L’ultima canzone d’amore di Nicla Morletti, 1

[aesop_image imgwidth=”90%” img=”https://www.blogdegliautori.it/wp-content/uploads/2015/02/lultima-canzone-damore1.jpg” alt=”L’ultima canzone d’amore di Nicla Morletti” align=”left” lightbox=”off” captionposition=”left”]

[aesop_timeline_stop num=”Introduzione” title=”Introduzione”]

Una storia d’amore vera, dei giorni nostri.
Una di quelle storie che ti lasciano il segno nel cuore. Per sempre.
Rocco, uomo affascinante, musicista versatile, si innamora di Dora, dolce, bellissima.
«Voglio fare con te quel che la primavera fa con gli alberi di ciliegio» le dice un giorno.
Lei è perplessa, poi cede.
Inizia così tra i due una storia clandestina, tra rimorsi e gelosie.
Due protagonisti straordinari, un amore sofferto, la suggestione della campagna toscana ed il fascino della Versilia creano l’atmosfera magica di una grande passione.

 

 

 

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[aesop_timeline_stop num=”Prefazione di Mario Luzi” title=”Prefazione di Mario Luzi”]

[aesop_image img=”https://www.blogdegliautori.it/wp-content/uploads/2015/02/mario-luzi.jpg” alt=”Prefazione di Mario Luzi” align=”center” lightbox=”on” caption=”Prefazione di Mario Luzi” captionposition=”center”]

È questa una storia d’estasi amorosa, di passione, di angoscia e rimorsi fino all’imporsi del dovere: una storia non insolita, quasi rituale, ma raccontata così da vicino, con tanta affabile aderenza e con tanta vita immaginativa e partecipazione da offrire una piacevole lettura. Anche per la spigliata amabilità della prosa, felice soprattutto nella sensualità, nei quadri variabili e variopinti della natura e delle stagioni. Prendo congedo da queste pagine con la speranza di altre che le seguiranno e con il soddisfatto gusto di aver letto, intanto, questa meravigliosa favola.
Mario Luzi

***

Dicono che l’usignolo si
trafigge il petto con una
spina quando canta la
sua canzone d’amore.
Così noi. Come potremmo
altrimenti cantare.

K.  Gibran

[aesop_chapter title=”Capitolo 1″ subtitle=”Clic. La conversazione era terminata. Dora era svanita, la sua voce rauca dissipata. Come la nebbia del mattino, come una stella cadente, come i pensieri della sera.” bgtype=”img” full=”on” img=”https://www.blogdegliautori.it/wp-content/uploads/2015/02/firenze.jpg”]

[aesop_timeline_stop num=”La telefonata di Dora” title=”La telefonata di Dora”]

