Angeli narranti di Vitina Calandrino

Liberi di venirci a trovare

Nel silenzio che da tempo li unisce e li nutre di viatici puri e una fresca manna, linfa alla linfa, percepiscono la memoria dell’inverno nell’intrepido assaggio con fiocchi di neve.
Fra colonne d’alberi e candelieri di lassana, Filippo e Gilze abbracciano l’abete bianco presso il quale preme la bufera, e lontani dalla civiltà scivolano e balzano da funambole corde sollevandosi con paraboliche aste.
Proiettati in deliri spaziali hanno visioni galattiche di passi lunari su azzurre comete, e nella meraviglia celeste, vicini all’albore, trovano la rosa dei venti perfetta e leggera che li porta sulla rotta migliore e li trascina nel cielo che li rassicura con tiepidi ondeggi rendendo stabile il sangue. Essi tentano rapidi dislivelli scendendo l’algido spazio con diademi dorati svegliando sogni d’amore, e inseguendo la primavera con la luce negli occhi, nel flusso sottilmente rosato, provano attimi nuovi e, sospirano, giocando a buttare via il cappello e ogni cosa pesante, rimanendo quasi nudi e indifesi.
Sostano a brevi tappe sui piccoli sentieri ascoltando i ruscelli e i pascoli fra i narcisi nella stagione che ristora.
Si nutrono di latte e poesia e di miele sciolto. E nel profumo, piacevolmente vagando su bellezze ambientali, si muovono ora in morbide sabbie sul mare, ora in un’esplosione di caldo in città, ora in lucenti campagne fra confidenze amorose e una fisarmonica allegra. Dove c’è una festa.

Una festa solenne corre su radici semplici e si annuncia nella processione di doni da spartire cuore a cuore noi e l’universo, caro Filippo. D’accordo con te che hai la bacchetta magica, e rintracci carezze nell’aria con slanci vitali, e nell’urgenza di sorridere rendi i nostri incontri indispensabili e privi di timori in questi giorni irripetibili.

Hanno indugiato un attimo perduti in sogni malinconici, dissetandosi alla fonte, ed esposti allo sguardo complice nell’oasi di gigli antelucani è sceso l’Angelo con a cuore il loro spirito, e in equilibrio su ali musicali li ha messi al corrente di un’ambascia preparandoli con tutto il mondo a un evento cosmico di un certo Rilievo.
Pensando a un nuovo paradiso, Filippo e Gilze hanno liberato un grido di meraviglia levando gli occhi con tenerezza, e nell’attesa di vedere spuntare qualcosa nell’aria di raso, hanno visto la trasformazione di un’attiva forma che si componeva e si ampliava e seguitava la sua luce, ove le donne nel gran passo coprivano il cammino trasognate, e gli uomini docilmente appresso scrutavano il ciclo che in alto aveva un punto ignoto calcolato già prima della nascita.

