Assenza giustificata di Donatella Appoloni

Punto e… –

30 giugno 2009 –

Non è possibile, incredibile, non è da me, neppure adesso riesco a commuovermi. Era un momento che aspettavo come l’effettiva, la definitiva conclusione, l’ultimo Collegio docenti… l’ultimo della mia vita… i ringraziamenti della Preside… l’applauso dei colleghi… il mio discorso di commiato…
E invece non una lacrima (alle quali peraltro sono alquanto avvezza), non un cedimento, non un pensiero malinconico… Che cosa mi sta succedendo? Non sono più io…
O semplicemente ho preso la decisione giusta, nel momento giusto della mia vita.
Ecco, forse è così. Ed è tanto vero che è così che, ascoltando il discorso che la preside fa per l’occasione, falso ed egocentrico (come lo è sempre stata lei), tanto sdolcinato quanto gelido nelle sue espressioni formali e convenzionali, io non ho neppure l’impressione si stia rivolgendo a me, riferendosi al mio operato, alla mia serietà, alla mia esperienza, ma ad un altro da me.
Perché io mi sento già fuori dalla scena e ne sono felice, non più burattino nelle mani di questo o quel ministro, ho tagliato i fili e sono libera, libera.
C’è un altro collega nella mia stessa situazione, che esordisce dichiarando di essersi preparato due parole da dire per la circostanza. Ripercorre con la memoria gli anni di lavoro, esprime i dovuti ringraziamenti.
E poi tocca a me.
“…io invece non mi sono preparata un discorso, vi dico quello che sento così come mi viene…
Sono in questa scuola da 20 anni, gli ultimi della mia carriera, ed i migliori, quelli in cui sono consapevole di aver dato il massimo ai ragazzi, grazie all’ esperienza acquisita e alla crescente passione per il mio lavoro… A voi colleghi, forse, ho dato un po’ meno. Mi riferisco ad un ‘meno’ non professionale, ma umano, di relazione.
All’inizio, e solo per colpa mia, non mi avete conosciuto per quella che sono realmente. Poi, chi di voi ha avuto la pazienza di capirmi, di oltrepassare la mia barriera naturale di difesa, che si poteva facilmente leggere come presunzione, o forse alterigia, ha compreso chi ero e solo a questi sono apparsa un’ altra. Quella autentica, quella che mette l’anima in ciò che fa e che possiede delle convinzioni radicate sul suo mestiere, che nessuna legge o decreto può scardinare…
Ringrazio chi ha lavorato con me, ho avuto alcuni ottimi compagni di viaggio, menti fresche, che sanno ancora provare entusiasmo e passione. Lavorare coi ragazzi esige il possesso di doti che hai o non hai, non si possono acquisire.
L’empatia e la sintonia con alcuni di voi mi hanno arricchito come donna e come insegnante, lo scarso feeling con altri mi ha confermato la convinzione che non tutti possono fare questo mestiere e che spesso chi egualmente lo esercita va incontro a sofferenza, frustrazione ed attesa smodata della pensione. Elementi, questi, che sicuramente non favoriscono l’oggetto del nostro lavoro, i ragazzi.
Lascio la scuola, perché mi sento ricca, satura di esperienza, appagata.
Non è vero che l’esperienza non è mai abbastanza. Questa per me lo è.
E siccome la vita è una sola, con questo preziosissimo bagaglio, che non lascerò mai incustodito, mi accingo a vivere nuove esperienze, finché sono in grado di viverle appieno, come ho fatto con questa”.
Questo ho detto.
Però, se ci penso bene, un altro sarebbe stato il discorso che avrei volentieri fatto alla nostra amata Dirigente.
“Mia cara signora, posso esprimerle tutto il mio disappunto per come Lei ha interpretato, e purtroppo continua ad interpretare, il Suo personaggio?
Vede, non è attraverso l’arroganza che si gestisce il vero potere.
Il miglior dux è colui che riceve consenso senza imporlo, con l’autorevolezza non con l’autorità, con la stima, la condivisione di problemi e di soddisfazioni.
Beh, non mi dica che non è consapevole di essere stata odiata, perché non ci credo.
Il fatto è che la Sua sfrenata sete di protagonismo, che tra l’altro 1’ha spinta ad assumersi un doppio incarico in due Istituti diversi, L’ha anche fornita di una maschera cinica ed inespressiva, perfetta per interagire con chiunque in qualsiasi situazione.

Non le ha mai detto nessuno che mettersi in discussione è segno di intelligenza? Che ammettere di aver sbagliato è segno di grande profondità intellettuale?
Lei è sempre stata perfetta nella capacità di lodare smodatamente e pubblicamente chi riteneva a sé inferiore e di rifuggire con altrettanta determinazione chi costituiva un ostacolo, un fastidiosissimo impedimento, al Suo cammino da bulldozer verso l’esercizio del potere assoluto.
Bene, Lei è stata tanto poco significativa nella mia vita che la dimenticherò, come si rimuove qualcosa che disturba.
Non le permetterò di rappresentare un neo, l’unico, nella mia fantastica esperienza”.