Lo squillo del telefono ruppe repentino il silenzio nella stanza. Erano le otto del mattino di una giornata di fine settembre e Rocco stava sorseggiando il caffè. Posò la tazza sul tavolo e afferrò il cellulare.
«Pronto?».
«Sono io, Dora».
«Come stai?».
«Così e così».
«Qualcosa non va?».
«Devo parlarti, quando possiamo vederci?».
A lui prese a battere forte il cuore. Una mosca fece acrobazie nell’aria, gli volteggiò attorno alla testa.  Cercò di afferrarla con la mano sinistra, mentre con la destra teneva ancora saldamente il  telefonino.
«Maledetto insetto!» imprecò.
«Cosa sta succedendo?».
«Niente. Ma non puoi dirmi subito di cosa si tratta?».
«No».
«Così mi fai stare in ansia».
«Allora quando ci vediamo?».
«Stasera, a casa mia».
«E tua moglie?».
«Rossella non c’è, è andata con Andrea a Volterra dalla madre. Torneranno domani pomeriggio. E Ginevra, la donna delle pulizie, si è presa un paio di giorni di vacanza».
«Non sarà troppo rischioso?».
«Stai tranquilla».
«Sarò lì per le venti».
«Ceniamo insieme?».
«Sarebbe stupendo».
«E a lui cosa dirai?».
«Non so, ci penserò più tardi».
«A stasera allora».
Clic. La conversazione era terminata. Dora era svanita, la sua voce rauca  dissipata.
Come la nebbia del mattino, come  una stella cadente, come i pensieri della sera.
Come tutte le cose belle della vita,  irraggiungibili e inafferrabili. Rocco rimase per un po’ con il cellulare in mano, poi se lo mise in tasca. Era emozionato. Dora. Quanto tempo era trascorso dal loro ultimo incontro? Forse dieci giorni. No, quindici. Andò sul balcone, si sedette pigramente sulla sedia a sdraio e dette un’occhiata al giardino sottostante. Il giardino delle rose.   Nel mese di settembre nelle aiole c’erano le dalie, i gerani rossi e le bianche petunie. I raggi del sole filtravano attraverso i rami del glicine, urtavano con quelli delle betulle, si frantumavano nei vetri del capanno del giardiniere. C’era profumo di fresco intorno e il secolare abete si innalzava solenne verso il cielo. Gli volteggiavano attorno le rondini, si posavano sui rami più bassi per poi librarsi in alto velocemente fino a raggiungere la cima. Nel pergolato l’uva era già matura. Il ronzio delle api. Il bisbigliare delle foglie mosse dal vento, sussurri ormai familiari. Voci lontane. L’eco dell’estate con le sue giornate calde e luminose, la campagna senese sotto l’afa, le crete color terra bruciata e il canto delle cicale. Con i pastori e i loro greggi lungo i pendii erbosi e le colline assolate. Con le notti stellate ed il gracidìo delle rane negli stagni. Con il ricordo delle vacanze al mare: Forte dei Marmi, le Alpi Apuane e Dora nei pensieri. Dora ed i suoi occhi azzurri, Dora che si muoveva nel suo leggero abito blu, Dora che quella sera stessa sarebbe stata lì, con lui. E nel giardino delle rose un tempo coltivate dal nonno, in quella sera di fine settembre, si sarebbe seduta sulla panchina di pietra e  lui l’avrebbe stretta a sé.
Ma cosa doveva mai dirgli Dora? Quale il suo segreto? Glielo avrebbe svelato più tardi tra un bacio e l’altro.  E se si fosse trattato di una cosa spiacevole? Se lei gli avesse detto «non ti amo più?». Non voleva pensarci, non era possibile. Loro ormai erano inseparabili. Un filo invisibile li legava anche se abitavano a cento chilometri di distanza.  Certe volte gli accadeva di pensare a lei ed ecco che squillava il cellulare.  «Ciao, mi manchi, a presto». Gli bastava questo per essere felice. E in quella sera di fine estate avrebbero cenato assieme lui e Dora, magari in giardino a lume di candela, avvolti dal profumo delle rose. Sotto il platano, l’albero antico suo compagno d’infanzia, avrebbero cenato. E se sua moglie fosse arrivata all’improvviso? No, lei non doveva sapere. Non doveva soffrire per colpa sua. In quegli ultimi mesi aveva detto a Rossella molte bugie del tipo: «stasera rientro tardi perché vado a cena con gli amici» oppure: «non mi aspettare per l’ora di pranzo, perché mi trovo dal meccanico, sai l’automobile ha avuto un guasto» ed altre ancora che in quel momento non riusciva a ricordare. Forse perché menzogne, ridicole fandonie dettate dall’ipocrisia, dalla simulazione.