Venne al mondo il Figlio sopra un buon fieno d’erbe accolto da un pellegrinare sino alla dimora designata. E mentre la Sua anima cominciava a vibrare e la fronte si cingeva di un’aureola sacra, c’era chi entrava e si gettava ai piedi portando doni; e chi, guardando il fascio di luce che si posava sul petto e sul viso, s’incantava meravigliato e ascoltava in silenzio il suono divino guardando le labbra che battevano soffici respiri di myrra nel pronunciare accenni di grazia e di unione fra i popoli.
Traboccava la voce del Verbo e si caricava di forza celeste lottando con parole pietose contro ogni dubbio e stupore, e spezzando le ombre, dal giaciglio trasfigurandosi, metteva in rilievo i prodigi del Padre le cui mani creative estraevano forme dal caos mostrando l’ingegno.
Nel sole caduto dall’alto sulla polvere sacra, Egli viene con linfa amichevole e vesti profetiche, portato da effluvi giubilanti nell’incedere calmo, mentre il verbo umile e colto moltiplica parabole nell’atrio del mondo, e davanti al Supremo si leva pulito e slanciato e zampilla miracoli, come per caso, deponendo l’arcobaleno a un passo da terra, per farlo sparire sopra le cupole.
Poi cogliendo le necessità e le attenzioni disperse negli incontri di folla, con dita magistrali guarisce ogni corpo che non sente rimproveri attratto da benefici e amabilità di interventi. E nella sorpresa primordiale del tocco segue ogni fibra quasi per gioco.
Sparpagliando in aria i misteri del polline. Sorride il fanciullo che viene alla luce in onore di grazia guardando le pupille affettuose e le mani che si fanno capanna nel donare scintille d’amore. Tutto è un magico soffio, un mistero di colori e di musica che si spargono intorno. Affermando che la vita è ampia, alta e profonda. Chissà se rimarrà l’Unico con l’orma incontaminata, raggiungibile e irraggiungibile. Viene da pensare che non si comprenda abbastanza il suo animo, pur se con sguardi soavi e lucenti, senza perdere un angolo, aiuta taluni privi di slanci e dimentichi della bontà delle opere.
Accarezzando i suoi “fiori”.
E’ rimasto in silenzio all’ombra del salice guardando correre Filippo e Gilze, dai pruni all’orto, sino a quando i ragazzi l’hanno chiamato sulla terra sminuzzata di finocchio e basilico. Prende voce la gioia vibrante nell’incanto profumato fra i sentieri dove c’è felicità e decoro, e c’è il ritorno di un amico che ti sorprende e ti afferra, se cadi.
C’è la mano calda come il sole che avvolge e solleva, dove stormi ad alta quota fendono il cielo e lo tagliano   sfolgorando   fra   selve   e   deserti,   e componendo ventagli suggestivi nei viaggi sospesi, salutano l’Altissimo che fa sgorgare su nuovi disegni l’energia dalle fonti e ossigena l’acqua che disseta le voci   mentre   scambiano   parole,   teneri   biglietti, indirizzi, codici, messaggi e fiori, mazzi di fiori presi da giardini santi.
Vi sono attimi in cui si leva una musica nascosta e accettano sconfinamenti per guarirsi, e fluorescente l’ossigeno scaglia lampi nell’aria a colori sulla rotta degli angeli dove trasvolano dinamici e asceti nello stile, consacrando il miele del giorno che ha luce e frumento. Viatico d’amore per la gioventù che transita fra cereali di parole con pensieri buoni e degni, e sicuri nella gloria santa possono divenire migliori e trasformare l’esistenza con una lettura che li ispiri, elevando lo spirito.
Possono accorgersi di Colui che sta sulle pietre con una voce di pioggia, e poi tra i confini confondersi potendo andare e tornare dalle regioni celesti, ai prati più morbidi, mentre nell’attesa di comunicare un mondo di cose risplende commosso, quando Filippo solleva Gilze nel cielo.

***

Dalla prima prosa del libro Angeli narranti di Vitina Calandrino, recensito da Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari.

6 Commenti

  1. Buonasera gli angeli sono l’unica cosa in cui credo, penso che ognuno di noi abbia il proprio che lo segua… mi piacerebbe ricevere questo libro da Lei, caramente la saluto

  2. Vi sono presenze che non vediamo ma sentiamo, perche’ intrattengono l’anima.
    Sono gli angeli, invisibili custodi del nostro errare.
    Essi ci raccontano dimensioni che la ragione dispera di circoscrivere e il cuore, invece, accoglie palpitando.
    Le ali degli angeli sorreggono anche noi.

    Gaetano

  3. Una nuova interpretazione della nascita dell’Altissimo, quella che io leggo tra queste righe. Bella, coinvolgente e ricca di immagini stupende, come la voce di pioggia evocata alla fine. Peccato che il testo sia così corto. Mi piacerebbe molto sapere come prosegue.

  4. Leggo e rileggo questo passo e un lampo poetico attraversa il cuore fulminando l’anima. Filippo e Gilze mi attraggono e sembrano, con il loro amore sconfinato, i fautori di un miracolo che si ripresenta duemila anni dopo.
    Sono coloro che si nutrono di latte, poesia, miele sciolto e gridano in faccia alla vita la felicità del loro figlio. E lui entra in punta di piedi, tra le righe del racconto, rendendo tutto magico come solo Lui sà fare, afferrandoci nei momenti difficili, ripagandoci con mille misteri che da sempre l’accompagnano.
    La lettura invoglia un’esperienza empatica e ci induce a scoprire ciò che sembra oscuro. C’è una ossessionata voglia di leggere tutto il libro.
    Complimenti all’autrice

  5. È un racconto di amore. Amore vissuto fra il cielo e la terra,con la bellezza e la fantasia del creato che ti porta a sfiorare ed a godere la bellezza profonda del cielo stellato.Tutto accompagnato da una musica divina.

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