Trentasei anni. Non di età (e non dico affatto: “magari”, perché credo di averla già vissuta quell’ età, ora ne ho sessanta, e voglio vivere questa).
Trentasei anni di scuola.
Ripercorrerli tutti a ritroso potrebbe sembrare un’impresa impossibile.
Non mi mancano i collegamenti cronologici, ma avrei costantemente il timore di dimenticare non il fatto in sé, ma le sensazioni, le emozioni, i pensieri legati a quel fatto. Quando generalmente si parla di “vissuto” si intende dare al concetto un’accezione più ampia del semplice evento legato ad una tappa della propria vita. Ecco, questo vorrei fare, vorrei risentirne il sapore, l’odore, le scosse invasive, il calore avvolgente, la preoccupazione, la gratificazione, l’insoddisfazione, l’impegno mentale.
I ricordi si accavallano, gli anni scolastici si sovrappongono, i volti si sfumano l’uno nell’altro.
In questo momento sono senza parole.
Però le voglio trovare.

Assenza giustificata di Donatella Appoloni – ZONA Contemporanea, 2011 – pag. 113

Il commento di NICLA MORLETTI

Donatella Appoloni, con queste pagine ci fa dono di una conoscenza impagabile e degna del massimo rispetto ed attenzione. L’autrice ripercorre il suo cammino di ben trentasei anni di insegnamento. “Vivere nella scuola – dichiara – significa entrare, anno dopo anno, nella vita di tanti ragazzi, sondarne le emozioni, le gioie, le paure, condividerne i successi e i fallimenti. Ma significa soprattutto essere disposti ad accompagnarli con fermezza e tenerezza in un percorso difficile che spesso non sono in grado di affrontare da soli.”
Un libro scritto in punta di penna con un linguaggio assolutamente irreprensibile e dai contenuti, illuminanti e toccanti. Un rapporto profondamente umano con tanti giovani e soprattutto con Milena, ragazza Down. Un rapporto sicuramente molto faticoso e impegnativo, ma non per questo meno gratificante, dolcissimo e totalizzante.
Scrive Donatella Appoloni: “Milena era una ragazza Down di tredici anni quando arrivò in prima media e ne aveva quindici quando ne uscì…” Nasce nel cuore del lettore la commozione, la mente impegnata nella riflessione. Viene voglia di saperne di più del mondo della scuola, dei giovani. Ed intanto si leggono le pagine con cuore tacito ed animo attento. Ed è insegnamento, apprendimento, nuova conoscenza per tutti.
Un ottimo libro di cui consiglio la lettura per i contenuti e per la ricchezza di storie complesse, intricate e sofferte. Storie di ragazzi, insegnanti e famiglie. Storie di vita vera.

7 Commenti

  1. Secondo me per la giusta crescita dei ragazzi oltre la famiglia ci sono proprio gli insegnanti,e visto che ho due figli e stò seguendo con loro la fase scolastica posso dire che gli insegnanti migliori sono proprio quelli che si mettono in gioco e non quelli che si impongono,infatti per avere si deve dare.

    “”Il miglior dux è colui che riceve consenso senza imporlo, con l’autorevolezza non con l’autorità, con la stima, la condivisione di problemi e di soddisfazioni.”” Penso che questa frase del libro di per se già dice tutto.

    Complimenti perchè chi scrive queste cose vuol dire che le ha dentro,e avere l’umiltà è una cosa bellissima.

    Barbara

  2. C’e’ una scuola dei professori
    che della scuola sono gli attori:
    si chiama classe e dono di se’,
    non molti ce l’hanno, e questo perche’
    i piu’ la ritengono una professione
    invece che una vera missione.
    In ” Assenza giustificata ” Donatella,
    sulle pagine, in prosa bella,
    spalanca il suo cuore di ex docente
    a se stessa e poi alla gente.
    Il diario e’ sempre uno spezzone
    dell’ interiore condizione
    che si fissa prima che sull’ inchiostro
    nella memoria dell’ intimo nostro.
    Da ex allievo, e soltanto quello,
    mi faccia dono del suo romanzo modello.

    Gaetano

  3. Un romanzo davvero interessante e nuovo.
    Sono appassionata “della scuola” e un punto di vista così importante mi sarebbe molto utile.
    Complimenti all’autrice!!
    Stefania C.

  4. Il mondo della scuola visto dall’altra parte della cattedra… la cosa m’incuriosisce parecchio… entrare nella testa e nei pensieri di chi dovrebbe inculcare il sapere alle giovani generazioni è uno stimolo a riflettere su come ci siamo comportati quando eravamo noi stessi giovani studenti…

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