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Clandestini erano lui e Dora. Rocco si sentiva in bilico tra due vite. Perché aveva tradito Rossella? Forse perché si sentiva solo. Dopo la nascita di Andrea lei giocava più a far la madre che la moglie. Inoltre gli anni cambiano  e quello che si cercava prima, poi non basta più. Perché aveva trasgredito? Per vendetta no e nemmeno per noia. Per confermare la propria autostima e sentirsi di nuovo giovane, positivo, allegro, vivo? Dora così lo faceva sentire e poi era successo tutto all’improvviso. Lei gli aveva rubato il cuore. Lui, nella distrazione, all’inizio non se ne era neppure accorto. Aveva scambiato tutto per un gioco. Rapide occhiate, sorrisi, gentilezze. Poi la clandestinità: il nascondersi, l’essere costretto a mentire, l’incontrarsi senza farsi notare. Un modo per proteggere la propria famiglia, i propri sentimenti.  E scoprire di non poter fare più a meno di lei. Di Dora. Era la sua gioia, ma anche le sua dannazione e il suo tormento.
Quando non la poteva vedere o non poteva udire la sua voce si sentiva  perso, smarrito in un mare di solitudine. Poi appariva Dora, allegra, bella, bionda, dolce. E gli riempiva il cuore di felicità. Prima che lei facesse breccia nel suo cuore, la sua era una famiglia apparentemente normale, poi qualcosa era cambiato. Lui si era fatto silenzioso, distante. Voleva bene a sua moglie, ma pensava all’altra. A Rossella che gli domandava il perché di quei silenzi, rispondeva evasivo. Comprendeva però che lei soffriva per questo ed allora le faceva una carezza, o tornava a casa la sera con un paio di orecchini, una collana, un anello. Lei ringraziava, ma quel comportamento la inquietava. «Rocco, perché spendi tanti soldi per regali certe volte inutili?» gli diceva. Allora lui metteva il broncio, proprio come un bambino. Ed i suoi pensieri tornavano a Dora, alla sua dolcezza, ai suoi modi cordiali, ai suoi gesti gentili. L’essere diventato così generoso dipendeva forse dal fatto che intendeva in qualche modo ottenere il perdono dalla moglie?

Rocco teneva gelosamente custodita in fondo al cuore la storia d’amore che stava vivendo per proteggersi dagli attacchi invidiosi del mondo, per timore che qualcuno o qualcosa gliela strappasse via. La gelosia? Forse era paradossale, ma a pensarci bene non sopportava l’idea che anche Rossella avesse qualche altra storia. E poi con chi? Egoismo puro il suo, lo sapeva bene. Sua moglie non sospettava niente, ne era certo. Se avesse scoperto qualcosa non lo avrebbe perdonato. Rossella aveva un grande senso del possesso e un orgoglio smisurato. Comunque nell’animo di Rocco, da mesi ormai, albergavano sentimenti contraddittori che lo rendevano ora lieto, ora triste, ora euforico, ora taciturno e malinconico. Avrebbe voluto parlare con qualche suo amico di quello che gli stava succedendo, per gridare al mondo la sua gioia o il suo tormento. Per liberarsi dai suoi pensieri, per condividere le sue attese e le sue speranze con qualcuno, per alleggerire il suo animo. Chissà, forse Aldo e Franco, i suoi amici più cari, i compagni d’infanzia e poi della sua giovinezza, lo avrebbero ascoltato. Non osava farlo però, gli dava forza invece sapere che esistevano, che vivevano nello stesso paese, che era legato a loro dai ricordi. «Bisogna avere radici ben salde per poter volare» aveva letto in un libro. E lui, con Dora, aveva volato in alto, sempre più in alto fino a toccare il cielo, aveva scoperto l’amore. Poi però era tornato a terra, a casa, nel suo rifugio. Era tornato al vecchio bar dove con gli amici si raccontavano da sempre le barzellette. Era tornato nella campagna senese tra casolari sparsi, antiche querce, faggi e cipressi. Anche dopo i suoi viaggi per motivi di lavoro era tornato. Aveva abbandonato le metropoli, i palazzi, i grattacieli ed era tornato tra la semplicità della sua gente, nelle trattorie affumicate  che sapevano di arrosto,  alle feste paesane con la tombola in piazza e i fuochi d’artificio.  Tutto come quando era bambino. Niente era cambiato al suo paese. La vecchia scuola dove era stato dapprima alunno e poi professore di musica. Gli antichi cipressi, le necropoli etrusche, gli stabilimenti termali, le piscine,  i bagnanti accaldati.
Sapere che in quella terra ricca di acque solfuree e di storia, in quell’angolo di paradiso cantato da scrittori e poeti dove avevano trovato rifugio e fonte di ispirazione registi, musicisti e artisti famosi, sapere dunque che tra quelle crete c’era un posto dove rifugiarsi quando era triste e solo, sapere che c’era un posto lassù in cima alla collina tutto  per sé, era cosa meravigliosa. Lo stesso luogo in cui andava da giovane con i suoi amici. Lì giocavano a carte o a rimpiattino, spiavano le ragazze acquattati  tra i cespugli, incidevano  sulle cortecce degli alberi i primi messaggi d’amore: «Aldo ama Anna» oppure «Lucia e Franco uniti per sempre».

