Sfumature del deserto di Simona Liubicich

IRAQ, SETTEMBRE 2002 –

IRAQ. L’ALBA. –

Una mattina come tante dall’inizio dell’occupazione da parte delle forze USA, e diversi mesi dopo la pianificazione della guerra. Il minuscolo villaggio di Al Assar si estendeva poco al di là delle dune di Mosul, presidiato da un compartimento dello Special Air Service, l’unità di assalto britannica più temuta al mondo.
Poche case, una sola strada principale fatta di terra battuta, terra brulla, come in tutto il resto della zona, brulla come l’anima ferita del suo popolo.
Nelle case di fango indurito dai tetti piatti fatiscenti, lampade a petrolio ancora spente; la luce deve ancora sorgere e la corrente elettrica qui è solo un miraggio, l’aleggiare del sonno è ancora percettibile.
Dentro, odore acre di sudore e sigarette; non ci sono imposte né porte  in quelle case, ma tende luride, appese ciondolanti ad improbabili bastoni, come impiccati, dai vecchi colori ormai spenti dall’impietosità dei raggi solari giornalieri. Il ricordo di un passaggio di civiltà è rappresentato da alcune bottigliette in vetro di Coca cola sistemate su un tavolo, piene di acqua e calde ormai come piscio.
Gli abitanti ancora quasi tutti addormentati nei loro giacigli, bambini stretti alle loro madri, perché il sonno li preservi per poche ore dalla cruda realtà quotidiana che li circonda.
Pochi uomini del posto si muovono lentamente uscendo in strada, vecchi ormai dentro, sfiancati da secoli di guerre, d’odio atavico, da una religione fanatica e violenta che li ha resi duri e provati nei sentimenti più profondi.
Un soldato inglese, posto a guardia, volge lo sguardo vigile verso l’orizzonte del sole nascente, la notte ormai morendo sta lasciando il posto ali ‘alba, liberando dal freddo pungente notturno, dal gelo che ti penetra nelle viscere quando sei costretto pressoché fermo in una zona delimitata dietro le linee nemiche.
Gli iracheni non sono firmatari della convenzione di Ginevra e tantomeno di quella dell’Aia. Ognuno sa delle atrocità di cui si vantano; i prigionieri sono sempre stati torturati ed uccisi in modi disumani.
Un canto sommesso in arabo si leva nell ‘aria, lento, struggente, come una dolce nenia di morte; il tempo si ferma per un breve, lunghissimo attimo; nel piccolo spiazzo secco in fondo alla strada, vicino al pozzo ormai prosciugato, qualcosa si muove, veloce, silenziosa, minacciosa …
– Contatto frontale! Fuoco di copertura, fuoco di copertura! – urla il soldato SAS mentre cerca di indossare la maschera antigas, tenendo con l’altro braccio il fucile d’assalto G3 col braccio pieghevole, pronto a fare fuoco.
Un piccolo commando di militari scelti al certo servizio di Saddam,  preparati per azioni estreme, freddi e violenti, irrompe nel periferico villaggio; una missione suicida, questo il significato di tutto, spazzare via il nemico dell’ Islam e chiunque si ponga nel mezzo.
Il fuoco si apre esplosivo da entrambe le parti; i colpi dei fucili d’assalto riecheggiano rimbombando dappertutto.
I pochi civili, una quarantina comprese donne e bambini, svegliati di soprassalto da una mattina infernale, escono dai loro tuguri urlando, correndo all’impazzata senza una via di scampo, inciampando e cadendo sotto i colpi micidiali, rimbalzando come pupazzi senza vita da una parte all’altra della piccola strada desertica.
Rannicchiata in un angolo buio di una casa, una giovane donna irachena piange sommessamente stringendo a sé il suo unico bambino, cercando di proteggerlo con il proprio corpo; in quella maledetta guerra ha già perso il marito ed il figlio più grande.
Vedere i bersagli è estremamente difficile.
Fango e pietre esplodono in pezzi da tutte le parti; i soldati britannici tentano di avanzare verso il bersaglio, continuando a sparare e tenendo gli occhi ben aperti dietro le lenti delle loro maschere, correndo oltre un cumulo di pietre, al coperto dalla pioggia mortale nemica.
A ridosso delle macerie, dopo il conflitto, esplorando con lo sguardo la strada ciò che riusciranno a vedere sarà solo una distesa di terra mista a sangue e corpi straziati.
In poco più di un minuto è tutto finito.
Sono stati sparati più di cinquemila proiettili e le gole bruciano per i fumi della polvere da sparo. Gli unici rumori, il cuore che martella nel petto, il fiato corto, il corpo teso allo spasmo ed il sudore che bagna la faccia. Più tardi, durante il debriefing, dopo aver pattugliato la zona d’assalto e raccolto i cadaveri, il bilancio delle perdite è di sei militari inglesi, otto militari iracheni e trentaquattro civili.
In lontananza, in un angolo buio di una casa, sotto il cadavere della madre, il pianto sommesso di una creatura innocente.
Il 13 settembre 2002 l’Associazione Medici senza frontiere rivolge un appello alle forze della coalizione guidata dagli USA affinché adempiano al dovere di provvedere ai bisogni medici della popolazione visti i recenti bombardamenti, in cui vengono feriti dei civili, garantendo la sicurezza degli ospedali e del personale medico.
Negli ospedali visitati da MSF a Baghdad ed altre zone tra cui Bassora, Nassiriya, Karbala e Amarah, malattie mortali come TBC e kala-azar non vengono curate a causa della mancanza di farmaci.
La guerra scatenata contro l’Iraq è, secondo il loro parere, in grado di provocare una catastrofe umanitaria.

***

Dal libro Sfumature del deserto di Simona Liubicich

  1. Signora, bello, decisamente bello il suo libro. vi traspare una profonda conoscenza dei luoghi, della storia di quel Paese e, il fatto che lei ha capito perfettamente la tragedia di quel popolo. Io non so se Elena è lei: di certo lei ha una conoscenza tale dell’Irak che tutto lo fa pensare, oppure che lei, anche se non vi è mai stata (ed io non lo credo) ha avuto lunghi colloqui con qualcuno che non solo c’era, ma vi ha svolto le mansioni di Elena. La sua scrittura è asciutta, ma scorrevole, senza fronzoli e smancerie letterarie, ma molto coinvolgente e che trascina. Inoltre, mi permetta, lei riesce ad aprire la vita sentimentale di una giovane donna con molto garbo e profonda tenerezza, anche quando lei rischia di cadere nell’intimità personale della protagonista. Brava Signora, mi farò premura di procurarmi altri suoi lavori e, ringrazio tanto la persona che mi ha regalato il suo libro. Complimenti, Signora. Pesce.

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