, quando invece l’avventura è tutta interiore. Inoltre, attenzione: non a caso ho sistemato il racconto “Il decollo” in apertura. Quasi per augurare a me stessa buon viaggio nei meandri della finzione letteraria!!
      Quanto al sottotitolo del libro “Racconti dal vero”, tutto sta a concordare con il lettore i confini del ternmine “vero”..!! Non a caso una mia amica ha commentato che “non è certo un libro da leggere in spiaggia sotto l’ombrellone”..!!
      Se le interessa ancora il mio genere letterario, cara Ziapolly, mandi pure anche lei il suo indirizzo alla Redazione e avrà il suo piccolo regalo estivo. Il regalo più grande è il mio: aver suscitato la benevola attenzione di lettori arguti e competenti.
      Un cordiale saluto
      Anmgela Ambrosini

  8. La paura, una stretta alla gola, determinati ragionamenti e meccanismi mentali in determinate circostanze sono sensazioni che tutti abbiamo provato, ma che sono difficili da descrivere.
    Trovo straordinarie le minuziose descrizioni di ambienti e di sensazioni.
    Credo che solamente chi abbia uno scrupoloso senso critico, concentrazione ed una certa cultura e passione nello scrivere sappia rendere percettibile a chi legge determinate sensazioni e meccanismi della mente umana.
    Faccio i miei complimenti ad Angela Ambrosini in quanto è riuscita in questa parte del racconto a rendermi partecipe in ciò che ho letto.

    • “Passione nello scrivere”: lei dice bene, caro Enzo, usando la preposizione giusta. Non solo passione “per” la scrittura. Tuttavia, è una passione “rivisitata in tranquillità”, come sosteneva Wordsworth, altrimenti letteratura sarebbbe solo libero sfogo e sentimenti dirompenti. Come troppo spesso, ahimé, si crede e si divulga. E’ ovviamente un grande traguardo per chi scrive sentirsi dire quello che lei dice sul mio conto, perchè scrivere è condivisione con chi legge, senza un lettore non esisterebbe lo scrittore, osservava Sartre. E ovviamente anche e soprattutto chi scrive è stato ed è un lettore. Questo è così ovvio da essere troppo spesso taciuto!
      Ringraziandola per il suo apprezzamento, offro anche a lei, sempre che ne sia interessato, il mio libro in omaggio.
      Cordialmente.
      Angela Ambrosini

      • La ringrazio per la considerazione datami e per aver condiviso ciò che ho scritto sul suo libro e su di lei come scrittrice.
        Sono sicuramente interessato al suo libro, che aspetto con ansia per leggerlo ed apprezzarlo nella sua integrità.
        Ringraziandola in anticipo le porgo cordiali saluti e le dico in bocca al lupo per il suo lavoro.

  9. La ringrazio commosso – in anticipo – per la copia del suo bellissimo libro che vorra’ inviarmi.
    La redazione conosce il mio recapito.
    Cordialissimi saluti.

    Gaetano

  10. Gentilissima Angela,
    Questa mattina ho ricevuto il Suo libro!
    GRAZIE MILLE (anche per la dedica)!
    Mi prenderò un po’ di tempo per leggerlo e poi le posterò una mia recensione (mi permetto di usare questo termine anche se purtroppo non sono un editor, però…mai dire mai!).
    Un caro saluto e a presto!
    Maria Grazia P.

  11. Complimenti, ha saputo ricalcare alla perfezione gli incubi subconsci che vivono in ognuno di noi, dipingendoli come in un quadro e facendoceli vivere con uno stato di allucinazione.
    In bocca al lupo.

    • Grazie per le sue incoraggianti parole, Signor Petrone. La dimensione dell’incubo mi è stranamente confacente…! Probabile frutto delle mie frequentazioni con la letteratura sudamericana del realismo magico.
      Un saluto
      Angela Ambrosini

  12. Bellissimo, coinvolgente inizio… mi piacerebbe moltissimo scoprire come prosegue la storia del politologo…. sembra quasi di poterlo vedere, descrizioni di situazioni ed emozioni nitidissime, complimenti!
    Potrei ricevere una copia omaggio? Incrocio le dita e spero…

    • Può anche smettere di incrociare le dita, cara Maria..! Lunedì stesso provvederò a spedirle una copia omaggio del mio libro. Lei intanto lasci alla Redazione il suo indirizzo. Non vorrei comunque deluderla in merito al prosieguo della storia del politologo…Neanch’io so come finisce! L’ho lasciato lì in buone mani, a curarsi. Spero stia meglio..La struttura aperta del racconto vieta anche anche a me di conoscerne l’epilogo!!
      Ringraziandola per il suo entusiasmo (che spero non vada scemando con la lettura delle altre storie del libro..!), la saluto con simpatia.

      Angela Ambrosini

      • Il libro è arrivato stamattina, non vedo l’ora di leggerlo…. purtroppo devo pazientare ancora un pochino, poi, risolti i vari adempimenti burocratici e le ultime grane parto per il mare dove potrò godermi i miei spazi di relax con i miei libri…
        Grazie mille!