[aesop_chapter title=”Capitolo 2″ subtitle=”Rocco era affascinato da quel paesaggio, gli ricordava le passeggiate di un tempo con il nonno e le merende all’aria aperta.” bgtype=”img” full=”on” img=”https://www.blogdegliautori.it/wp-content/uploads/2015/02/siena-campagna.jpg”]

[aesop_timeline_stop num=”Rocco e Rossella” title=”Rocco e Rossella”]

Rocco aveva conosciuto Rossella all’età di venticinque anni al “Giardino d’estate”, un locale da ballo all’aperto del suo paese. Era la prima domenica di settembre. L’orchestra suonava, una leggera brezza spirava da ovest. Luci soffuse, brusìo, bisbigli, la fiamma delle candele accese sui tavoli che oscillava. La ragazza indossava un abito verde a fiori e i lunghi capelli le scendevano sulle spalle. Rideva insieme alle sue amiche.  Allora le si era avvicinato chiedendole se desiderava ballare.  Un lento, Rossella sorridente  stretta a lui. Il profumo dei suoi capelli, la pelle liscia e vellutata. Il suo sorriso. Seppe che aveva conseguito da poco tempo  la maturità  e che stava per iscriversi al primo anno della Facoltà di Lettere e Filosofia. Lui invece insegnava già musica nelle scuole.

Da quella sera erano diventati inseparabili. Un tenero amore il loro, all’inizio, un bisogno reciproco di confidarsi, di parlarsi, di essere complici ed amici, lontano però da ogni passione, da qualsiasi tumulto dell’animo.
Rossella era una ragazza pratica, odiava le smancerie inutili, si impegnava molto per raggiungere i suoi obiettivi, non amava le feste e le serate da trascorrere con gli amici. Rocco invece detestava la solitudine e desiderava sempre gente attorno a sé. Pian piano si era reso conto che avevano gusti diversi: a lei piaceva la montagna, a lui il mare,  a Natale lei voleva festeggiare con i suoi, mentre lui sarebbe andato volentieri  all’altro capo del mondo.
I genitori di Rossella, gente cordiale, del posto, trasferitasi più tardi a Volterra, adoravano quel genero di bell’aspetto, dai grandi occhi castani, alto, forte, robusto, e lo ricoprivano di gentilezze. Un musicista tra loro. Un artista. Ne erano fieri.

