
(…) E la mia vita, è continuata dopo di te, e senza di te, ma quanto dolore, quanta solitudine, quanta frustrazione.
Due giorni dopo la tua morte, in preda ad una frenetica rabbia, feci un mucchio di tutte le tue cose, di tutti i tuoi vestiti, della tua biancheria intima, e alla rinfusa scaraventai tutto dentro grossi sacchi per l’immondizia, neri come il mio umore, li accantonai in un angolo della stanza da letto, e gettai sopra al mucchio anche le tue due pellicce di visone, che ben poche volte nella tua vita avevi indossato; ecco, tutto era pronto per farti uscire dalla mia vita, anche le tue cose.
L’indomani avrei portato tutto alla parrocchia, per non avere più davanti agli occhi nulla di ciò che ti era appartenuto, per cancellare, come con un esorcismo, la tua presenza attraverso ciò che era stato tuo, e che mi avrebbe ricordato alla sola vista, al solo tatto, te, che non c’eri più.
Ma non servì a nulla!
Quella notte, incapace di dormire, guardando quei sacchi ricolmi delle tue cose, piansi lacrime amare, e ad un tratto mi alzai dal letto e li svuotai interamente ammucchiandone il contenuto sul pavimento, perché ero stato colpito come da un pugno allo stomaco, pensando che buttando via il “tuo”, fosse come buttare via te, farti morire un’altra volta.
Però quando venne il mattino, mi dissi che continuando per quella strada, la mia mente sarebbe scoppiata, e così raccolsi tutto di nuovo in quei sacchi e, senza ripensamenti, li caricai in macchina e li portai alla loro destinazione.
Dopo, mi sentii più libero, ma fu solo una libertà ingannevole, effimera, di breve durata.
Per molto tempo mi sono mosso da un punto all’altro della nostra casa, sentendo ancora la tua presenza, ogni attimo di ogni giorno, toccando tutto quello che tu avevi toccato.
Mi abbandonai infine a questo continuare a vivere senza di te, ma come se tu ci fossi ancora, sorprendendomi a volte a parlarti ad alta voce, come se tu potessi udirmi e rispondermi.
Mi resi conto a questo punto che avrei dovuto reagire a tutto questo, per non uscire di senno, cosa che non potevo permettermi, avendo la responsabilità dei nostri figli ancora in età di formazione e che il mio atteggiamento avrebbe potuto danneggiare, e reagii, ma ogni mattina dovevo guardarli e ingannarli facendo loro credere che io avevo superato l’impatto della tua morte, che la vita continuava, anche per me, e che loro dovevano seguire il mio esempio, contagiati dalla mia falsa naturalezza.
Mi era estremamente difficile fingere nei loro confronti la naturalezza della vita che continuava, ed ogni volta che restavo solo, il mio affannoso dolore riconquistava il terreno perduto e mi riprendeva con tutta la sua intensità.
Mi illusi che loro ci credessero, ma questa ricetta non funzionò, e lo capii più tardi quando, anni dopo, da alcuni loro atteggiamenti mi resi conto che pur essendo già grandi, dimostravano di aver ancora bisogno di una madre…
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Leggiamo e commentiamo insieme questo brano tratto dal libro Daniela. Canzoni d’amore per te di Amerigo Balsamo, recensito da Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari.