  13. C’e’ il reale. E c’e’ la visione del reale.
    Particolari stati d’animo lo possono deformare. O sublimare.
    Angela Ambrosini s’addestra bene nella descrizione d’allucinazioni e stati psicogeni liberando, nel contempo, la fantasia creatrice.
    Fantastico il titolo : richiama il famoso paragone evangelico sullo sviluppo del granellino di senape.

    Gaetanno

    • E’ proprio il titolo, gentile Gaetano, che costituisce il mio maggiore orgoglio..! Peccato che non sia farina del mio sacco..ma di quello evangelico, appunto! Quanto agli stati d’animo deformati o allucinati, il libro ne è pieno. Credo che chi scrive abbia una capacità particolare di leggere “tra le righe” della realtà e quindi di percepirli meglio. E’ un po’ quello che sostenevano i formalisti russi vedendo nell’atto poetico un processo di “straniamento” e “rallentamento” dei dati reali.
      La ringrazio per il suo giudizio. Se vuole, posso farle omaggio di una copia del libro, basta che lasci il suo recapito postale alla Redazione.
      Un cordiale saluto
      Angela Ambrosini

  14. Gentile Angela,
    grazie mille per la Sua risposta e per avermi dato il “pass” che mi ha consentito di entrare dietro le quinte del suo racconto!
    MI FAREBBE UN IMMENSO PIACERE RICEVERE IL SUO LIBRO (ho già inviato tutti i miei dati alla redazione).
    Le auguro una buona giornata!
    Maria Grazia P.

  15. Sensazione di panico. Ecco ciò che ho provato nel momento in cui il protagonista inizia il suo delirio psicogeno.
    In aereo non si scappa. Migliaia di tonnellate di ferro sospese in cielo. E tu sei lì, impotente. Se a tutto ciò aggiungiamo una solitudine non voluta (un attimo prima c’erano tutti i passeggeri e subito dopo il nulla e un bicchiere d’acqua comparso da non si sa dove), il quadro è completo.
    Quando l’aereo decolla, viene spontaneo affermare : ” Ecco. Lascio dietro di me ogni preoccupazione, ogni affanno, ogni problema sulla terraferma”.
    Il nostro protagonista ha avuto un impatto emotivo un tantino più forte.
    Sicuramente, il malessere lo ha sopraffatto durante un vero viaggio su un vero aereo in un alternarsi di sogno/realtà, iniziato nel momento in cui l’aereo si è “staccato” da terra e che ha raggiunto il punto culminante (di trionfo del sogno) nel passaggio dalla zona d’ombra alla luce.
    E’ proprio qui che, secondo me, i dottori dovrebbero farlo “tornare” per tentare di guarirlo.
    E se invece lui stesse meglio così?

    Gentile Angela, nella speranza di poter leggere il libro per intero Le faccio i miei COMPLIMENTI prima di tutto per la storia che ha tutti i connotati di un perfetto romanzo psicologico e poi per la Sua scrittura, così particolareggiata che riesce a coinvolgere appieno il lettore.
    Un caro saluto,
    Maria Grazia P.

    • Gentile Maria Grazia, ho scoperto per puro caso e con piacevole sorpresa il suo cortese commento al mio racconto (non sapevo infatti di essere iscritta al blog…non ne avevo fatto richiesta perchè non ho molto tempo da dedicare al computer). Rispondo comunque molto volentieri alle sue attente osservazioni sul conto del protagonista, rivelandole alcuni dettagli sulla genesi del racconto. (Io mi chiedo sempre come e perchè è nata una finzione letteraria, forse anche a lei farà piacere avere accesso “dietro le quinte”..!). L’embrione del racconto è nato durante uno dei miei viaggi in aereo, immancabilmente accompagnati da tensione a viva forza celata davani ai miei studenti e in quell’occasione acuita da una grande stanchezza fisica. In un momento di evidente stato di dormiveglia, ho avuto la sensazione che la collega seduta alla mia destra vicino al finestrino fosse scomparsa.., in modo inesplicabile, dato che se si fosse allontanata dal suo posto sarebbe dovuta passare davanti a me obbligandomi ad alzarmi. Per un momento ho provato un senso di grande angoscia..temendo che a uno a uno sarebbero scomparsi tutti i passeggeri..!! Riavutami presto (per fortuna..) da questo incubo ad occhi aperti, mi sono dedicata, proprio durante il volo, alla creazione mentale del canovaccio del racconto, del genere, più che psicologico, psicopatico..!!
      Ringraziandola per i suoi apprezzamenti, le invierei molto volentieri, se lo desidera, una copia del mio libro di racconti, ognuno di essi nato da una fugace suggestione, o da un sogno o dalla sensazione di un ricordo, in tutti i casi dal frammento di un’esperienza piccolissima, come piccolissimi sono i semi di senape, come insegna anche il passaggio evangelico che ha dato origine al titolo del libro.
      Se vuole, può indicare, esclusivamente via mail, il suo indirizzo alla Redazione.
      Un cordiale saluto
      Angela Ambrosini

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