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Le serate al bar con gli amici  però ebbero termine. Ed ebbero termine le partite a poker, a tennis, i balli. Rocco sposò Rossella con la convinzione che con il passare del tempo si sarebbero capiti di più. Suo padre, funzionario dell’Ente delle Ferrovie dello Stato, fu trasferito a Firenze e andò a vivere con la moglie in città.
Rocco con la sua compagna si stabilì nella casa paterna, l’antica villa sulla collina nella campagna senese, che era appartenuta un tempo al nonno.
Si trattava di una costruzione liberty di fine ottocento, immersa tra il verde degli alberi, con i terrazzi ad oriente e le rose in giardino, un luogo magico e incantato dove  aveva trascorso gli anni più belli della sua giovinezza.  Tutt’intorno salici piangenti, ippocastani, betulle, tappeti di giunchiglie a primavera e prati di petunie d’estate. E poi ancora sedili di pietra con volti di medusa scolpiti,  siepi di biancospino, il bosco di lecci, il pozzo.
Si accedeva alla proprietà attraverso un strada di campagna in salita costeggiata da pini secolari dalla chioma ad ombrello. Dalle finestre  della villa, tra i rami degli alberi, si vedeva in lontananza il paese medievale arroccato su un’altura, avvolto da nubi di panna che all’ora del tramonto divenivano di porpora e d’oro. Più in basso i tetti delle case della periferia, gli orti,  i muri di cinta, la lunga strada bianca in discesa, gli oleandri in fiore.  Attraverso un cancello di ferro battuto, sul retro della villa, si accedeva ad un sentiero che si snodava tra i sassi e conduceva in salita nel bosco. C’era lì una casa colonica con i muri  ricoperti  dall’edera e la piccionaia a forma di torre. I  colombi  si libravano in volo, sbattevano le ali, si posavano sulle siepi d’alloro. Tra querce e canne mosse dal vento, si  scorgeva un piccolo stagno,  regno di anatre e  rane.  Più in là campi di girasole, querce, cipressi, vigne, fichidìndia. Salendo ancora per il viottolo che diveniva sempre più stretto e tortuoso, l’aspetto della campagna mutava:  la vegetazione diveniva più fitta e tra le pietre si innalzavano querce secolari lungo il passaggio. Poi era la volta dei castagni  tra  ginepri,  bacche e felci. C’era sempre  odore di muschio.
Rocco era affascinato da quel paesaggio, gli ricordava le passeggiate di un tempo con il nonno e le merende all’aria aperta. Sentiva nostalgia di quegli anni perduti, fatti di corse, allegria e semplicità.  A quei tempi si sentiva protetto ed amato. Sua madre era premurosa con lui, suo padre lo portava in giro per la campagna, la nonna gli raccontava vecchie storie, il nonno gli insegnava a suonare il pianoforte. Pensava spesso a quei giorni lontani e il suo animo si tingeva di malinconia, specialmente dopo  qualche  litigio con Rossella.  Lei era cocciuta e permalosa, tutta presa dalle faccende domestiche, poi era nato Andrea. Rocco ripensava con piacere ai primi  vagiti, ai pannolini, alla prima volta che lo aveva chiamato papà.  Ai  primi giochi, alle risa che echeggiavano per le stanze, al primo giorno di scuola.

Erano passati in fretta gli anni. Adesso il bambino frequentava la quarta elementare. Dal corpo asciutto e snello, amava giocare a pallone. I suoi capelli, un tempo chiari, adesso si erano fatti scuri ed una lunga zazzera gli copriva la fronte. Gli occhi grandi a mandorla rivelavano un carattere dolce e arrendevole.
Dora invece non aveva figli, abitava  a Firenze e, secondo Rocco, era sposata con l’essere più odioso di questo mondo al quale il suocero aveva affidato la direzione di una fabbrica di articoli in pelle e, per motivi di lavoro, era perciò costretto  ad assentarsi spesso da casa.
Rocco era convinto che l’uomo avesse qualche altra relazione. C’era un che di falso in lui, doveva spiegarlo a Dora. O forse era  meglio cancellare  l’altro dal suo immaginario. Il solo pensiero che lui la toccasse, lo faceva soffrire.
«I cuori sono fatti per essere spezzati» sosteneva Oscar Wilde. Rocco condivideva questa opinione e l’accettava come destino ineluttabile. Si rifugiava sempre più spesso nel mondo della musica e componeva canzoni.  Si sedeva al pianoforte nel salone della sua ottocentesca villa e scriveva, creava, combinava note fino a tarda notte tra tende di taffettà, candelabri, quadri e fiori. E nascevano melodie. Canzoni di successo. All’età di trentasei anni era uno dei compositori  più richiesti nel campo della musica leggera.  E uno degli uomini al mondo più infinitamente tristi quando Dora era lontana. Spesso si domandava con chi fosse, con chi parlasse, se amasse ancora suo marito. Ed allora suonava con più impeto e la melodia era ancora più bella, più avvolgente, più coinvolgente.
Sapeva che Andrea da dietro la porta lo spiava aspettando il momento adatto per corrergli tra le braccia. E quando lo stringeva forte provava disagio per quei suoi pensieri rivolti a Dora, per quel suo amore vissuto così segretamente; si sentiva in colpa per non amare solo lui in maniera esclusiva e totale. Lui, luce dei suoi occhi.

[aesop_chapter title=”Capitolo 3″ subtitle=”Sapeva che il tempo è una realtà sfuggente ai poteri dell’uomo, un’entità astratta sulla quale e intorno alla quale si costituisce la coscienza dell’essere” bgtype=”img” full=”on” img=”https://www.blogdegliautori.it/wp-content/uploads/2015/02/forte-dei-marmi.jpg”]

[aesop_timeline_stop num=”Quell’estate al mare… Rocco scopre Dora” title=”Quell’estate al mare… Rocco scopre Dora”]

Sul balcone della sua villa di campagna Rocco si crogiolava al sole e i suoi pensieri volavano a Nord, in direzione del suo amore  lontano. Sapeva che le ore hanno vita breve e che presto sarebbe stata sera.  Doveva vivere perciò intensamente ogni minuto di quella splendida  giornata di settembre con la brezza che, spirando da ovest, portava con sé il profumo di Dora.
Sapeva che il tempo è una realtà sfuggente ai poteri dell’uomo, un’entità astratta sulla quale e intorno alla quale si costituisce la coscienza dell’essere: proprio il senso del tempo infatti determina la consapevolezza interiore, dà un significato alle vicende del presente, al futuro e al passato.  Rocco avvertiva che quella realtà, a lui sconosciuta,  procedeva in modo irrimediabile, portando con sé lui stesso, il suo esistere, i suoi stati d’animo e… Dora.
Quando nasce un amore  si schiude l’universo. A lui era successo una mattina d’estate, al mare. Le Alpi Apuane erano avvolte dalla foschia, le vie di Forte  dei Marmi brulicavano di persone, ciclisti inquieti percorrevano veloci Viale Morin.

Aveva visto per la prima volta Dora al Bagno Capri, l’estate precedente. In spiaggia la osservava muoversi, bere una bibita, tuffarsi in acqua. Lo faceva sbirciando da sotto le lenti degli occhiali da sole per non essere notato. Lei era affascinante con i suoi capelli biondi e le gambe slanciate. Si crogiolava al sole, mentre un uomo le spalmava l’olio solare sulla schiena. Aveva compreso che si trattava del marito.
Un giorno Rossella gli aveva detto che quella coppia di giovani sposi dell’ombrellone accanto erano loro vicini di casa.  Così Rocco, sul far della sera, dal terrazzo del suo villino, aveva incominciato a spiare Dora che annaffiava le ortensie del  giardino. Scorgeva i suoi biondi capelli tra le piante dalle larghe  foglie ovali e dai fiori rosa. Poi la veste leggera di lei s’impigliava tra i rami, scivolava tra le felci e i gerani; lui si ritraeva dietro i vetri della portafinestra per timore di essere scoperto. Rossella lo chiamava a gran voce: la cena era pronta, mentre il figlio giocava con i pupazzi, si rotolava sui divani, gridava di gioia come solo i bambini sanno fare. Sul tavolo l’insalata di riso, le sogliole in gratella, la bavarese, e Dora nei suoi pensieri.
Dopo cena, sul terrazzo, era il momento più bello della giornata, quando gli ultimi raggi del sole al tramonto tingevano l’aria di dolce malinconia. E allora tutto diveniva per lui struggente: una musica, il fruscìo delle chiome dei pini mossi dal vento, la bellezza delle rose in fiore, il rumore delle  onde, il sapere che Dora viveva nella casa accanto. Ad un tratto si accendeva una luce:  lei era là, e il suo ricordo aveva il profumo del mare.

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Nelle mani del vento

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Una notte c’era stato un gran temporale. La pioggia si era riversata a torrenti sulla pineta; tuoni e lampi avevano squarciato il cielo, il mare ruggiva in lontananza. Rocco, nel suo letto, non riusciva a prendere sonno. Ancora il volto di lei, l’affascinante donna dell’ombrellone accanto. Lo torturava, lo estasiava, lo incatenava. Prigioniero di quei pensieri, si era rigirato più volte nel letto, infine si era alzato. Ad un tratto la pioggia aveva incominciato a cadere più rada e quel rumore gli faceva compagnia, come una dolce ninnananna: la cantilena con la quale sua madre lo cullava da piccolo. La stessa nenia con cui aveva cullato suo figlio Andrea. La filastrocca dell’amore, dal sapore di borotalco e di cose dolci, pervasa da una sottile nostalgia.
Chissà se lei nella casa accanto era sveglia?
Rocco si era alzato dal letto e aveva indossato la vestaglia. Dopo essersi avvicinato alla finestra, aveva scostato la tenda: fuori c’era la pioggia, il vento, la luce dei lampioni e il mondo avvolto dal mantello della notte.  Poi era uscito di camera in punta di piedi per non svegliare Rossella. A tentoni si era diretto nello studio e aveva acceso la lampada sulla consolle. La stanza si era illuminata appena, quel tanto che gli bastava per avvicinarsi alla libreria. Intanto fuori continuava  a piovere incessantemente.
In quella casa in riva al mare che aveva acquistato l’anno precedente, mobili compresi, antiquati, sorpassati, un po’ démodé, si sentiva al sicuro. Si sentiva protetto in quella casa tra pini, felci e oleandri in fiore, con i finti Rubens e Gauguin alle pareti: “Il giardino d’amore”, “Filemone e Bauci”, “Fanciulle tahitiane con fiori di mango”. Con le vecchie sedie e le specchiere rococò. Con gli antichi lampadari di cristallo di Boemia e le tende di taffetà turchese. E in quella notte d’agosto, il temporale assumeva un fascino particolare: era piacevole udire il brontolìo sordo e prolungato dei tuoni lontani, dolce era il ricordo della donna della spiaggia che stava dormendo nella casa accanto. Chissà, forse il marito la stava abbracciando nel letto, oppure stavano dormendo stretti stretti.
Aveva invidiato quell’uomo, poi si era pentito dei suoi pensieri. Visto che non riusciva a prendere sonno, non gli era rimasto che prendere un libro dallo scaffale. Amava le poesie. Il suo autore preferito era  Jacques Prévert. Chi meglio di lui sapeva parlare d’amore?
Dopo aver aperto  l’opuscolo, a pagina dieci aveva letto:

Demoni e meraviglie
Venti e maree
Lontano già si è ritirato il mare
E tu
Come alga dolcemente accarezzata dal vento
Nella sabbia del tuo letto ti agiti sognando
Demoni e meraviglie
Venti e maree
Lontano di già si è ritirato il mare
Ma nei tuoi occhi socchiusi
Due piccole onde son rimaste
Demoni e meraviglie
Venti e maree
Due piccole onde per annegarmi.

Rocco, seduto con le gambe accavallate sulla sedia a sdraio nel terrazzo della sua villa di campagna, sospirò ripensando all’estate precedente. Era tuttora  solo: Andrea e Rossella sarebbero ritornati l’indomani, perciò poteva abbandonarsi ancora a ricordi più lontani, al tempo in cui era nata la sua storia d’amore.

Tutto era cominciato così…

***
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[aesop_timeline_stop num=”Nicla Morletti” title=”Nicla Morletti”]

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Nicla Morletti, il profilo dell’autrice e le sue opere

 

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